Fil Rouge Project, Galleria d’Arte. In dialogo con Claudia Cannizzo e Marta Emilia Di Mauro

 

a cura di Ivana Margarese

 

Immagini di street art a Catania

 


Claudia Cannizzo e Marta Emilia Di Mauro sono le due fondatrici della Fil Rouge Project a Catania.
In occasione dell’inaugurazione della sede fisica della società Fil Rouge Project, Galleria d’Arte | Casa d’Aste | Hub Culturale, verrà presentata al pubblico una mostra d’arte contemporanea che coinvolge più artisti di origini siciliane o attualmente residenti in Sicilia, con lo scopo di veicolare e valorizzare le opere e il lavoro di questi autori. Il titolo scelto dell’esposizione è New Life, la “nuova vita” di alcuni elementi del nostro quotidiano. Il riciclo dei materiali come buona pratica e come forma espressiva e critica socio-culturale.


Fil Rouge Project, Galleria d’Arte, nasce quest’anno a Catania. Raccontatemi da cosa ha preso vita questo vostro progetto di imprenditoria femminile.

Il nostro progetto nasce dalla volontà di mettere a frutto i nostri studi ed esperienze nella nostra terra di origine. Abbiamo sempre amato l’arte e la cultura e questo ci ha spinte a studiare prima beni culturali all’Università di Catania, e poi economia e gestione delle arti e delle attività culturali a Venezia. Proprio durante la magistrale abbiamo avuto modo di delineare ulteriormente i nostri interessi e ambizioni, cominciando a pensare a cosa avremmo potuto creare. Ma ciò che ci ha motivate ancora di più, sono state le nostre esperienze all’estero: entrambe abbiamo toccato con mano un sistema dell’arte e un fervore tale, da spingerci a voler riprodurre queste stesse cose sul nostro territorio. A distanza di qualche anno, sebbene ci trovassimo in nazioni differenti, continuavamo a parlare dei nostri progetti, e da quì è nata l’idea di FRP, prima come semplice casa d’aste e galleria d’arte, poi anche come Hub culturale, spinte anche dalla consapevolezza di volerci autoaffermare come professioniste e come donne nel campo dell’arte.

Nel vostro comunicato stampa per la mostra New Life. Metamorfosi dei materiali come forma espressiva e critica socio-ambientale si legge: “Sono molti gli artisti che a livello internazionale usano l’arte come forma di attivismo e cercano per mezzo di essa, di aumentare la consapevolezza collettiva e far riflettere”. Vi andrebbe di parlare di questa mostra e dell’arte come forma di attivismo?

Viviamo in un’epoca in cui tutto sembra sfuggirci di mano, a partire dal clima, dall’inquinamento, dalle produzioni industriali in serie, e a molti altri aspetti che fanno sì che l’uomo sia un grande consumatore di qualsivoglia prodotto ma che ne sia inconsapevolmente succube. Anche in arte la cosa non è particolarmente diversa, spesso gli artisti si sentono in dovere di essere continuamente in una fase produttiva e di utilizzare mezzi di espressione sempre nuovi, per stupire gli spettatori. Ma cosa accade se ci fermiamo un attimo a valutare l’impatto di una produzione spasmodica? Si vedrà in primis come la maggior parte degli artisti – anche quelli inesperienti- si esprime su tela, con l’uso di pennelli, spatole, colori acrilici, ecc. Tutti materiali molto accademici, se così si può dire. E sebbene poi i vari artefatti siano tutti diversi tra loro per contenuti e mano che li ha generati, concretamente è il materializzarsi anche in arte di una forma più elusiva di distrazione e consumismo. Eppure, vi sono moltissimi artisti che proprio in virtù delle difficoltà di questo periodo storico, riflettono su quello che è l’impatto dell’uomo sulla terra. Così come fanno gli artisti nella nostra mostra, in cui ognuno, con mezzi espressivi differenti, cerca di sottolineare tematiche diverse. C’è chi si concentra lo sfruttamento e l’abusivismo edilizio, la cui logica conseguenza sono la nascita di numerosi edifici, e il totale abbandono e stato di degrado di quelli pre-esistenti, che vanno così a costituire ulteriori elementi di degrado. C’è chi poi cerca di sensibilizzare e sottolineare l’enorme quantitativo di plastiche in uso dall’uomo, le quali vanno ad inquinare e a richiedere tempi di smaltimento molto lunghi, portando l’artista a chiedersi in che modo possa intervenire positivamente su questi materiali, e da qui, a trattarli non più come scarto ma come materia prima che generi bellezza. Si continua con artisti che sottolineano la necessità di ritornare a connettersi in modo più rispettoso con la natura, ritornando alle origini. Da qui anche l’uso di materiali di scarto può essere contemporaneamente una provocazione, un tentativo di sensibilizzazione verso la società che con troppa leggerezza ignora le problematiche esistenti. E infine, vi è chi adopera tali materiali anche come semplice sperimentazione artistica, una ricerca che si basa su temi sensibili e che sfoci poi nella creazione di qualcosa di gradevole e utile per la collettività.



