Marguerite Burnat-Provins, la visionaria

 

di Ginevra Amadio e Ivana Margarese

Immagini tratte dalle opere di Marguerite Burnat-Provins

 

 

Marguerite Burnat-Provins è una figura di donna assai singolare. Pittrice, scrittrice, poetessa, viaggiatrice, non smise mai di cercare un altrove capace di restituirle una visione autentica del vivere, andando al di là di ogni convenzione e conformismo. Anche lei come Leonora Carrington – e ancor prima di lei – si esprime in diversi ambiti e crea un sincretismo visionario originale.
André Gide la definisce “una creatura straordinaria”  e scrive così parlando di lei in in una lettera a Francis Jammes del 5 maggio 1905:

“È una creatura straordinaria […]; sembra una creola e vive sotto un albero di cocco, ed è fiamminga. Vive completamente sola, vicino a Vevey, in un meraviglioso laboratorio che si è fatta costruire da suo marito, che è architetto. Ha un grosso cane e coltiva il suo orto…”.

Nata ad Arras nel 1872, figlia maggiore dell’avvocato Arthur Provins, Marguerite trascorre un’infanzia “affollata” di affetti, sensazioni, scoperte tra la città d’origine e Cantin, vicino a Douai. Prima di otto figli, mostra ben presto un’inclinazione per la scrittura tanto che a dieci anni scrive i suoi primi racconti e le prime poesie.
È il padre a spingerla sul sentiero dell’arte, come rivela lei stessa in una lettera che è già dichiarazione d’intenti: «Ho amato appassionatamente l’arte e la vita, ho ascoltato ciò che cantava in me, ho seguito la mia strada».

Non potendo studiare all’Ecole des Beaux-Arts di Parigi –  ancora riservata esclusivamente agli uomini  – Marguerite compie il suo apprendistato artistico presso l’Accademia Julian tra il 1891 e il 1895, sotto la guida dei pittori Benjamin Constant e Jean-Paul Laurens. Qui incontra Adolphe Burnat, uno studente di architettura svizzero che diviene il suo primo marito. Lo segue a Vevey, dove i suoceri conducono un’esistenza asfittica e limitante, segnata da un pregiudizio anti-libertario che mal si concilia con la natura esuberante di Burnat-Provins. Il fuoco vigile che la donna avverte dentro di sé si spegnerà, del resto, solo all’ultimo respiro, come mostrano le parole scritte in prossimità della morte: “Sono una donna anziana (77 anni e sette mesi) imbruttita, ingobbita, senza denti e troppo nervosa per reimpiantarli. Nonostante ciò lavoro senza sosta, ho adesso 2992 immagini disegnate e dipinte”.
La fuga dall’orizzonte di Vevey, del protestantesimo bigotto della famiglia acquisita, si articola inizialmente nella creazione di manifesti per la Fête des Vignerons, nell’apertura di un’attività di oggetti decorativi, nelle polemiche su rivista e nei continui, incessanti ‘prodotti’ d’arte. La povertà della materia – composta perlopiù di ritagli o di legno recuperato – fa dell’arte burnatiana un unicuum formidabile. Commentando quel mélange di testi e immagini che è Petits Tableaux valaisans, Henri Malo scriverà: «Non si può che rimpiangere […] che un libro del genere non sia stato realizzato in Francia, ma a Vevey».
Artista raffinata e poliedrica, Marguerite è freneticamente protesa a frequentare ogni ambito culturale, spendendosi senza risparmio lungo varie direttrici. Pittrice, scrittrice, ella appare in grado di far dialogare l’attenzione per il presente e la società con un occhio straniato, perso in visioni crepuscolari. È anche nota per essere l’autrice di un libro ‘scandaloso’ intitolato Le livre pour toi (1907), nato dal sentimento d’amore per Paul de Kalbermatten, giovane ingegnere per il quale lascerà il marito e il suo universo soffocante. Paul, alias Sylvius, è l’oggetto di cento liriche dal sapore erotico, censurate con il ritiro del volume dalle vendite nel 1909. L’opera sarà comunque ristampata 38 volte e tradotta in varie lingue, mentre Marguerite e Paul convoleranno a nozze nel segno del ‘nomadismo’, toccando il Marocco e l’Egitto prima di stabilirsi a Bayonne, nel sud della Francia.
I periodi di assenza del coniuge la inducono a un ascolto ossessivo della propria interiorità, già scandagliata nel periodo svizzero e portata all’estremo con lo scoppio della guerra. È il conflitto a determinare la nascita di Ma ville, serie di tremila acquerelli la cui genesi è rievocata in Vous (1918) dalla stessa Marguerite:

