Gabriele Basilico: note su paesaggio e sospensione

Gabriele Basilico: note su paesaggio e sospensione

di Santo Eduardo Di Miceli

 

 

 

Gabriele Basilico, nato a Milano nel 1944, ha ricevuto il premio Osella d’oro per la fotografia di architettura  contemporanea attribuitogli dalla VI Biennale di Architettura di Venezia. Il punto di partenza del suo lavoro è rappresentato dalla serie Milano, ritratti di fabbriche, il primo lavoro svolto senza soluzione di continuità dal 1978 al 1980.

Questo lavoro è dedicato a tutta l’area industriale periferica di Milano e si pone come un’interpretazione della sua morfologia urbana. La fotografia di architettura e di paesaggio urbano è stata al centro del dibattito tematico nel nostro paese negli ultimi 20 anni. Ciò ha generato una nuova attenzione e una nuova sensibilità verso il paesaggio e in particolare verso la sua trasformazione recente. Questi confronti coinvolgono direttamente il Basilico fotografo poiché a cavallo degli anni ’60 e ’70 studia architettura e di conseguenza il rapporto tra cultura del progetto e cultura della visione continua a rappresentare per lui un cantiere aperto nell’esperienza della fotografia.
Naturalmente il pensare e fare architettura comportano una grande responsabilità civile e politica, che in apparenza il far fotografia non ha, in quanto tende a sfruttare tutta la libertà possibile di interpretazione del reale, tipica del comportamento dell’arte. Nello stesso tempo durante questi anni c’è stata, nell’esperienza dei fotografi in Italia e all’estero, una coincidenza di pensiero e un’esperienza sul campo che hanno spostato l’asse dell’impegno, tipicamente professionale, teso a restituire una nuova bellezza agli edifici verso una più articolata e problematica rappresentazione dell’architettura, come se essa, cioè i luoghi, gli oggetti e lo spazio della città fossero i partners di una disputa conoscitiva aperta in cui confrontarsi.
Basilico tende a riproporre l’architettura, filtrata dalla luce, in modo scenografico e monumentale. Dice di sé:

“[…] Ho rivisto le immagini nascere da un’operazione di astrazione, di isolamento, di assenza. Ho individuato un metodo per capire e per scoprire ciò che a volte si osserva in modo confuso e miope. Ho trasferito l’oggetto della mia percezione dalla macchina fotografica alla carta, e quando le immagini stampate in bianconero mi hanno ricondotto con esattezza ai luoghi, suscitando le stesse emozioni, ho avuto la verifica che cercavo. Così in un modo abbastanza casuale è iniziato il mio lavoro più lungo di quel periodo, che mi ha coinvolto per due anni e mezzo circa. Ho percorso sistematicamente tutte le strade della periferia milanese, utilizzando carte topografiche 1:25.000 con evidenziate le aree produttive. Con la fotografia ho prelevato un numero enorme di frammenti di architetture anonime, ricomponendoli alla fine in un progetto che ha avuto come esito un libro e una mostra al PAC di Milano nel 1983”.

Fotografo delle città inizia un percorso che parte da Napoli, Trieste, Genova, Rotterdam, Anversa, Amburgo, Barcellona, Vigo, Losanna, Zurigo, Madrid, e approda a Bilbao, Nizza, Graz, Francoforte, Palermo, Napoli e infine a Berlino. Dopo 15 anni esatti dal lavoro delle fabbriche, è nato un secondo progetto fotografico sulla città di Milano.
Nel 1996 la Biennale di Venezia, VI Mostra Internazionale di Architettura, gli affida l’incarico di un grande lavoro fotografico sulla trasformazione sul paesaggio italiano. Insieme a Stefano Boeri propone un viaggio on the road, in diversi luoghi del paese, da una città all’altra:

“Per capire come è cambiata l’Italia, abbiamo perimetrato sei porzioni del suo territorio, lunghe 50 Km. e profonde 12 Km., ritagliate a partire dal centro di alcune grandi conurbazioni: da Milano verso Como, da Mestre/Venezia verso Treviso, da Firenze verso Pistoia, da Rimini/Riccione verso il Montefeltro, da Napoli verso Caserta, da Gioia Tauro verso Siderno.
Scorrendo verso l’esterno delle città storiche, la macchina fotografica ha registrato tutto quello che era cambiato entro queste sei ‘fette’ di spazio, intercettando le trasformazioni, la loro intensità, i loro rapporti con le parti urbane più consolidate, usando la ripetizione degli stessi manufatti come una cartina di tornasole per cer- care, luogo per luogo, differenze e declinazioni. dappertutto, spesso addossati l’uno all’altro in modo incongruo. Costruzioni modeste, ma preoccupate di distinguersi da Sento che quello che si muove intorno a me è troppo veloce, io sono lento, anche mentalmente. Ho bisogno di rallentare, fotografo con il cavalletto. Mi rendo conto però che il mio ultimo lavoro su Milano possa risultare un po’ schizofrenico perché uso tre immagini ogni volta ed è come se non avessi più fiducia della staticità. Tendenzialmente, però, la sospensione della vita che scorre è un elemento importante della mia narrazione”.

E continua:

“Credo di essere un testimone del confronto, lo scambio e l’incrocio di esperienze con la cultura architettonica. In questa cultura, come altri artisti e fotografi che hanno come obiettivo la rappresentazione del mondo, mi sono ritrovato. Sarà interessante, nei prossimi anni, misurare questo interesse e scoprirne la durata. Ormai il lavoro di chi si occupa di immagini è diventato più visibile e ha maggiori possibilità di interfacciarsi con altri ambiti”.

Basilico, nella realizzazione dei suoi lavori, si recava più volte nello stesso luogo, per una maggiore empatia in quanto secondo l’artista nel gesto del ritorno scattano meccanismi che fanno parte anche della psicologia e riescono a risvegliare energie generalmente sepolte.
Dopo una grave malattia combattuta per circa un anno e mezzo, nel mese di febbraio del 2013 si è spento in un ospedale della sua città natale. Gabriele era un fotografo generoso, in punto di morte ha deciso di fare donazione dei suoi occhi per fare in modo che un’altra persona potesse continuare l’esperienza del “vedere” il mondo con i suoi occhi.

 

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