La signora meraviglia: sul limitare di un’identità

di Luciana De Palma

La conquista di un’identità è questione delicata e lenta, avviene secondo un processo che oscilla tra scelte e imposizioni, doveri e fughe, lacrime e iniezioni di coraggio. Come un bozzolo, trova compimento solo alla fine di una lunga stagione in cui la maturazione della creatura in esso contenuta non può essere data per scontata. Prima che il processo abbia termine, molte sono le fasi che si alternano, non tutte apportatrici di benefiche prospettive; occorre combattere, con il pugnale tra i denti, se occorre, anche mentre si sogna l’approdo finale dove si compirà il miracolo della congiunzione tra speranza e realtà. L’esito dovrà contenere una sintesi perfetta tra il passato e il presente che sempre agiscono come forze contrapposte, contrafforti sbilanciati che rendono il futuro un traguardo provvisorio più che incerto.

La scrittrice Saba Anglana, cantante e attrice italiana di origine somala, nel suo romanzo La signora Meraviglia (Sellerio ed.) si muove tra una Mogadiscio della memoria e una Italia in trasformazione, rifrangendo le atmosfere della storia su binari che scorrono parallelamente. Tutto inizia con una ragazzina che, per fuggire qualcosa, corre tra gli arbusti di caffè africani. Questo antefatto è prologo di una serie di avvenimenti colmi di conflitti, ricordi, lotte, nostalgie, dialoghi e burocratiche perversioni. Il coraggio si fa strada in una selva di rievocazioni dolorose, la vita deve trovare forme ogni volta diverse in cui materializzarsi quando le barriere culturali e sociali si innalzano come mura a guardia di granitici stereotipi.

Essere migranti, essere stranieri, essere diversi, essere altro dalla fantomatica normalità significa aprire battaglie su molti fronti: la difficoltà o la mancanza di accettazione da parte degli ‘altri’ comporta una grandissima assunzione di responsabilità poiché si tratta di frantumare le paure più ataviche che sono alla base della negazione e del rifiuto. Una delle figure cardine del romanzo è Abebechè che nelle prime pagine del romanzo, ambiente nel 1938 in un’Africa Orientale dominata dall’Italia coloniale, è ritratta mentre corre per fuggire qualcosa; in seguito, abbandonata in Somalia con una figlia di pochi mesi, dovrà provvedere tanto alla sua sopravvivenza quanto al vuoto che dentro di lei si ingrandisce sempre di più. Con un lungo salto temporale la storia si sposta nel 2015, a Roma, quando Dighei, una signora etiope dal carattere forte e ribelle, si ritrova a percorrere i labirinti amministrativi di una burocrazia ottusa e farraginosa al fine di prendere la cittadinanza. Le nuove regole imposte dal governo mettono a dura prova la pazienza e la tenacia, ma tornare indietro non è possibile.

Se il passato è nelle radici, la chioma rappresenta l’innegabile presente: nessuna parte della pianta può essere trascurata poiché la vita esige cura in ogni particolare. Sarà sua nipote Saba ad offrirsi di aiutarla, affrontando le insidie che si materializzano tra dipendenti comunali confusi, documenti difficili da reperire e situazioni assurde. Leggiamo: “Io non so nulla, sono pagina bianca, sono un treno-fiume che attraversa luoghi e scambia passeggeri. In questi giorni mi riempio di chincaglieria nostalgica, è normale, gli ingranaggi della mia mente girano, rimugino. Perché sono convinta che la mia esistenza è anche un fatto della memoria. Sono ciò che ricordo o che credo di ricordare, tra le memorie reali e quelle indotte dai racconti della famiglia che mi ha generata lontano da qui, da ogni geografia del mio presente”. Sembra sempre più arduo il compito prefissato, tanto più che la memoria di un tempo lontano vissuto in un luogo lontanissimo non fa che alterare la percezione di una contemporaneità in cui tutto è caotico e frustrante. Questa signora Meraviglia, che è il modo in cui in famiglia chiamano la cittadinanza italiana, è la ragione che scatena dubbi e interrogativi su cui si imperniano i giorni e le notti delle protagoniste.

Ottenerla può significare ritrovarsi a relegare in un angolo della mente tutto ciò che per molti anni ha fatto parte di un quotidianità che adesso rischia di essere abbandonata come una zavorra inutile, vista la necessità di cambiare nazionalità: voci, suoni, odori, cibi, tradizioni, comportamenti sono stati tasselli di un’identità che deve venire a patti con altre voci, altri suoni, altri odori e cibi, altre tradizioni. Non è possibile restare a lungo in bilico: l’equilibrio perfetto tra passato e presente sa di miracolo che nessuna divinità è in grado di compiere. Ogni istante esige una risposta che, malgrado ogni sforzo morale e intellettuale, dovrà misurarsi con un mondo e una società in continua mutazione. È grande il turbamento di una coscienza che prende atto dell’oscurità in cui si rischia di precipitare, se al futuro non si riconosce un nome e una forma. Incessante, poi, è la paura di non essere niente perché molto è andato perduto e il poco che resta assomiglia ad un sogno evanescente che si tramuta in spaesamento quando il dolore fagocita la speranza.

L’interrogativo sulla propria identità, su ciò che la connota o la disintegra, su come conquistarla o evitare di perderla, si aggira tra le pagine del romanzo, togliendo il respiro a chi avanza nel pantano di giorni aggrappati alla memoria di antiche e inguaribili lacerazioni. Se nessuna esistenza può essere incasellata in rigide definizioni, ancora meno quelle di coloro che sono costretti a convivere con una complessità di valori e riferimenti affastellati nella mente e nello spirito come oggetti stipati alla rinfusa in un sacco prima della fuga. La storia di un individuo è la storia della sua famiglia d’origine e questa, a sua volta, diventa spunto per allargare lo sguardo su un’umanità che si barcamena tra barriere da erigere e da abbattere, in un continuo mercanteggiare di guerre e armistizi, di disfatte e promesse.

Il singolo è testimone di mondi per lo più sconosciuti a chi vuole ignorare contraddizioni e ferite difficili da comprendere e sanare. Persino un pezzo di carta quale potrebbe essere quello della cittadinanza, una volta ottenuto, non potrà colmare le voragini di vuoto in cui un’identità, precipitando, è finita in pezzi. Mancherà sempre qualcosa all’unità ricostruita con fatica e illusione, nulla garantirà la vittoria sulle assenze impresse nella carne come marchi a fuoco. Tempo, attese, possibilità: sono i concetti cardine di questo romanzo che si spoglia dalle menzogne e restituisce una verità implacabile come l’urgenza di vivere e non solo di sopravvivere.

La vera meraviglia allora sarà potersi sentire parte del tutto senza aver smarrito il senso della storia e del suo eterno divenire.

 

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