Vorrei chiedervi del progetto DISCUVRY.

Si tratta di un progetto avviato dall’architetto e illustratrice siciliana Chiara Ciccarello insieme all’architetto giapponese Yukihiro Taguchi, i quali partendo proprio da una riflessione sull’inacessibilità economica delle case berlinesi, realizzarono delle case fatte di legno componibili, utilizzando anche dei materiali di scarto trovati in giro per la città. Inoltre Ciccarello e Taguchi si interrogavano sul significato delle creazioni artistiche e dell’arte, e sul loro impatto sulla società. Da qui l’idea di realizzare delle case economiche, ecosostenibili e a impazzo zero, costruite senza usare elettricità, coerentemente con le risorse disponibili. Il progetto vide i due artefici abitare in una di queste case per un anno e mezzo, a loro si aggregarono molte altre persone, finendo per realizzare un vero e proprio quartiere. Dopo qualche tempo le case furono smantellate e gli artisti riproposero questo stesso progetto anche in altre città e nazioni, ovunque accolti con grande fervore.


Come descrivereste la città di Catania e le sue peculiarità all’interno del territorio siciliano? Pensate che l’isola possa rappresentare in quanto “margine” un punto di osservazione privilegiato anche per muovere una trasformazione?

Si, abbiamo potuto toccare con mano come in questa città stia nascendo un fervore artistico culturale anche e soprattutto tra i giovani, grazie alle numerose iniziative e realtà esistenti. Sebbene la Sicilia non sia uniforme dal punto di vista culturale, poiché le disparità sono evidenti non solo tra le città e l’entroterra, ma anche da città a città; abbiamo potuto appurare come negli ultimi anni nella nostra città, qualcosa sia cambiato. Catania, è una città molto attiva, che per lungo tempo non ha vissuto una forte apertura al settore culturale dal punto di vista demografico, in quanto è sempre stato visto come un contesto elitario per persone più adulte appassionate e/o esperte in materia. Tuttavia negli ultimi anni le cose stanno cambiando, noi riteniamo che sia anche grazie a tutti quei giovani che hanno avuto la possibilità di vedere altre realtà e riprodurle sul nostro territorio, e merito anche, di tutte quelle persone che quotidianamente si impegnano per portare valore aggiunto alla società. Crediamo che un luogo come la Sicilia, dove molti giovani sono dovuti andare via per cercare la propria strada e realizzazione altrove, possa essere un domani, quel luogo dove fare ritorno, proprio in virtù delle potenzialità che possono nascere grazie a chi è andato via, ed è tornato con un bagaglio culturale carico di buone pratiche e di voglia di fare la differenza. Questo, è un po’ anche il nostro obiettivo, fare parte di una rete che smuove le coscienze, dal punto di vista artistico e non,e si faccia portavoce di una cultura più diffusa. Non sappiamo come reagirà la città alle nostre proposte, ma dalle attività già intraprese in passato e allo stato attuale, ci sentiamo di dire che una curiosità e una voglia di partecipazione c’è, soprattutto tra i giovani che vogliono scoprire un mondo per loro finora troppo distante, e per quella parte di artisti che si sono sempre sentiti di non avere un luogo in cui esprimersi.

Pensate che oggi un termine come utopia possa avere ancora valore?

Si, sicuramente la parola “utopia” non è passata di moda, soprattutto perché in molti contesti, è difficile approdare a un cambiamento radicale o ad una svolta, tuttavia, dipende da come si intende questo termine. Ciò che può essere visto come utopico nella generalità di un progetto, può trasformarsi in realtà a partire da piccoli passi e piccole cose, pertanto non riteniamo che ci siano cose completamente irraggiungibili, ma che a volte è più facile raggiungere dei piccoli risultati passo per passo, anche se non si è capaci o non si riesce a portare a termine un progetto nella sua interezza. Utopico spesso è considerato già il pensiero di partenza, ma nel momento stesso in cui si fa un tentativo, quell’utopia cessa già un po’di esistere. Questo è anche quello che noi stiamo cercando di fare con Fil Rouge Project.


