Leonardo Sciascia negli occhi delle donne. In dialogo con Rossana Cavaliere

di Fabio Amico e Gianna Cannì

 

«A ciascuna il suo: Sciascia come nessuno lo ha mai raccontato», si legge nella quarta di copertina del libro di Rossana Cavaliere, Leonardo Sciascia negli occhi delle donne. Tessere di un mosaico al femminile, (Vallecchi, 2023) esperta dello scrittore di Racalmunto, a cui ha dedicato numerosi saggi e articoli, a partire dalla sua tesi di dottorato, Leonardo Sciascia e le immagini della scrittura. Il poliziesco di mafia dalla letteratura al cinema, pubblicata nel 2015.

Si tratta di un titolo che mancava nella pur vasta bibliografia sciasciana, un libro collettivo, corale: una donna che intervista altre «dodici donne più tre», giocando ancora col titolo di un’opera di Sciascia (1912+1), la cui vita per varie ragioni si è intrecciata con quella dello scrittore siciliano. Sono donne celebri, speciali, non comuni, con cui l’autrice dialoga alla pari: ne risulta un ritratto sfaccettato, ricco di sfumature, che fa emergere la figura di un grande intellettuale molto attento alle donne, «perché era attento alla vita». Le interviste sono state preparate meticolosamente, leggendo prima i carteggi, conservati presso la Fondazione Leonardo Sciascia di Racalmuto, aiutando in tal modo le intervistate a far affiorare i ricordi e a contestualizzare con precisione gli aneddoti raccontati. Lo sguardo di queste donne, che hanno conosciuto lo scrittore e ci rivelano tanti aspetti inediti della sua vita, s’intreccia con i loro interessi, incontri, passioni, letture e Rossana Cavaliere, abilmente, fa in modo che nel parlare di Sciascia le intervistate possano parlare di sé.

Commovente l’intervista alla figlia, Anna Maria Sciascia, che «abbagliata» dalla luce di un padre straordinario, descrive con passione la vita familiare di Leonardo, circondato da sei donne, che nonostante i numerosi impegni, divenuto ormai famoso, non trascura gli affetti e le amicizie, anzi dispensa doni e consigli, accoglie i tanti personaggi famosi che si recano quasi in «pellegrinaggio» nella sua casa di campagna, la mitica casa della Noce, aiuta le figlie a fare i compiti e si diletta ai fornelli.

Non vi è tuttavia alcun intento agiografico, l’autrice infatti non sottace alcuni aspetti controversi del pensiero di Sciascia, come la polemica sul matriarcato e quella sui cosiddetti “professionisti dell’antimafia”, tematiche che emergono chiaramente anche nelle altre interviste a scrittrici, giornaliste, editrici, imprenditrici, che vanno da Barbara Alberti a Dacia Maraini, da Marcelle Padovani a Franca Leosini, da Giannola Nonino a Elisabetta Sgarbi. Ognuna di queste testimonianze aggiunge una tessera al mosaico della personalità di Sciascia, un mosaico al femminile appunto, con cui è possibile ripercorrere alcuni passaggi molto importanti della storia italiana della seconda metà del ’900: gli anni del terrorismo e L’affaire Moro, per citare un altro testo famoso di Sciascia; le battaglie femministe e poi il caso Tortora; la vita dei grandi partiti, come il PCI, tra le cui fila, come indipendente, Sciascia divenne consigliere comunale a Palermo nel 1975 e in seguito le battaglie del Partito Radicale, per cui si candidò e fu eletto alla Camera dei Deputati nel 1979; infine la lotta alla mafia ma anche le polemiche sull’antimafia.

Un libro intervista che attraverso gli occhi delle donne fa emergere l’autenticità dello scrittore e soprattutto dell’uomo, che credeva nella ragione e nella storia e attraverso il suo fervore, la sua ironia, ma anche i suoi dubbi e le sue “contraddizioni” («contraddisse e si contraddisse» amava dire Sciascia, citando Jean Starobinski), incarnava la figura del grande intellettuale che con i suoi interventi, non solo in campo letterario, e il suo impegno, anche politico, è capace di rappresentare la coscienza di un Paese, figura di cui oggi si sente tanto la mancanza e il bisogno, sembrano voler dire le donne che lo hanno conosciuto.

