GIULIANA SALADINO: L’INQUIETUDINE DELLE DONNE E LA LEGGEREZZA DELLA SCRITTURA

GIULIANA SALADINO: L’INQUIETUDINE DELLE DONNE E LA LEGGEREZZA DELLA SCRITTURA

 

di Beatrice Agnello

(le immagini pittoriche sono Il taglio Stitches di Daniela Balsamo)

 

 

Giornalista e scrittrice, Giuliana Saladino è stata una straordinaria testimone dell’inquietudine delle donne siciliane per più di quarant’anni. Ne ha scritto fin dagli anni ’50 e, pur non definendosi “femminista”, ha condiviso con il femminismo la contrapposizione alla cultura patriarcale, la convinzione di un valore aggiunto della sensibilità femminile maturato nel silenzio imposto da secoli di oppressione e l’idea che dagli anni Sessanta quello delle donne fosse diventato un universo più irrequieto e in movimento di quello dei coetanei maschi.
Questo è il motivo per cui affrontò con entusiasmo l’avventura della casa editrice La Luna, nata a Palermo nell’86 per dar voce ai talenti femminili sommersi, e nel ’91 quella della rivista Mezzocielo, uno spazio di dibattito in cui potessero confrontarsi e dire la loro.
Ma, a fronte di questa ricchezza di desideri e parole nuove che prometteva una rivoluzione culturale, il filo che lega le grandi trasformazioni del mondo femminile che Giuliana testimonia dagli anni ’50 agli anni ’90, è quello della difficoltà di vivere.

Le donne siciliane non sono felici

Negli anni ’50 Giuliana, militante del Pci, aveva sotto gli occhi le vite delle contadine dell’agrigentino, che diedero vita a un movimento sociale combattivo e a lotte politiche forti e diffuse. Scriverà in Romanzo civile, riflettendo su quell’esperienza: “Come fu che non capimmo mai – e con Giuseppina, Anna, Simona ce lo siamo chiesto poi tante volte – per quale maledetta sfortuna la migliore compagna comunista del paese, la più attiva e battagliera (…) dopo un poco la perdevamo (ma dov’è Pina? ma che ce n’è di Nina?) e solo attraverso un’indagine che otteneva in risposta silenzi, mezze frasi, cenni, reticenze, finalmente arrivavamo a comprendere che non l’avremmo più rivista, che era diventata una puttana, perché separata dal marito, quindi fuggita dal paese, quindi messa al bando dalla sezione comunista. Dovevano passare gli anni a decine prima di capire che una parola nuova detta a una donna (…) veniva intesa soprattutto come spinta irrefrenabile alla liberazione personale, sessuale, dal dispotismo di mariti padri e fratelli, e che giovani donne contadine compivano spesso una rovinosa rivoluzione individuale che le portava dritto filato a battere il marciapiede nel capoluogo più vicino”.

L’infelicità cambia connotati da quei duri anni ’50 ai ’90, ma rimane un filo costante.
Diverse interviste, realizzate per L’Ora, la testimoniano, e particolarmente sconcertanti sono quelle della fine degli anni ’60 e dei primi ’70, un periodo in cui sono in atto grandi cambiamenti del costume.
Quelle del ’68 ci lasciano stupiti: sembra di essere in un paese islamico segnato dall’oppressione femminile e non nell’Europa della minigonna e del Maggio francese. Ragazze e donne palermitane, figlie e mogli di professionisti agiati, rilevano che in famiglia non sono affatto contenti se loro si appassionano troppo allo studio universitario: “mi dicono che i libri mi hanno messo strane idee in testa, mi ripetono che devo solo pensare a sposarmi e a sistemarmi, a fare figli e basta” dice una studentessa. Il bello è che suo padre è un professore dell’Ateneo. I mariti, dal canto loro, se la moglie si afferma professionalmente, sentono messo in discussione un primato: a mio marito, che pure “sosteneva in teoria la parità fra noi due, in fondo in fondo cominciò a dare fastidio il fatto che sua moglie non rimanesse un po’ più indietro (…) Non lo ammetterebbe mai, ma è così. Nel suo più profondo pensiero è radicato il fatto che se io mi fossi messa sul suo stesso piano intellettuale lui sarebbe stato come detronizzato” è lo sfogo di una donna che rinuncerà alla professione per salvare la serenità coniugale.
Il sesso e l’amore, poi, non vanno affatto bene. Si sfoga un’altra intervistata: “per il novanta per cento degli uomini la moglie non esiste come essere umano. Non esiste che le si parli, non esiste che la si ascolti (…) Tutto il giorno il più assoluto disinteresse, due estranei, la sera poi, come se niente fosse, il più sbrigativo rapporto sessuale. (…) Si usa la moglie come una prostituta e ogni donna, dopo un rapporto così, si sente una puttana” (…) “Guardi tante nostre signore della borghesia palermitana, abbrutite, vuote, annoiate, (…) che pensano solo ai vestiti, al par rucchiere, alla pelliccia. Sono gli uomini, questi uomini, che le riducono così”.
Disgustate dal non amore coniugale, molte sono quelle che si trovano un amante, o meglio cadono “nelle braccia del primo fesso, del primo dongiovanni”. “Con un amante, liberamente scelto, la donna fa un tentativo di salvezza, un tentativo di riscattarsi da un rapporto abbrutente, di riconoscersi donna, di avere quel che desiderava a 16 anni: un uomo che le offra dei fiori, che parli con lei, che rida di qualunque sciocchezza (…) che non sia volgare e sbrigativo come un marito”.
Ma i siciliani, a quanto pare, non valgono granché neanche come amanti: “Gli uomini sono ossessionati dal sesso, ce l’hanno in testa come una cosa turpe, come una cosa sporca e tale continuano a considerarla sempre. È difficile che abbiano un rapporto normale con una donna, eppure non pensano ad altro”.

