vento santo. poesie inedite di Nicola Grato

vento santo. poesie inedite di Nicola Grato

a cura di Antonino Gangemi

Immagini fotografiche di Salvina Chetta

 

 

L’Italia è un paese dalle antiche radici contadine, che tuttavia da tempo si vanno sgretolando. Fin dalla metà degli anni ’70 del secolo scorso, quando Pasolini nei suoi “Scritti corsari” denunciò il mutamento antropologico degli italiani vittime di un dilagante consumismo che ne intossicava, deformandola, l’anima contadina.
Che cosa rimane, se qualcosa rimane, oggi dell’universo rurale?
Nicola Grato, talentuoso giovane poeta siciliano, vuole recuperare, catturandoli con i suoi versi come in istantanee fotografiche, i segni residuali dell’universo rurale. Li cerca e li trova soprattutto nei piccoli centri, nelle comunità ai margini delle metropoli, nei paesi, dove tuttora si perpetuano (ancora per quanto?) riti, costumi, stili di vita di quel mondo in via d’estinzione. In ciò la poesia di Grato rivela uno stretto legame con la “paesologia” di Franco Arminio, quella filosofia di vita (se così la si può definire) secondo la quale occorre riappropriarci dei nostri borghi e paesi per rivitalizzarli perché in essi si annida l’humus delle nostre radici. Da qui, nei versi di Grato, l’attenzione per tutto ciò che è “minimo e minore”, apparentemente privo di significati e d’intrinseca vitalità – oggetti, attrezzi, usi, mestieri – ma che richiama il modus vivendi figlio della cultura contadina: “Avere cura dell’inferno – / la misura del mondo è lo sguardo d’affetto, / l’incantamento – / per un muro, un vecchio, una stalla, / un rivo secco – per il paese in cui vivo”. E, unitamente a tale attenzione, vi è in Grato la “pietà per le cose perdute” che non si traduce, nel suo indugiare nel passato, in una lamentazione asfittica e non l’ascrive a un neo-crepuscolarismo contraddetto dalla luminosa voglia di vita che emerge in molte sue poesie: “Lode alla pienezza – / allo splendore del giorno, / al saluto dato e ricevuto, / al volto muto e a quello ciarliero / alla gioia e all’attenzione, / lampade buone del cammino: / alla grazia di un sorriso, / di una rondine sola – / di una rosa che dorme / in un giardino”.
Se il tratto preminente della poesia di Grato è l’amore viscerale per il mondo rurale e per le comunità che ancora ne conservano gli stigmi e acclarata è la sua “affiliazione” alla “paesologia” di Arminio, altro ancora connota la cifra della sua ispirazione, assai più limpida rispetto a quella del poeta di Bisaccia e del tutto refrattaria alle volubili tendenze delle mode letterarie. Una certa vocazione narrativa, innanzitutto, che l’avvicina al Pavese di “Lavorare stanca”, il gusto per l’essenziale in una versificazione volutamente scarna, epurata dalle scorie del superfluo, la musicalità avvolgente e sobria riconducibile alla migliore tradizione italiana del ‘900, e – più evidente nell’ultima silloge, “Le cassette di Aznavour” – un afflato esistenziale che disvela, pur nel saldo ancoraggio all’immanente, quasi una tensione “religiosa”, la “religiosità” manifestandosi nello stupore per tutto ciò che nella provvisoria avventura della vita appare frutto del prodigio, gravido di misteri e privo di risposte.
Come detto, Nicola Grato è un poeta giovane, e inoltre le tre sillogi fin qui date alla stampa – e tra di esse una raccolta di racconti, “Teresa vestita di vento”, ricca di accenti lirici, tutta da riscoprire – sono segnate da una significativa evoluzione stilistica (netto è soprattutto lo scarto tra la prima e la seconda) che lascia presagire ulteriori passi in avanti in una produzione che già ora risulta tra le più apprezzabili e singolari almeno in Sicilia.

Antonino Cangemi

vento santo.

sotto la terra la vite
cieca di luce darà grappi
di uva zuccherina; voci
smarrite nel tempo, tu che fumavi
piano in balcone nelle ore
vuote del dopocena.
Ha sonno, fame, freddo;
guarda nel buio, sente lontano
un fischio di treno ‒ chiede poco
riceve meno, l’uomo; sa di vecchio
il mondo, fatica senza dono il seme
e noi che vogliamo il pane:
come l’uva e la spiga
aneliamo al sole buono ‒
e alle nuvole colme di pioggia
fina: affratellato alle rocce
il nostro corpo, all’incanto
del primo sole al mattino,
dimora del vento santo.

fotografia.

ottobre di lenzuola dai balconi
stesi e tenaglie sui vetri, le mosche
hanno sonno, chissà le formiche ‒
e tu cerchi sempre parole nuove
dall’altra parte della vita, musica
antica di un salone, il sole la pioggia
le fotografie che ti hanno cresciuto
e una, più di altre: tuo padre, il viso
asciutto ‒ militare al Castello Maniace.

dov’era il laghetto.

dov’è l’aula bunker un tempo era
un laghetto d’inverno coi gabbiani:
mia madre lo chiamava lago triste
e nessuno sa forse di quel lago
pozza effimera, riconco di sporcizie ‒
ora è un luogo che però ha memoria
di me, di noi tutti che guardavamo
una città riflessa in una pozza.

Biografie

Salvina Chetta (Palermo 1982) vive a Mezzojuso (PA). Si è laureata in Lettere moderne ed è insegnante di Sostegno nella scuola primaria. Ha fatto parte della Compagnia del Teatro del Baglio di Villafrati (PA). Studia fisarmonica e si interessa di musicoterapia. Ha pubblicato alcuni saggi sull’emigrazione siciliana in Tunisia. Per la rivista “Nuova Busambra” ha curato la rubrica “Nivura simenza” sulle scritture popolari.

 

Nicola Grato (Palermo, 1975) è laureato in Lettere moderne con una tesi su Lucio Piccolo. Insegnante di scuole medie, ha pubblicato tre libri di versi, Deserto giorno (La Zisa 2009), Inventario per il macellaio (Interno Poesia 2018) e Le cassette di Aznavour (Macabor 2020) oltre ad alcuni saggi sulle biografie popolari (Lasciare una traccia e Raccontare la vita, raccontare la migrazione, in collaborazione con Santo Lombino); sue poesie sono state pubblicate su riviste cartacee e on line e su blog quali: “Atelier Poesia”, “Poesia del nostro tempo”, “Poetarum Silva”, “Margutte”, “Compitu re vivi”, “lo specchio”, “Interno Poesia”, “Digressioni”, “larosainpiù”, “Poesia Ultracontemporanea”.

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