Le impudiche paste delle vergini

 

a cura di Francesco Virga

 

Dobbiamo a Maria Oliveri un piccolo gran libro dedicato, con sapienza e passione, alla storia di un antico dolce siciliano, presente in forme diverse in tutta l’area mediterranea. L’antropologa Rita Cedrini, in Prefazione, oltre a confermare il rigore scientifico con cui l’autrice ha condotto la sua ricerca, non manca di notare il suo talento narrativo.
Il libro è articolato in due parti; nella prima Maria, oltre a citare i principali studiosi siciliani di tradizioni popolari, dimostra di padroneggiare il metodo seguito dall’antropologia culturale contemporanea nell’accostarsi ai mille volti dell’alimentazione umana. Il cibo, infatti, come ha dimostrato tra gli altri C. Lévi-Strauss, non serve solo a nutrirci. Il cibo ha un grande valore culturale perché, oltre a rispondere ad uno dei bisogni primari di cui ci ha parlato B. Malinowski, è strettamente legato al soddisfacimento di tanti altri non secondari bisogni.

L’autrice mostra una profonda conoscenza della sterminata letteratura esistente sull’argomento. Oltre agli antichi classici greci e romani – a partire da Esiodo, riletto con le lenti di J. G. Frazer, A. Momigliano, O. Kern e C. G. Jung – Maria cita frequentemente, in modo puntuale, le opere del Pitrè, di Antonino Uccello e di Antonino Cusumano. Ricostruisce sinteticamente, in modo efficace, gli antichi miti intorno alla Magna Mater (pp. 24-26), ad Artemide Efesia (la dea dalle mille mammelle pp. 27-28) e al culto di Iside che, dall’ Egitto si diffonde presto in tutto il Mediterraneo trasformandosi, in epoca cristiana, nel culto della Madonna che allatta (pp. 29-33). Particolare attenzione il libro riserva al legame del mito di Iside al culto di S. Agata (pp. 34-39).

Sulla mitica figura di Iside mi sembra il caso di soffermarsi un po’; non a caso il libro si apre con un Inno a Iside, risalente al III o IV sec. A.C. , dove si possono leggere queste parole: “ io sono la prima e l’ultima […] la venerata e la disprezzata […] la prostituta e la santa […] la sposa e la vergine […] la madre e la figlia […] la scandalosa e la magnifica(p. 3). Maria Oliveri ricorda che il suo culto si afferma in Egitto a partire dal VII sec. A.C. Una famosa statua rappresenta Iside che allatta Horus. La raffigurazione dell’allattamento al seno simboleggia il nutrimento fisico e spirituale insieme: nell’antico Egitto, infatti, il latte di Iside rendeva immortale il faraone (p.29). Dall’Egitto il culto si diffonde presto in tutto il Mediterraneo.
La prima parte del libro si conclude con una bella ricostruzione dei diversi riti di lattazione nel meridione d’Italia ed una interessante storia dell’allattamento nella città di Palermo nel corso degli ultimi due secoli (pp. 40-48).
Nella seconda parte, più ampia della prima, l’autrice affronta il tema principale della sua opera intorno alla storia del dolce denominato minni di virgini a Palermo e altrove con altri nomi, offrendo anche le diverse ricette del dolce. Questa è sicuramente la parte più brillante del libro che esalta quella che Rita Cedrini ha giustamente definito la “capacità fabulatoria” di Maria.
L’ impudico dolce, come è noto, attrasse l’attenzione anche di Giuseppe Tomasi di Lampedusa che, nel suo capolavoro, ironicamente si domanda: “Come mai il Santo Uffizio, quando lo poteva, non pensò di proibire questi dolci?”.
Il dolce in effetti ha la forma di un candido seno ricoperto di glassa, che nasconde un ripieno di crema di ricotta, sormontato da ciliegie candite che somigliano tanto ai capezzoli. Insomma il nome che le monache palermitane del monastero delle Vergini diedero alla loro creatura è assolutamente appropriato: minni di virgini.
Il dolce a Palermo, come dimostrano alcuni versi di Giovanni Meli, è già diffuso nel Settecento: “Di li Virgini su’ li beddi minni / Quantu eccellenti su’ tutti lu sannu / Saluti a cui ci spenni li ninni / Cui  nu’nni mancia ci vegna un malannu / […] / Biniditta la mamma chi li vinni / Biniditti ddi manu chi li fannu” (p. 53). Dalle ricerche fatte dalla Oliveri risulta che il dolce fosse una specialità delle monache del Monastero delle Vergini di Palermo.

Il dolce, in forme diverse, si diffonde in tutta l’Italia meridionale e Maria, con meticolosa cura, li descrive puntualmente indicando le varianti delle diverse ricette (pp. 57-101).

Nella sua bella conclusione Maria, dopo aver ricordato con A. Cusumano il valore simbolico del dolce, precisa: “Le impudiche paste delle vergini non alludono a nulla di osceno, con buona pace del Principe Giuseppe Tomasi di Lampedusa, pani e dolci a forma di mammella presenti in molte zone del meridione sono frutto della stratificazione di diverse culture presenti nel bacino del Mediterraneo, culture che nel corso dei secoli si sono incontrate e vicendevolmente influenzate(p.103). E pensando al nostro presente, con I.E. Buttitta afferma: “Nuovi miti, riti, linguaggi e scenari culinari si sono imposti in tutti gli ambienti sociali determinando il progressivo depotenziamento dei significati e delle funzioni religiose dei cibi festivi e la dispersione dei loro valori simbolici”. Così gli uomini d’oggi hanno smarrito la memoria di tanti antichi pani e dolci, hanno spezzato il loro legame col passato, hanno perso un’identità culturale che non sarà facile recuperare.

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