In conclusione vorrei mi parlaste di un artista che nel vostro percorso personale e professionale ha rappresentato una svolta, un’accensione, una visione nuova ( uno per ciascuna se potete).

Moltissimi sono gli artisti che sono stati significativi nel nostro percorso. Sicuramente per me, Claudia, Alberto Burri ha rappresentato un punto di svolta nella comprensione del significato di arte contemporanea. Non sempre ciò che l’arte ha prodotto da inizio ‘900 riesce ad essere compreso, ma nel mio caso Burri mi ha aperto gli occhi. La sua prima mostra che ho visto dal vivo mi ha emozionata e mi ha permesso di capire come un’opera trascenda dal suo supporto o dai suoi materiali, e che il suo potere sta nelle emozioni e messaggi, più o meno velati, che ci racconta. Credo che quello sia stato un momento fondamentale per capire l’indirizzo che volevo dare al mio percorso. Altre mille volte mi sono emozionata o appassionata ad altri artisti, ma quella mostra rimane sempre il mio punto di svolta.
Per me – Marta – ogni artista studiato nel mio percorso accademico ha rappresentato qualcosa, sia in positivo che in negativo, ma a colpirmi profondamente, con egual intensità, sono stati due artisti che non si trovano sui libri di storia dell’arte, ma che ho avuto il piacere e il privilegio di incontrare di persona. Uno di questi è Turi Simeti, conosciuto nel periodo in cui lavoravo presso una galleria veneziana che esponeva le sue opere. Unuomo e un’artista con una visione più ampia seppur semplice. Mi piacevano molto le sue opere già prima di incontrarlo, ma avere l’opportunità di addentrarmi nella sua visione delle cose, e parlargli come se fosse la cosa più normale del mondo, sentendolo spiegare come le forme, lo spazio e i colori da lui usati nelle sue opere, non siano altro che piccoli tasselli che compongono la nostra vita quotidianamente, mi stupì molto. Era una cosa ovvia, ma non ci avevo mai pensato, così realizzai grazie a lui, che i suoi cerchi altro non erano che le geometrie che compongono ogni oggetto, così come i colori scelti, altro non erano che i colori che vediamo in ogni abito, casa, cibo, mare e montagna, e che lui non faceva altro che scomporli fino a ridurli all’indispensabile, per poi rappresentarli in tutta la loro semplicità. E quella stessa semplicità diventava ai miei occhi equilibrio, forma, colore e meraviglia.
Un altra artista che mi ha colpito molto, è RE, Emanuela Ravidà, sembra strano in quanto oggi espongo questa stessa artista nella mia galleria. Eppure, quando a soli 19 anni la conobbi durante una mostra a Taormina, mi innamorai subito della sua arte. Un’artista che – ai tempi in cui la conobbi io per la prima volta – lavorava con le porte, le finestre, e gli elementi naturali, oggetti che trovava qui e lì e che trasformava in opere d’arte. Ma non solo, già allora lavorava con la matericità dei colori e delle forme, ogni cosa che realizzava mi sembrava un capolavoro, una forma espressiva nuova. Così il vedere le sue finestre lavorate, nei cui vetri si intravedevano foglie e rami, mi trasmettevano mille emozioni, dalla tristezza, allo stupore, alla meraviglia;sentimenti non meno intensi di quelli che mi suscitavano le sue opere che rappresentavano il mare profondo. Ricordo ancora come rimasi per più di un’ora a fissare un’opera che rappresentava l’abisso dei mari, in una mostra svoltasi a Messina solo un anno dopo averla incontrata
. E tutto questo realizzato rigorosamente non dipingendo in modo accademico, ma mostrato con occhi e modi nuovi, con quella stessa personalissima ricerca che l’ha portata a ideare la tecnica dell’ironed plastic, oggi riconosciuta come sua invenzione. Così mi innamorai di quel suo modo di esprimersi e la seguo da allora, perciò oggi, a distanza di 11 anni, per me poter esporre le sue opere rappresenta la realizzazione di un obiettivo che parte da lontano e che forse è diventato più forte anche grazie all’incontro con lei.

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