Abbiamo intervistato l’autrice per ricostruire con lei la genesi dell’opera e i suoi esiti.

Quando e come è nato il suo interesse per la figura di Leonardo Sciascia?

R.C.: Leonardo Sciascia è un autore che ho trovato interessante fin dai tempi del Liceo, quando un docente illuminato propose a noi studenti la lettura del suo romanzo più famoso, Il giorno della civetta (1961). La folgorazione, tuttavia, arrivò più tardi, con Una storia semplice (1989), che divorai tutto d’un fiato, in treno, lungo la tratta Firenze-Roma, in poco più di un paio d’ore, durante le quali, malgrado le occasioni di distrazione, riuscii a rimanere pienamente concentrata sulla vicenda narrata, in realtà «maledettamente complicata», ricca di suspense, di colpi di scena, insomma appassionante, straordinariamente concisa e perfettamente architettata. Gli approfondimenti, poi, svolti sul confronto comparativo-contrastivo tra testi scritturali e versioni cinematografiche, effettuati in virtù della specializzazione conseguita con il dottorato in Italianistica, hanno senz’altro consacrato Sciascia come mio autore di culto.  

Com’è nata invece l’idea del libro e come ha scelto le donne da intervistare?

R.C.: L’idea è scaturita dalla volontà di fare chiarezza in merito a un annoso pregiudizio che aleggiava intorno allo scrittore circa una sua presunta misoginia o comunque – diciamo così – una sua scarsa attenzione al gentil sesso: ritenendo Sciascia un autore di acume acclarato, ho trovato confliggente con la sua intelligenza il pensiero retrivo che gli veniva attribuito riguardo alle donne e al loro diritto all’emancipazione. Documentatami sulle cause e sulla diffusione di tale preconcetto e appurato che all’origine c’era stata una querelle con alcune fiere femministe degli anni settanta, a seguito di un’intervista rilasciata a Franca Leosini, ho pensato che, per provare a scoprire quali fossero realmente la sua opinione al riguardo e il suo atteggiamento verso le donne, si dovesse dare direttamente la parola a queste ultime, mai ascoltate in precedenza. Ed è per questo che ho intervistato un nutrito numero di donne famose della nostra contemporaneità, che, a diverso titolo, animano il mondo della cultura (scrittrici, opinioniste, giornaliste, etc.), le cui vite si sono intersecate con quella di Leonardo Sciascia, per un breve o lungo tratto, al fine di ricostruire, attraverso i loro ricordi di un vissuto comune e le loro argute osservazioni, la sfaccettata personalità dello scrittore. Queste dodici donne (più le tre figlie di Giannola Nonino, la nota imprenditrice della Grappa, che hanno partecipato a un’intervista collettiva, aggiungendo qualche tessera, grazie alla vivida memoria della loro adolescenza) mi hanno consentito di presentare un originale e inedito ritratto-mosaico dell’uomo assai più che dell’artista, rigorosamente declinato al femminile.  

Qual è stata l’intervista più difficile da realizzare?

R.C.: Non una soltanto, ma diverse sono state le interviste difficili da realizzare, per motivi vari: a volte la difficoltà ad avvicinare il personaggio, altre i differimenti dovuti agli impegni incalzanti delle interlocutrici, oppure gli strascichi di una pandemia che complicava i contatti, etc. etc. Forse la più delicata è stata quella fatta alla figlia dello scrittore, Anna Maria: entrambe le figlie di Sciascia, infatti, sono persone di una riservatezza d’altri tempi e non è stato agevole, per me, vincere le resistenze della secondogenita (sapevo già che la primogenita non rilasciava mai interviste sul celebre genitore), “avvicinarla” e convincerla della bontà e serietà del mio progetto. Devo aggiungere, tuttavia, che, una volta conquistata la sua fiducia, si è aperta tanto che le sue parole costituiscono un tratto eccezionale del libro, in quanto schiudono spiragli inediti nell’intimità di Sciascia padre, nonno, uomo, con una autenticità e una finezza di sentimenti e ricordi, che hanno colpito gran parte dei lettori, anzi soprattutto delle lettrici. Complicata è ugualmente risultata l’intervista alle donne della famiglia Nonino, ricevute dal presidente Macron proprio nei giorni in cui avrei dovuto raccogliere le loro testimonianze e poi impegnate su vari fronti, tanto da differire di volta in volta l’incontro, per l’assenza di qualcuna di loro. Pure in questo caso, tuttavia, quando il momento è venuto, è sorto un feeling immediato con tutte loro, a partire dalla “matriarca”, di una schiettezza e simpatia travolgenti. E ne è nato un bel rapporto che sta perdurando nel tempo.

