Diorama. Poesie di Laura Di Corcia

Diorama. Poesie di Laura Di Corcia

 a cura di Ivana Margarese

immagini di Stefania Onidi

 

 

All’incrocio fra il Tigri e l’Eufrate

una donna di argilla

mescolava il tempo.

Accanto a lei cadevano foglie

accatastate

pere, mele, milioni di libri.

Tutto si depositava

in silenzio, nel vuoto

si decomponeva subito dopo.

In mezzo alle gambe appassivano

le ultime stelle fiorivano i

predatori.

 

*

 

Voglio entrare nella tua bocca

voglio scoprire il Medioevo.

Dentro la tua bocca si sgretolano

muri tutto si accartoccia.

Sono dentro, sono dentro la tua

cavità infantile

e nuoto fra le stelle

rido a crepapelle.

 

*

 

Chissà se davvero gli iris

esistevano in qualche modo

(non loro, quasi loro)

gli iris che vivono con poco

ai tempi dei dinosauri e dei rettili

chissà se tutto non era calcificato

il melograno, questo odoroso

modo di dire guardami

ci sono esisto

io che protendo non braccia non

mani ma dita

fossili lunghi estesi sul mondo.

 

 

Il titolo del tuo testo “Diorama” è un richiamo allo sguardo, al vedere e la visione ritorna nei versi che concludono la raccolta: “E le cose visibili diventano invisibili e le cose invisibili diventano visibili”.
Un artista in effetti è anche qualcuno che vede quello che gli altri non vedono e testimonia come l’ invisibile non possa essere separato dal visibile. 

Prima di tutto ti ringrazio per aver rilevato la connessione fra il titolo e il distico finale di “Diorama”. Il guardare attraverso significa in effetti cogliere i due piani della realtà, quella quotidiana, che si vede, e un altro piano, il noumeno che appare quando riusciamo a spostare lo sguardo oltre il dato fenomenico, ad aspettare che il suo aspetto appariscente svanisca per lasciare spazio ad altri messaggi, più cifrati e forse più interessanti. Del resto, ho sempre pensato che le cose invisibili siano più importanti di quelle visibili. E quelle invisibili spesso diventano visibili se lasciamo sedimentare (un invito che proponevo alla fine del mio libro precedente, “In tutte le direzioni”), se riusciamo a concedere alle cose il beneficio del tempo. Per questo in “Diorama” è molto presente anche il tema dell’attesa, soprattutto nella seconda parte, intitolata “Trincea” e composta da prose poetiche. Attesa come fiducia in un orizzonte di significato che necessita di un percorso per venire visto, per essere compreso. Tutto profondamente inattuale, temo.

“Ma sia chiaro: quella bambina che striscia nei corridoi e cerca lo specchio d’oro, il salto, la mappa, l’isola del tesoro… esiste per sempre”. La figura della bambina, come quella della casa e del nascondiglio sono ricorrenti nei tuoi versi. Al contempo la tua scrittura sembra volgersi verso un perdersi temporaneo dell’io, che pure viene affermato e richiamato.

Nei miei testi cerco sempre di indagare il rapporto fra io e non io, che appare nei termini dell’enigma e anche del perturbante, secondo l’accezione che ne diede Freud. Il fatto che la realtà sia separata da noi è perturbante, alienante. Ed è perturbante e alienante scoprire che la stessa realtà ci appartiene. La nostra posizione è enigmatica e ambigua. Le piante, i fiumi e le montagne sono l’alterità su cui si posa lo sguardo e che non può essere spiegata. Siamo sempre quel bambino e quella bambina che per la prima volta si guardano allo specchio, conturbandosi nel riconoscersi come “entità” separate dal resto. Cerchiamo l’unità e al contempo la temiamo. Siamo vittime del gioco degli opposti.

Memoria e metamorfosi mi paiono parole chiave nella tua poetica. Potresti dirmi qualcosa in merito?

La memoria è una memoria storica che ricorda le vite dei singoli e delle singole, vite spesso spezzate dalla violenza della Storia con la “S” maiuscola che sembra avere altri piani, meno comprensibili, e non provare pietas per il destino di ciascuno di noi. È una memoria che affonda le radici nei drammi del passato arrivando fino a quelli del presente, per esempio l’orrore della persecuzione contro il popolo curdo visto attraverso lo sguardo di un mio ex allievo, Memduh, costretto a scappare dalla Turchia con la sua famiglia per poter condurre un’esistenza serena. Ora, può sembrare che questo posare lo sguardo sulla sofferenza sia contraddittorio rispetto all’invito a lasciar sedimentare e aspettare che il quadro si componga in unità. E forse è davvero una contraddizione. Ma, come ritengo che sia necessario credere, credere fortemente nell’invisibile, allo stesso momento non posso sottrarmi dalla ferita dello sguardo. E allora credo che sia necessario infilare una lisca nella mano, ascoltare la voce di chi soffre, per riconoscersi in quella sofferenza e in quella povertà che è il nostro luogo originario. Siamo tutti nudi, nessuno escluso. Ma la via per la salvezza è lì, a portata di mano. Miracolosamente.

Biografia

Laura Di Corcia vive e lavora nella Svizzera italiana, dove lavora come insegnante e collabora con varie testate giornalistiche e radiofoniche in qualità di critica letteraria e teatrale, nonché di drammaturga. Ha pubblicato la raccolta di poesie In tutte le direzioni (LietoColle, 2018); Epica dello spreco (Milano, Dot.com Press Poesia); la biografia sotto forma di intervista Vita quasi vera di Giancarlo Majorino (Milano, La Vita Felice, 2014; serie Sguardi), un lavoro con spessore filologico. Alcuni suoi testi sono stati selezionati per un’antologia di poeti italiani in America curata dal professor Luigi Ballerini, di prossima pubblicazione. La sua nuova raccolta di poesie è stata pubblicata a settembre dalla casa editrice TLON, per la collana Controcielo.

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