Il corpo non ci appartiene. L’horror quotidiano di Mariana Enriquez

di Muriel Pavoni

“La nostra parte di notte” – uscito in Italia nel 2021 – è romanzo che ha al centro la fuga di un padre e un figlio. Si tratta di un vero e proprio viaggio dell’eroe attraverso il quale Juan, medium dell’Ordine (una loggia massonica che svolge rituali e attività occulte, organizzazione che ha base in Argentina e varie diramazioni), cerca di portare in salvo Gaspar, il figlio (dotato dei suoi stessi poteri), affinché non venga trovato e costretto a diventare come lui. Il potere dei due (e la loro condanna), riguarda la capacità di mettere gli adepti in contatto con l’oscurità. E così, in un andirivieni di visioni e contaminazioni tra il terreno e l’ultraterreno, procede una narrazione che mischia horror e realismo magico, dove si intrecciano elementi politici e di critica sociale a elementi puramente fantastici; attraverso una scrittura schietta, nuda, diretta, ma anche ironica, volta a rendere il magico perfettamente plausibile nel nostro presente.

“Le cose che abbiamo perso nel fuoco” – uscito in Italia nel 2017 – opera con cui abbiamo conosciuto la scrittura di Mariana Enriquez, racconta dodici storie nere, di horror sociale, dove elementi fantastici s’innestano nel reale e dove sogni, allucinazioni, sparizioni, fantasmi, fanno la loro apparizione in continuo dialogo con la quotidianità. Qui al centro c’è la condizione femminile, oppressa e sottomessa a una realtà oscura e terribile.

Mariana Enriquez è stata ospite al Festivaletteratura 2025 in occasione della recente uscita, per i tipi di Marsilio, di “Un luogo soleggiato per gente ombrosa”, una nuova raccolta di racconti. Bisogna ammettere che, sebbene il corposo romanzo abbia una tenuta solida e un equilibrio rari, resta il racconto la misura più congeniale alla scrittrice. In queste storie si torna all’inferno quotidiano, quello che avevamo conosciuto nelle due raccolte precedenti (“I pericoli di fumare a letto” era uscito nel 2023). Si assiste all’attualizzazione della figura del fantasma, che trasloca dai luoghi tradizionali quali castelli e cimiteri, per abitare nuovi spazi urbani come parcheggi, fabbriche abbandonate, frigoriferi, televisori. Per Enriquez, di origine Argentina, nata nel 1973, il perturbante è un’abitudine quotidiana. Viene naturale il collegamento con la dittatura di Videla. Il fenomeno dei desaparecidos, l’assenza di spiegazioni, di colpevoli, la scomparsa dei cadaveri stessi, il senso di allarme, sono questioni che mettono la quotidianità in dialogo con l’horror. Lei, nata sotto la dittatura, testimonia la condizione di orfanilità di un popolo. Si ha l’impressione che l’autrice sia intimamente costretta a riprodurre, nella sua narrativa, questo particolarissimo senso di realtà. Il fantasma non è altro che un’invasione della memoria, qualcosa che alberga nelle cose innominabili. I fantasmi sono ciò a cui non si può dare un nome. Bisogna considerare che in tutta l’America Larina, in particolare in Argentina, c’è una grande tradizione di esposizione, per lungo tempo, dei corpi dopo la morte, una coesistenza che evidentemente stimola visioni fantasmatiche. Questo mondo, in cui convivono tutte le presenze a ogni livello, senza distinzione gerarchica, è anche una lettura politica e sociale della contemporaneità. In mezzo a noi i fantasmi sono la memoria di quello che è stato, dei corpi mai restituiti. Esiste, nella scrittura di Enriquez, un duplice rapporto col corpo, sia viscerale, sia di distacco, come a prendere coscienza che il nostro corpo c’è, ma non ci appartiene, un prendere atto che, in qualsiasi momento, il nostro corpo ci può essere tolto e mai restituito.
In questi racconti, inoltre, si parla di classi sociali, pur parlando si zombie e fantasmi. Al centro c’è la disparità tra le classi e l’irragionevolezza per la propria condizione, la sensazione di essere ingiustamente vessati, sottomessi. La percezione che non ci siano diritti validi per tutti, che i pochi apparentemente inalienabili possano essere negati da un momento all’altro è un presupposto, condizione che emerge con prepotenza. In America Latina sono centinaia i bambini che mendicano per la strada, questo conflitto sociale è osceno, horror appunto.
Eppure, assieme al perturbante, c’è un grande senso di tenerezza per i corpi, il tutto tenuto assieme dal senso dell’umorismo, meccanismo che Enriquez domina e con cui riesce a trattare qualsiasi argomento, anche i più scabrosi. Insomma la tragedia è farsa, fa parte di noi, è situata nella quotidianità e certe volte fa ridere. Nella tragedia inoltre si fa molto sesso. In uno dei racconti c’è una ragazza (Julie) che fa sesso con gli spiriti, rovesciando i canoni, perché il sesso, concepito nella maniera patriarcale, nasce con regole precise, mentre il sesso con un fantasma si presta a combinazioni nuove, non binarie, che sovvertono le regole appunto.
La pelle, oltre a corpi e fantasmi, è l’altra protagonista di queste storie: pelle liscia, pelle cadente, pelle putrefatta. La pelle come il corpo non ci appartiene. Nell’epoca attuale la pelle è qualcosa da addomesticare, perché denuncia la nostra fragilità e quindi va corretta a tutti i costi, per renderci tutti uguali. La cura deve essere ossessiva. I difetti, come il sovrappeso, vengono puniti come una colpa. La pelle non può invecchiare e la pelle rifatta, corretta, rigenerata, si allontana sempre di più da noi.
Questo mondo, inquietante, perturbante, ma anche familiare, intimo e occulto viene messo in luce attraverso uno sguardo diretto, concreto, una scrittura a tratti infantile, che attraverso un’apparente spontaneità fa emergere l’inquietudine attraverso l’infra-ordinario e non l’extra-ordinario.
Sono molti gli esergo in apertura ai racconti, si citano: Lydia Davis, Cormac Mc Carthy, Cesar Vallejo, Katherine Mansfield, Thomas Ligotti; però il collegamento va istintivamente a Borges e Cortázar, per poi approdare a un’autrice brasiliana che ha davvero tantissimo a che fare con Mariana Enriquez: Clarice Lispector. Come a testimoniare che ci sia davvero, nella storia dell’America Latina, qualcosa che mette in comunicazione i vivi e i morti, che renda plausibile una dimensione parallela accanto a quella che noi percepiamo come reale. Lispector, autrice raffinatissima, sofisticata, soprattutto nei racconti, sapeva esplodere una dimensione interiore e allucinata in una quotidianità a tratti schiacciante. Inoltre, altre presenze vengono chiamate in causa, come la maestra del genere Shirley Jackson e, naturalmente, per la spietatezza e la tensione del peggio che grava sulle nostre vite, che potrebbe esplodere da un momento all’altro, per quello che potrebbe accadere, oppure è accaduto, sempre fuori fuoco, sempre terribile, ma che grava come un fantasma, la narrativa di Flannery O’Connor.

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