Ci potrebbe dire qualcosa anche delle testimonianze che ha deciso di non pubblicare?

R.C.: Non tutte le interviste che ho avviato o perfino completato sono, poi, confluite nel libro, per motivi vari: per lo più è accaduto quando le stesse non si sono rivelate portatrici di oggettivi elementi aggiuntivi o diversificanti, ma sono risultate ripetitive e non abbastanza interessanti. Ho sempre, comunque, concordato con l’interlocutrice di turno la decisione di non inserire l’intervista nel novero di quelle già raccolte (tutte, viceversa, significative). In due casi, però, ho dovuto incassare dei dietrofront inattesi e spiazzanti: due donne molto note, entrambe in qualche modo legate al mondo della politica, hanno scelto di ritrattare la loro disponibilità a rispondere o a continuare a rispondere, quando le domande hanno cominciato a riguardare il ruolo di Sciascia (e conseguentemente il loro, sebbene di striscio) in ambito politico. Non nego di aver provato un pizzico di delusione, ma era un rischio messo in preventivo. A una delle due ho, comunque, inviato il libro, una volta pubblicato, perché potesse verificarne l’esito complessivo e il suo entusiasmo postumo mi ha fatto ipotizzare un piccolissimo pentimento per la pregressa condotta. Forse.    

Uno degli scopi dichiarati del libro era di «scoprire qualcosa di più vicino alla verità del rapporto di Leonardo Sciascia con l’altro sesso»: cosa ha scoperto del suo rapporto con le donne? L’accusa di misoginia che pesava nei suoi confronti va rivista?

R.C.: Senz’altro l’opinione finora corrente va rettificata e sono felice che sia stata proprio la mia raccolta di testimonianze a favorire una nuova prospettiva. Premetto che mi sono imposta un approccio neutro: se, infatti, fossero emerse negatività nel suo rapporto con le donne o nella sua considerazione di queste ultime, ne avrei preso atto, magari con rammarico, ma mantenendo sempre il rispetto dovuto all’imparzialità. Non avevo certo intenzioni agiografiche – che Sciascia stesso avrebbe fieramente riprovato -, bensì di svolgere un’indagine seria, chiarificatrice, pur nella consapevolezza che il tempo avrebbe potuto forse edulcorare qualche ricordo e che certamente non sarebbe stata l’intervista alla figlia quella più oggettiva, dato l’amore e l’ammirazione incondizionati che questa tuttora nutre per lui. Ma le donne intervistate hanno tutte confermato l’ipotizzabile acume e la franchezza, parlando a cuore aperto di pregi e difetti dell’uomo che avevano conosciuto e frequentato, separando sempre con nettezza le qualità dello scrittore. Le critiche a sue idee o sue prese di posizione non sono mancate, ma ciò comprova l’autenticità dei giudizi espressi. Il ritratto emerso è quello di una personalità sfaccettata, capace di accogliere e “imporre” una donna scrittrice al consesso maschile del suo cenacolo di intellettuali, di condividere alla pari la stesura di recensioni teatrali con una giornalista giovane quanto le sue figlie, di riempire di attenzioni gastronomiche le sue ospiti, cucinando egli stesso o procurandosi sublimi torte al cioccolato, perfino per una timidissima – e allora completamente sconosciuta – editor, che sarebbe poi diventata una delle editrici italiane di maggiore spicco; in breve un uomo “avanti”, rispetto ai tempi,  anche nel rapporto con l’altro sesso.   

