Perché i poeti nel tempo delle migrazioni?

La sezione Nuvole ospita una riflessione di Francesco Bellusci su Chamoiseau, erede del “pensiero poetante” di Édouard Glissant. Scrittori come Chamoiseau meglio di altri ci ricordano che noi siamo i legami e le relazioni che tessiamo con gli altri, che oggi siamo fili inestricabili e che questo deve diventare una nuova soglia nel processo di umanizzazione.

Perché i poeti nel tempo delle migrazioni?

 

di Francesco Bellusci

 

Fino a ieri, fili spinati, muri, porti chiusi, campi profughi rigidamente sorvegliati, frontiere di nuovo sacralizzate. Poi, inaspettatamente, è bastato un virus, con la sua letale e incontenibile forza migratoria in tutto il pianeta, a mettere a nudo la paranoia crescente di un mondo che, pur globalizzandosi, erigeva barriere immunitarie rispetto al vicino, invece di stringersi in un destino comune con lui, o che considerava una minaccia il migrante umano, che invece avrebbe dovuto accogliere come un fratello disperato.
Volevamo renderci, noi umani, ancora estranei e stranieri in un mondo in cui nessun vivente lo è mai all’altro.

Eppure, nel nuovo “tempo della povertà” in cui l’Umano stentava di nuovo a essere riconosciuto dagli umani, nella sua Dichiarazione dei poeti, lo scrittore e poeta della Martinica Patrick Chamoiseau aveva gridato la verità: “Mai orfano, mai privo di effetti, il dolore non conosce frontiere” (la Dichiarazione si trova in appendice a: Pour une hospitalité mondiale, Éditions du Seuil, 2017).

Chamoiseau è l’erede del “pensiero poetante” di Édouard Glissant e della sua idea di Tutto-Mondo che sconfessa gli scempi e la barbarie del Tutto-Mercato Globale e della sua idea di “Relazione” che tutto governa, tutto innerva, tutto rimescola, tutto precede e tutto rende potenziale, e trascende il “fatto relazionale” degli scambi economici mondiali che storicamente hanno legato, ma sono stati e sono anche veicolo di sopraffazione, di violenza assimilatrice, di omologazione, di atti predatori, di distruzione ambientale, nascosti all’ombra della connettività digitale e delle mastodontiche supply chains.
Una poetica della Relazione può incarnare l’umanesimo solo nell’umile riconoscimento della pienezza del vivente, come recita la Dichiarazione: “I poeti dichiarano che il reciproco compimento dell’universo, del pianeta, del vivente e degli uomini non può che essere concepito in una pienezza orizzontale del vivente” e che nel “mistero del vivente”, contenuto a sua volta nell’enigma dell’universo, “palpita la poesia degli uomini”.
La relazione viene per prima, diceva anche il geniale antropologo e psicologo Gregory Bateson. Ma, soffermava la sua attenzione su un altro dato. Da una parte, secondo Bateson, abbiamo la natura sistemica dell’essere individuale, la natura sistemica della cultura in cui egli vive e la natura sistemica del sistema biologico, ecologico, che lo circonda; dall’altra parte, abbiamo la distorsione curiosa della natura sistemica dell’uomo individuale, per effetto della quale la coscienza è, quasi di necessità, cieca di fronte alla natura sistemica dell’uomo stesso.
Perché i poeti, allora, nel tempo delle migrazioni? Per combattere questa cecità, direbbe Chamoiseau. Per ricordare che le differenze culturali non sorgono per cristallizzarsi mortalmente in essenze, ma per tenersi in vita nella relazione, nell’apertura. Per ricordare che le ricchezze delle nazioni si salvano se diventano e si candidano a essere il patrimonio di tutta l’umanità e non solo dei suoi cittadini.
Non solo. Non c’è l’umano e la natura. Tutto è terrestre sulla Terra. Non c’è più esilio, non c’è più terra straniera su cui camminare. Homo Sapiens è Homo migrator, e non è anche il pensare non un filo teso tra soggetto e oggetto, bensì un migrare dal territorio alla terra e dalla terra al territorio, come ci hanno insegnato Gilles Deleuze e Félix Guattari?


La parola poetica annulla le partizioni e i “sacri” confini del discorso del Politico moderno. Missione dei poeti è l’invito all’aprirsi all’Aperto e proclamare “l’andare-e-venire e virare dalle rive del mondo” come un “Diritto poetico”.
“Poeticamente abita l’uomo su questa terra”, diceva Hölderlin dalla rive del Neckar, e oggi gli fa eco, dalle sponde della Martinica, Chamoiseau, ma includendovi tutte le bio(umano)diversità della terra. Ha scritto Edgar Morin: “La poesia è forse nata con la vita, dalla gioia di esistere del batterio, e si è manifestata nei fiori, negli ornamenti, nei colori, nei voli, nei salti, negli stiracchiamenti voluttuosi. E ha incontrato la prosa, la morte, la tragedia”. Ecco, perché nessuno può essere privato dell’altro, ovvero del passare, dell’attraversare, dell’essere accolto. Significherebbe penalizzarlo nel suo diritto di abitare poeticamente la terra.
Beninteso, non c’è nella Dichiarazione dei poeti di Chamoiseau né antropocentrismo né biocentrismo. La lezione della pandemia è anche una lezione sull’ambivalenza della Relazione: nella biosfera, nel vivente, nel culturale, nel politico. Essa si muove sul crinale della tensione tra parassitismo e simbiosi. Ma rimuoverla o negarla, come fa la narrazione del globalismo liberista o dei neonazionalismi, significherebbe rinunciare agli sforzi consapevoli di convertire il più possibile il primo nella seconda e ciecamente (la “cecità” di cui parlava Bateson) preparare la via a nuovi collassi globali ecologici, sanitari, economici, politici, invece di coltivare la via dell’ecosistema relazionale, come lo chiama Chamoiseau.
Insomma, leggere gli articoli di questa Dichiarazione è ancora una volta la dimostrazione che, per dirla con le parole delle celeberrime pagine di commento alla poesia di Hölderlin di Martin Heidegger, “la poesia ha l’aspetto di un gioco e tuttavia non lo è”.

 

Biografia

Francesco Bellusci si laurea in Filosofia all’Università “La Sapienza” di Roma nel 1995. Sperimenta e intraprende diversi percorsi professionali: consulente di comunicazione e di europrogettazione, portavoce istituzionale, formatore aziendale, docente a contratto all’università, insegnante. Attualmente, è docente di filosofia e storia nei licei e saggista. Scrive interventi e recensioni per il blog culturale “Doppiozero” e per il magazine della Casa della Cultura di Milano “viaBorgnogna3”. Le sue ricerche si dirigono verso tematiche che ibridano filosofia politica, sociologia, epistemologia ed estetica. Ha scritto monografie sul pensiero di Émile Durkheim e di Michel Serres, edite entrambe da Asterios di Trieste. Ha curato e tradotto Democrazia e partiti. Il vertice scisso (2014) di Niklas Luhmann per Mimesis di Milano-Udine e Maggio 68. La breccia (2018) e Sull’estetica (2019) di Edgar Morin per Raffaello Cortina di Milano. Suoi contributi recenti si trovano nei volumi collettanei: Lo scrittore al tempo di Pasolini. Tra società delle lettere e solitudine (Marsilio, Venezia 2018); L’immane potenza del negativo. Problemi e risorse (Castelvecchi, Roma 2020); Filosofia per i prossimi umani. Come sarà la nostra vita tra vent’anni secondo letterati, storici, antropologi e climatologi (Giunti, Firenze 2020).

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