E, comunque, avere un amante o separarsi dal marito sono scelte che comportano grandi rischi. “È dura, mi creda (…) La legge italiana è spietata”. “Il marito può sempre fare scattare una foto, avere una prova, farti condannare, toglierti i figli”. “La legge dà a mio marito il coltello dalla parte del manico”.
Già, la legge. È solo fra il ’68 e il ’69 che viene dichiarato incostituzionale l’articolo che prevede la punizione dell’adulterio della moglie, ma non quello del marito. Sarà solo nel ’75 che la riforma del diritto di famiglia riconoscerà la parità giuridica dei coniugi e sostituirà la patria potestà con quella di entrambi i genitori; del ’74 è il referendum sul divorzio, del ’78 la legge che consente l’aborto.
È negli anni ’70 che si faranno le svolte più notevoli nel riconoscimento dei diritti delle donne, ma bisognerà aspettare il 1981 per vedere abrogate le sostanziose attenuanti riconosciute dalla legge italiana per il delitto d’onore.
È comunque col ’68 che si pongono le premesse di queste conquiste, con una rivoluzione del costume che arriva anche qui, ma che non è tutta rose e fiori. Alla domanda se le ragazze siciliane fanno l’amore, un’intervistata risponde: È una questione di classe sociale. (…) Le ragazze del popolo, la figlia di un autista, di un bidello, di un operaio, non lo fa, lo fa solo con la ‘fuitina’ per sposare il ragazzo che ama o che l’ha guardata o che la segue. Le ragazze del ceto medio – come me – lo fanno invece molto spesso, e il più delle volte lo fanno con convinzione, come l’ho fatto io. La ragazza dell’alta borghesia o quella che vive in un certo ambiente anticonformista lo fa con leggerezza e con tutti quelli che incontra”.
“Tra le ragazze mie amiche (…) posso dire che la maggioranza la pensa come me, cioè non attribuisce alla verginità il valore che vi attribuivano (e attribuiscono per quanto riguarda le loro figlie) le nostre madri”.
Sono gli anni dei conflitti generazionali in famiglia, ma soprattutto sono anni in cui emerge una notevole differenza fra ragazze e ragazzi: le femmine sono molto più aperte a vivere il sesso e l’amore senza ipocrisie di quanto non siano i loro coetanei maschi.
E questo non solo nelle classi sociali più agiate e colte. Ne è una riprova un’altra grande inchiesta che Giuliana fa l’anno dopo, nel ’69, fra i siciliani emigrati in Germania. A fronte di un disagio e di una nostalgia della Sicilia di quasi tutti i maschi intervistati, “Le donne, specie se giovani, non vogliono saperne di tornare”. Gli uomini sono assai frustrati da “un rapporto sessuale umiliante con la donna tedesca”: le tedesche rimproverano al maschio siciliano, che a primo acchito le attrae per la sua fama di latin lover, di essere rozzo, retrogrado e non sapere cos’è un orgasmo femminile. Rimangono presto deluse. Tra questa frustrazione “e il ritmo ossessivo della civiltà industriale, l’uomo, colpito financo nella sua pasta con la salsa, in quei piattoni mangiati alle sette di sera che diventano motivo di dileggio e di scherno da parte dei tedeschi (…), si vede capitare anche questa: che gli si sgretola intorno la famiglia, l’ultimo territorio in cui gli era consentito aggirarsi come un sultano”.
Mentre le ragazze, pur nella durezza del lavoro di fabbrica, hanno trovato finalmente un po’ di aria libera. Una ventenne della provincia di Enna, alla domanda se vuole tornare in Sicilia, risponde: “Mai”. “Qua la ragazza è più libera, lavora, si può divertire. Al paese sempre chiusa in casa e se esci tutti gli occhi addosso”. Le fa eco una diciannovenne della provincia di Catania: “Mai e poi mai. La vede questa minigonna? Ci potrei andare mai in Sicilia così? E qua invece nessuno dice niente. Mi piace la Germania”.

