
28 Apr Chiudo la porta e urlo, una lettura
Come non si scrive una biografia
Di Muriel Pavoni
C’era da aspettarselo, “Chiudo la porta e urlo” è una biografia che non è una biografia, dove si parla di Raffaello Baldini, poeta di Santarcangelo di Romagna della generazione di Tonino Guerra e Nino Pedretti, ma anche della vita di Paolo Nori, di sua figlia, della madre di sua figlia, di sua nonna Carmela… Cosa c’entrano tutte queste persone con Raffaello Baldini? Probabilmente niente, ma siccome niente o meglio il nulla è uno degli argomenti centrali del libro, in realtà c’entra praticamente tutto.
Dopo aver scritto di Dostoevskij e di Achmatova raccontando di sé, ora accade con Raffaello Baldini. Ma non è vero nemmeno questo. Il fatto è che certi autori entrano talmente tanto nella nostra quotidianità da diventare parte di noi, perciò quando se ne parla è impossibile non parlare di noi, perché assieme a loro abbiamo percorso lunghe tratte. Ci sono libri che hanno segnato punti di svolta nelle nostre vite, per questo li ricorderemo sempre. Inoltre ci sono temi che quando li troviamo tra le pagine ci riguardano. Per esempio una delle questioni principali delle poesie di Baldini è la morte e Nori, per il solo fatto di essere stato sul punto di morire almeno quattro volte nella vita, la morte la conosce intimamente e per questo motivo (e molti altri) la poesia di Baldini lo riguarda.
Gli argomenti che scandiscono i brevi capitoli sono quelli grandi: la morte, l’amore, la malattia, la vocazione, il posto nel mondo, però trattati in maniera piccola come nella poesia di Baldini. L’andamento è tortuoso, vorticoso, si parte da un punto verso una direzione apparentemente casuale, poi si torna indietro, e subito dopo ci si pone la domanda: come siamo arrivati fin qui? Dostoevskij spesso porta il lettore in una direzione per poi mandarlo fuori strada. A quel punto sono le molte ripetizioni e i rimandi a orientarci. Lo suggerisce Nori e lo dimostra nei fatti, il significato di una cosa cambia a seconda delle cose che la circondano, a seconda della luce che c’è intorno, per cui ripetere è un modo per cambiare i contesti e rivedere i significati, ripetere è inevitabile. In effetti la poesia di Baldini è una ripetizione, racconta di qualcosa che abbiamo sotto gli occhi ogni giorno, illuminata da una luce del tutto inedita, in un modo che ci sembra di osservarla per la prima volta.
In questo romanzo si parla di lingua, traduzioni e dialetti, perché Nori traduce dal russo e Baldini scriveva in un dialetto che è una lingua pari al russo. Dante sosteneva che il volgare fosse più nobile del latino perché è una lingua che viene naturale, della quale non si devono imparare le regole. Se si pensa che l’italiano è un insieme di dialetti, mentre il russo si parla identico in tutta la federazione, allora il russo ha più punti in comune con il dialetto romagnolo che con il latino. Perciò la lingua romagnola di Baldini ha pari dignità rispetto al russo: due lingue lontane che si avvicinano. Ci si può sentire a casa leggendo i russi come leggendo in dialetto romagnolo.
Baldini, un galantuomo schivo e gentile, tra queste pagine vive, umanamente, mentre la sua biografia è ridotta a una breve nota redatta da lui stesso per un editore. Le sue poesie ci parlano direttamente. È così che la letteratura, parlando d’altro, racconta di noi, di quello che stiamo vivendo, e mentre siamo lì che leggiamo, per esempio, una poesia di Baldini scritta in un altro momento, in un altro luogo, da qualcuno che non siamo noi, scopriamo qualcosa di esatto che ci riguarda con una precisione sorprendente. Nori si rispecchia continuamente nelle poesie di Baldini, ci si ritrova, trova significati, che è quel sentirsi meno soli di cui parla Nicola Borghesi alla fine di ogni spettacolo. Nori, con Borghesi, ha messo in scena “Se mi dicono di vestirmi da italiano non so come vestirmi”. Baldini, occupandosi di tematiche religiose per la rivista Panorama, aveva avuto il compito di scrivere un articolo sui Re Magi, e dopo essersi documentato aveva scritto: “Non erano tre. Non erano Magi. Non erano re”. Due fatti apparentemente distanti eppure connessi tra loro perché, delle volte, le cose più ovvie crediamo di saperle, come chi sono i Re Magi, oppure cosa significa essere italiani, poi uno si documenta e scopre che non è così, che sui Re Magi non sapeva nulla e l’essere italiani, come il concetto di patria, crediamo di averlo ben chiaro, invece sfugge. Esattamente come scrivere una biografia, prima di iniziare si crede di sapere, di conoscere l’autore, ma poi una volta approfondito il tema ci si rende conto che non è così, le cose sfuggono; e allora Nori ha scritto una biografia su Baldini dove Baldini si nasconde tra le pagine, dove Baldini parla di noi e Nori parla di sé e in un certo senso anche di altri autori, per esempio dei russi.
Ma poi, se si va a fondo, ci si rende conto che è Baldini a scandire il ritmo del libro, ne è il respiro, perché ogni argomento, come la poesia, la letteratura, la vita, il dolore, l’amore, la morte, la bellezza, le scelte, come quella di diventare scrittore, risuonano nella poesia di Baldini che si specchia a sua volta nell’autore di questo romanzo.
Com’era successo dopo aver letto le biografie di Dostoevskij e Achmatova, quando mi era venuta voglia di riprendere questi autori, stavolta ho avuto voglia di approfondire la poesia di Baldini. Io, come quasi tutti i romagnoli, almeno vent’anni fa, Baldini l’ho incontrato grazie a Ivano Marescotti. Una sera d’estate mi è capitato di ascoltare l’attore ‘romagnolissimo’ che aveva fatto l’impiegato comunale a Bagnacavallo, recitare delle poesie che facevano ridere e anche un po’ pensare, l’autore era proprio Baldini. Poi a teatro ho visto lo stesso attore portare in scena “La fondazione”, e lì ho capito la grandezza del poeta che in quel caso era anche drammaturgo. Mi ero comprata il libro, che avevo letto nell’edizione Einaudi col testo a fronte, cercando di capire il santarcangiolese con scarsi risultati. Oggi, dopo “Chiudo la porta e urlo”, mentre inizio leggere “La nàiva”, sempre col testo a fronte, cerco di nuovo di capire questo dialetto vicinissimo e lontanissimo dal mio, e mi rendo conto che neppure quella che ho appena scritto è una recensione.
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