Il libro è anche una galleria di donne straordinarie: raccontando il “loro Sciascia” partendo da sé, raccontano anche sé stesse e una parte importante della storia italiana. In che misura queste interviste sono anche degli autoritratti? Cosa ci dicono della presenza delle donne nella scena culturale e politica di quegli anni?

R.C.: Donne straordinarie che ho avuto il privilegio di conoscere e con cui ora ho il piacere di intrattenere rapporti amicali, vantandomi del loro “tifo” per il mio libro. Si susseguono eventi della storia recente, attraverso i loro racconti: dalla vicenda Moro a quella giudiziaria, tristemente nota, di Enzo Tortora, dalle tumultuose diatribe di carismatiche personalità del femminismo degli anni ’70 al ruolo dei giornali e dei dibattiti, alla permeante importanza della cultura in un’epoca che appare purtroppo distante da quella attuale e tanto altro. Quanto alla microstoria personale, quasi tutte le mie intervistate hanno narrato sì la storia collettiva, ma senza mai prescindere da vicende personalissime, che rendono gustose o rivelatrici le pagine in questione: penso a Barbara Alberti e al suo racconto sull’inclemente polemica sorta a seguito della pubblicazione del suo Vangelo secondo Maria, che proprio di recente è diventato film, grazie alla sua riscrittura per il cinema,  a causa dell’audace rappresentazione del punto di vista della Madonna; penso alla narrazione del buen retiro di Sciascia nella tenuta Nonino, nel 1988, e alla genesi del suo penultimo, prezioso romanzo, Il cavaliere e la morte, scritto tra un caffè con papà Benito e la dettatura della ricetta della pasta con le sarde alle giovanissime Nonino, che registravano in ossequioso silenzio ogni sua parola; penso agli incontri con la Padovani, nella sede accogliente della Sellerio, e alle conversazioni tra loro, in una cortina di fumo, eccetera eccetera. 

Marcelle Padovani nel corso dell’intervista dice che la trasposizione cinematografica dei libri di Sciascia veniva quasi automatica, poiché i suoi personaggi avevano una precisa fisionomia: «Leggendo i suoi libri, io li vedevo, vedevo già un film». Cosa ci può dire sulla cosiddetta cinematografabilità della pagina di Sciascia?

R.C.: È un dato ormai acclarato: la scrittura di Sciascia è debitrice del cinema (lo sostiene egli stesso) ed è assai spesso indubbiamente pensata in modo cinematografico. E che egli ne fosse consapevole, può attestarlo la volontà di partecipare al premio De Laurentis, negli anni ’60. D’altra parte, che siamo tutti condizionati dal cinema è un dato inoppugnabile, in quanto esso contribuisce perfino alla configurazione del nostro immaginario. E le pagine di Sciascia sono costruite spesso in modo da farci visualizzare cinematograficamente il suo racconto scritturale. Mi consenta di suggerirle la lettura del mio testo Leonardo Sciascia e le immagini della scrittura – Il poliziesco di mafia dalla letteratura al cinema (Felici ed.), che sviluppa nel dettaglio anche quest’aspetto.  

Per concludere, sarebbe possibile individuare una specificità dello sguardo femminile rispetto alle molte letture che amici e studiosi hanno fatto del grande scrittore siciliano?

R.C.: A mio avviso, c’è una maniera femminile nell’approccio al racconto, che si manifesta nella ricchezza del dettaglio, alla non sottovalutazione di questo come veicolo di informazioni, di illuminazione di un aspetto della personalità della persona descritta, e ancor più nella squisita sensibilità che, ad esempio, fa ricordare a Barbara Alberti come la scrittura di Sciascia fosse diventata tremula, distorta, dopo le feroci stroncature del contestato Affaire Moro, perché lo scrittore – suo corrispondente epistolare – ne aveva evidentemente sofferto o che fa dire a Silvana La Spina che il suo sguardo era “da arabo” o a Dacia Maraini che le sue parole non erano mai di disprezzo. Le donne sono narratrici naturali, come Sciascia stesso ha testimoniato, mostrando riconoscenza verso le zie, che, pur non uscendo mai di casa, sapevano trasmettere alla perfezione le vicende di tutto il paese, a loro raccontate da altre donne in visita. Una circolarità che fa sorridere, ma anche riflettere.  

 

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