Scorrono gli anni e le conquiste, ma quando nel 1980 Giuliana affronta il tema della violenza, facendo una disamina delle notizie con protagoniste femminili apparse nei quotidiani dell’isola nei primi sei mesi dell’anno, 274 notizie sulle 284 che raccoglie riguardano “violenze di ogni genere sulle donne, dallo stupro alle coltellate, dalle fucilate al sequestro, dalle bastonate alle sevizie, violenze di ogni genere esercitate dalle donne su chi gli sta più vicino, quindi il marito e i figli, violenza delle donne su di sé”. “Stando alle cronache siciliane dei primi sei mesi dell’80, la famiglia, ‘cellula prima della società’, rifugio, santuario, fortezza, unione, risulta la sede delle peggiori sopraffazioni dell’uomo sulla donna e della donna sull’uomo. La coppia, nodo d’amore, attrazione, intesa e solidarietà risulta l’unione di due poli in perenne esplosivo cortocircuito”.
Nello stesso articolo, l’autrice osserva che “malgrado tutti gli orribili fatti che siamo andati enumerando mai come oggi la donna siciliana ha conosciuto tanto rispetto tanta dignità e tanta parità”. Questo “è frutto di una ininterrotta battaglia che ha avuto il suo culmine nel decennio appena trascorso e che ha imposto la questione donna a tutti i livelli: in piazza, al parlamento, in tv e sulla stampa”. Ma conclude: “Questo vuol dire che è felice o, più modestamente, che ha risolto i suoi problemi? Nemmeno per sogno. Più è consapevole dei suoi diritti (…) più soffre della disparità non legale ma reale”.
Come si vede, emerge, fra le stazioni della via crucis attraverso cui Giuliana ci conduce nelle sue inchieste, anche l’altro filo conduttore, oltre a quello della difficoltà di vivere, quello di un’apertura, di una consapevolezza, di un desiderio di lottare contro l’ipocrisia e i ceppi che bloccano la società, siciliana e non solo, assai più forti e diffuse nelle giovani donne rispetto alla maggior parte degli uomini.

Come scrive una donna

Le donne sono più aperte anche nel senso che sono più disposte a parlare delle cose della vita “a partire da sé”, non sfuggono per le tangenti della generalizzazione e dell’astrazione. E questo conduce direttamente al modo di indagare e di scrivere di Giuliana, che ha sempre avuto grande attenzione alla concretezza, al dettaglio intravisto nella vita quotidiana, nella vita personale. Ha sempre privilegiato lo sguardo e l’intuizione rispetto ai percorsi tortuosi dell’argomentazione e spesso prende spunto da fatti ed episodi “microsociologici”, come li definiva, da piccole cose constatate di persona magari nella cerchia familiare o degli amici. Questo è un tratto femminile della sua scrittura, ma lei non si ferma mai lì, a girare attorno al suo ombelico o alle ristrettezze dei sapori domestici, si serve invece di quel che vede da vicino per interpretare il mondo, è coinvolta quanto lucidamente analitica e con una capacità di stupore che le consente di salvaguardare, dei fatti, l’accadere da nuovo e il colore e la temperatura.
“Ribelle, ironica e sorridente” com’era – e come la definiscono le sue figlie nella nota che chiude la raccolta dei suoi articoli curata da Giovanna Fiume per Sellerio nel 2010 – erano proprie al suo occhio acuto e irriverente le doti di leggerezza, esattezza, visibilità, rapidità, che nelle sue Lezioni americane Calvino raccomandava per il millennio in cui viviamo.
Giuliana non perdeva mai l’aderenza delle parole a quello che la sua sensibilità registrava, per questo e per quella scafata ironia che le era connaturata, non si riuscirebbe a trovare un solo suo brano che scada nella retorica. Eppure la sua scrittura non si appagava mai nell’interpretazione, tendeva sempre al gesto del dissenso, della lotta quotidiana contro la volgarità, la grettezza, la sopraffazione, l’arroganza, l’ingiustizia.
Aveva fiducia nelle parole, nella capacità delle parole di agire e di trasformare, ma aveva – come chi non si contenta di idee ricevute e certezze arroganti – più domande che risposte, per questo fare la giornalista e la scrittrice era proprio la sua. Aveva più domande che risposte, ma le domande erano quelle giuste.

Libri di Giuliana Saladino (Palermo, 1925 – 1999):
Il caso De Mauro (Feltrinelli 1972, ripubblicato con il titolo Romanzo politico, Istituto Poligrafico Europeo, 2015)
Terra di rapina (Einaudi 1977, ripubblicato da Sellerio nel 2001).
Romanzo civile (Sellerio 2000, postumo).
Chissà come chiameremo questi anni (Raccolta degli articoli giornalistici, a cura di Giovanna Fiume, Sellerio 2010).

Biografia di Beatrice Agnello

Beatrice Agnello si occupa da molti anni di libri e riviste.

È stata condirettrice editoriale ed editor delle edizioni La luna di Palermo, redattrice della rivista Tuttestorie, cofondatrice e condirettrice della rivista Margini, fa parte attualmente della redazione della casa editrice Mesogea di Messina e collabora da molti anni con la rivista Mezzocielo.
Dal 2001 tiene laboratori di scrittura narrativa, a cui affianca l’attività di consulente ed editor.

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