Ieri il temporale abortito mi ha fatto danzare l’elettricità nella testa, un lampo ha attraversato l’abalone più dorato, il campanile con il suo cattivo riflesso era minaccioso come un’arma. Una serie di personaggi ha preso il sopravvento nella stanza e ho dovuto disegnarli, come faccio spesso. Sono lì, mi stanno guardando. Hovèbre, il preoccupato, Manangule, il dormiente, Soblange, il affascinato. Ognuno di loro ha preso vita. Perché sono venuti, dopo tanti altri? Dall’inizio della guerra ne ho visti più di duecento. Da dove vengono tutte queste persone? Si evolvono attorno a una Principessa che non vedremo mai, è quella che non verrà. Lei è altezzosa, disincantata, solitaria, invisibile e questa Principessa credo proprio di essere io, una me del passato, del tempo in cui gli animali non parlavano nel mio palazzo vuoto e superbo. Come hanno parlato da allora! Non voglio più sentire e starò sempre più vicino agli abitanti muti di My-City-Mirage, circondato da visioni e fantasmi, dove la sera si intonano le viole della mia tristezza.

Ma ville è dunque un breviario di tempi tragici, il frutto di una modalità di rappresentazione visivo-evocativa che procede dai recessi della psiche e si incarna in esseri ibridi, metà uomini e metà animali, oppure bestie personificate, che ricordato le allegorie di Pieter Bruegel il Vecchio o le visioni di Heironymus Bosch.
Studiate dal medico e parapsicologo Eugene Osty, le creazioni di Burnat-Provins sono ricondotte al terreno del sogno, della rêverie angosciosa ma lucida:

Si potrebbe dire che sono elementi della vita sociale; parti interpretate da individui nei dintorni della vita cittadina; forme morfologiche o morali, le diverse forme del destino, tutti i tipi di attività umana e figurativa di credenze, superstizioni, difetti e qualità e molte personificazioni della Natura: le stagioni, il vento e così via.

Tutto, nell’universo di questa artista, ha a che fare con i ‘margini’ e sottende uno sguardo onirico capace di intuire l’inafferrabile. Così nella produzione letteraria, come dimostra la raccolta di cinque racconti recentemente pubblicata da Via del vento edizioni, a cura di Marco Alessandrini.
Il fil rouge di questi scritti è l’assenza, raccontata sia attraverso personaggi incapaci di vivere il presente, in fuga verso un altrove, sia attraverso la perdita di coloro che abbiamo amato e che non riusciamo a dimenticare. L’autrice crea atmosfere ovattate in cui il vento, il fuoco, gli elementi naturali e gli oggetti parlano con gli esseri umani e in cui il passato non viene mai sostituito da ciò che è presente o che verrà in futuro, ma sembra vivere accanto. Non a caso il primo dei racconti si intitola Il fantasma e ha come protagonista Charlotte, “ una donna-autunno, quasi una misteriosa apparizione”. Charlotte incarna l’inafferrabile, colei che sfugge.

