“Da luoghi lontani”

di Giorgio Galli

 

I “luoghi lontani” di cui questa raccolta di racconti si occupa non sono luoghi fisici: non è di viaggi sulla o attorno alla terra che si tratta e nemmeno di viaggi interiori, psicologici. Si parla piuttosto di luoghi metafisici, di accadimenti che vanno al di là di una comprensione strettamente razionale, e di mondi che sfuggono a un inquadramento percettivo basato sul senso comune.
Leggiamo nel risvolto di copertina: “Ombre di esperienze vissute, ricordi perturbanti, visioni della mente e attese del cuore si rovesciano qui continuamente in altro, mettendo in moto le trame di questi testi e intrecciandoli sottilmente l’uno con l’altro, in un andirivieni di sensi dove reale e irreale, materiale e immateriale, spazio e tempo non sono più elementi diversi e contraddittori dell’esperienza, ma parti di un dialogo necessario con l’esistenza, condotto in una lingua che solo in parte sappiamo decifrare”.
Da luoghi lontani (Arkadia, 2022) si configura così come un’opera corale, scritta a  più mani da tre autori che aprono prospettive diverse su un al di là della percezione di cui non sfugge il risvolto funebre, il senso di un al di là della vita che attraversa le loro produzioni.

Giovanni Agnoloni, Carlo Cuppini e Sandra Salvato hanno prospettive diverse. In Agnoloni si evidenzia soprattutto la presenza di un intra-mondo che si insinua tra le pieghe di quello oggettuale rendendone i contorni fluttuanti e inquietanti. In Cuppini assistiamo a una frammentazione del reale – e della prosa – all’interno di una visione basata sul senso kafkiano di un potere imperscrutabile e occulto che grava sulle vite degli individui, con l’amore come unica voce di riscatto, o almeno di non-alienazione, ancora possibile.
Nei racconti di Sandra Salvato si avverte il contrasto fra la matericità dello stile e i contenuti marcatamente fantastici, con la prevalenza della ricerca ossessiva di un varco che porti al di là del reale comunemente inteso.

Il libro intesse un dialogo di tipo musicale fra le tre visioni e i tre autori; l’articolazione in tre sezioni crea occasioni di convergenza e frattura di senso e di stile, ma non è sbagliato affermare che tutte e tre le voci sono voci epigonali e crepuscolari, di autori che hanno vissuto, per anagrafe, il passaggio dal mondo reale al mondo virtuale, dal mondo fisico a quello della Rete, e che protagonista della loro indagine è proprio la percezione allargata fornita dalla Rete. Esiste un modo di percepire il mondo che è figlio dell’epoca della Rete, e questi racconti ne sono lo specchio: il senso kafkiano di Cuppini è un senso kafkiano passato attraverso le enormi mutazioni di psicologia della percezione avvenuti negli ultimi decenni; le aperture verso l’Altrove di Sandra Salvato e gli intermundia di Agnoloni si offrono come elementi metatestuali di quel grande testo ancora in gran parte da decifrare che è il mondo degli esseri viventi. E il tempo, in tutti e tre, è il tempo non lineare della fisica quantistica, ma anche dell’ipertesto, caratterizzato da una quasi illimitata possibilità di muoversi avanti e indietro.

Il potere imperscrutabile e quasi divino di Cuppini non è più il potere del Padre kafkiano, ma quello più misterioso e frammentario della nostra epoca. La scelta di scrivere per frammenti risponde a un’esigenza profonda di rispecchiarne la natura e le dinamiche ancora semisoconosciute, così come esprimersi a frammenti sull’amore è l’unica scelta possibile per esprimere l’amore nel nostro tempo, secondo quanto insegna Roland Barthes.
Preservata dal decadimento fisico grazie alle sue protesi tecnologiche, la società contemporanea ha rimosso la morte dal suo orizzonte collettivo. Ma questi racconti non sembrano scritti in un post-vita, o in uno stato di dormiveglia simile a quello riferito in alcuni studi sulle esperienze di fine-vita? Un dormiveglia in cui i personaggi si trasformano in apparizioni e i dialoghi sono alternanze di monologhi. E dove la morte è diventata totalmente individuale, dove più che mai “quando si muore, si muore soli”.

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