Innamorata dell’immagine di Böcklin, di cui possedeva una incisione, dove si uccide un intero villaggio di uomini spaventati che tentano di scappare invano, la protagonista del racconto è attratta dalla morte e al contempo non apprezza gli esseri umani, il loro aver sminuito tutto per adattarlo alla loro grettezza, trasformando ciò che era vivo e libero in oggetti da museo, in qualcosa “che ha le radici dilatate ma non respira più, che scruta con immutabile lucentezza ma non vede più, che cammina senza avanzare e si curva, morta, su una preda dilaniata”. Non stupisce a leggere queste parole che Marguerite Burnat-Provins avesse l’ammirazione di Gide, poiché in lei sembrano trovare eco i pensieri nietzschiani delle Considerazioni inattuali. Lo scrittore, vincitore del premio Nobel nel 1947, prova grande riconoscenza verso il filosofo tedesco che, dice, ha il merito “di aver aperto una strada maestra là dove io non avevo tracciato che un sentiero”. Anche Gide peraltro, come Burnat-Provins, associa l’esperienza del sentimento d’amore a una esperienza fantasmatica, che si nutre di spazi d’assenza e si lega inevitabilmente alla pulsione di morte. Ne La porta stretta racconta con queste parole il sentimento conflittuale del protagonista:

Eh! Indubbiamente aveva ragione! Io non amavo più che un fantasma: l’Alissa che avevo amato e che amavo ancora non esisteva più […] se lentamente l’avevo sublimata, se avevo fatto di lei un idolo, adornandola di tutto ciò da cui ero affascinato, che restava del mio lavoro e della mia fatica? […] Alissa era ritornata al suo livello, mediocre livello dove mi trovavo io stesso, ma dove non la desideravo più. Ah come mi appariva assurda e chimerica quella tensione snervante verso la virtù per raggiungerla a quell’altezza dove solo il mio sforzo l’aveva collocata […]ma che significato aveva ormai l’ostinarsi in un amore senza oggetto; non si trattava più di fedeltà ma di ostinazione. Fedele a che cosa? A un errore.

Marguerite Burnat-Provins disegna esseri fantasticati: uomini, donne, esseri ibridi mescolati con animali o animali personificati.  Uno scavo profondo sul tema della metamorfosi e delle ibridazioni, che meriterebbe di essere ripensato attentamente.
Scrittrice e pittrice, in bilico tra art brut e Art Nouveau, fu capace di far convivere sulla pagina e sulla tela le inquietudini sue e dell’intero secolo, rivelando una sensibilità fuori dal comune e una autentica originalità. Elemento ricorrente inoltre in questa raccolta di racconti è il cuore, nominato come elemento autonomo, che trema, desidera, si confronta con perdite, abbandoni e cambia persino colore: i cuori azzurri dei bambini, i cuori gialli degli invidiosi, i verdi degli ipocriti, i marroni delle devozioni oscure e delle abnegazioni silenziose fino ai neri dei disillusi, che hanno morso tutti i frutti. I personaggi sembrano dunque comunicare tra loro in una zona innominabile, prossima alla follia. È, a ben vedere, il tentativo di restituire uno sguardo altro, prolungato e privo di potere quale è quello dell’arte e della letteratura.

Bibliografia

Marguerite Burnat-Provins, Il fantasma e altre prose inedite, a cura di Marco Alessandrini, traduzione di Marco Alessandrini e Stefano Serri, Pistoia, Via del Vento, 2022.

Pascal Le Maléfan, Marguerite Burnat-Provins la visionnaire ou L’œuvre imposée. Sur «Ma ville»: visions du Réel et dialogue avec l’objet a, in “L’Évolution Psychiatrique”, 69, 3, giugno-settembre 2004, pp. 393-408.

Éugene Osty, Deux étranges artistes : Mme Marguerite Burnat-Provins et Mme Juliette Hervy, in “Revue Métapsychique. Bulletin de l’Institut Métapsychique International”, 4,  Félix Alcan èditeur, 1930.

 

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