
25 Mag Ritorno dall’illusione
di Giovanni Mignini
Mara appoggia la testa sul vetro dell’autobus; le vibrazioni a ogni ripartenza le frullano il cervello, ma ne ha bisogno per rimescolare le proprie idee.
Resta rannicchiata in quarta fila, contro il vetro, mentre abbraccia lo zaino semivuoto del primo giorno di scuola. Vicino a lei passano ragazzini che si affrettano a raggiungere gli ultimi posti per qualche legge non scritta; ne attende uno che non arriva: quel giorno è rimasto in città, ma lei lo aspetta lo stesso.
Il sole di luglio è un bullo che tormenta chiunque gli capita a tiro. Mara cerca di evitarlo e si abbandona su una sedia a sdraio di fronte casa sua, all’ombra di una tenda.
Un’auto posteggia al di là della cancellata; ne escono una donna ben curata con un anonimo ragazzo. La madre di Mara è già fuori al primo squillo del citofono e, subito, intavola una fitta discussione con l’altra donna, densa di cose (ora) ritrovate e di tante parole che ai due ragazzi non interessano.
Da parte sua, Mara abbandona il proprio posto e decide di raggiungere l’altro, appoggiato al cancellino in attesa di qualcosa che possa portarlo via di lì.
«Tesoro, conosci Lucia?» In quel fitto dialogo, si sente richiamare dalla madre.
«Lucia? Non credo.»
«Anni fa si è trasferita, ma è tornata che ha trovato lavoro quaggiù.»
Sì, ora lo ricorda, ha divorziato dal marito e ha fatto ritorno all’ovile, con il figlio al seguito. Ha sentito spesso i suoi genitori discorrere a lungo su questa separazione, come fosse un avviso per un proprio futuro. Decide di allontanare questi pensieri e torna a soffermarsi su quel ragazzino: lo ricorda in foto poco più di un meloncino in fasce, mentre ora è una spanna sopra di lei.
«Ciao.»
«Lui è Matteo, non credo che vi conoscete.»
«So parlare, mamma.» Sorride e osserva la ragazza. «Piacere.»
«Piacere mio, io sono Mara.»
«Dall’anno prossimo frequento il secondo anno di scientifico qui.»
«Io farò il quarto, prenderemo lo stesso autobus.»
L’autobus in questione rallenta per via del traffico, vicino l’ingresso della caserma dei vigili del fuoco; a quell’ora è un unico grande ingorgo fino al Globo. Il vetro riprende a tremare e Mara si risveglia in quel mondo. Di fianco a lei non c’è ancora nessuno mentre un alito di aria fresca le arriva sul collo; l’autista si è deciso ad accendere l’aria condizionata ed è anche ora, vista la serra mobile su cui viaggia.
«Vengo al mare qui, ci arrivo a piedi ed è tutta spiaggia libera.»
Matteo segue Mara in silenzio, come un cagnolino. Pochi passi da casa: attraversano alcune strade interne, superano una piantagione di ombrelloni di un balneare e arrivano a una lunga striscia nella quale una spolverata di sabbia copre una distesa di sassi.
«Di spiaggia ce n’è poca e non è molto comoda,» prosegue, «ma il mare è molto bello.»
«Ci abiti da tanto, mi fido di te.»
Matteo indossa un bermuda tropicale con delle ciabatte rosse e nere dell’ipermercato. Ha giusto qualche ciuffo biondiccio sul petto, in un corpo glabro e ancora giovane rispetto alla vita che ha davanti. Lo precede di un passo Mara, con un pareo dal quale si intravede un bikini; la linea femminile non passa inosservata, ma l’altro si guarda intorno, incuriosito più dal posto che dalla compagna di giornata.
«Possiamo fermarci qui.»
Mara appoggia la borsa e distende i due asciugamani con un po’ di fatica mentre l’altro ragazzo la aiuta a fermarli con dei sassi. Non c’è molto vento, quello che basta per infastidire le loro azioni. Matteo smania per godersi il bagno ma viene ripreso dall’altra.
«Vieni qui, ti metto un po’ di crema solare.»
«Sì, mamma.»
«Non scherzare che oggi sono responsabile per te.» Afferra un tubetto, lo spreme in parte su una mano e inizia a spalmargli quel contenuto sulle spalle. Nel toccarlo si sente avvampare, il cuore le brucia più del sole che le sta arrostendo la testa; le manca l’aria, si lascia andare a silenziosi respiri a mezza bocca. Socchiude gli occhi e spinge le emozioni in un piccolo cassetto dentro di sé. «Adesso sta’ fermo, poi magari la passi sulle spalle anche a me.»
«Sì, mamma.»
«Basta, il gioco è bello quando dura poco.»
«Va bene, mamma.»
Alla fine non può fare a meno di sorridere, nonostante tutto.
Ha terminato, si morde le labbra mentre osserva il palmo della mano tremare come l’orizzonte al sole. Lascia la crema a Matteo, si volta, serra le palpebre e appoggia la mano sul ventre mentre cerca di fermarla con l’altra.
Una brusca frenata e il rumore forte e ondivago di un clacson riporta i passeggeri alla realtà. L’attenzione collettiva si focalizza su un’auto che, a un semaforo, è passata sulla corsia per svoltare prima di rientrare e tagliare la strada all’autobus. L’insulto dell’autista riassume lo stato d’animo dei presenti, mentre il mezzo riprende il proprio cammino dopo la frenata improvvisa.
È una sera di metà agosto e il padre di Mara ha organizzato una grigliata. La figlia compie diciassette anni quando le amiche sono in montagna con le loro famiglie, più facoltose della sua. Alla fine si accontenta di quella cena in famiglia; all’aperto, tra bistecche e zanzare.
Onnipresenti i nonni materni e la nonna paterna che, come sempre, si soffermano a parlare di argomenti interessanti come le bollette e il lotto di loculi cimiteriali recentemente messo in concessione dal comune. Il nonno paterno se n’è andato da un paio d’anni, magari per non sentirli conversare sempre su queste cose, pensa Mara. D’altra parte c’è anche l’amica di sua madre con Matteo che, per quella serata, si trova vicino a lei.
Mentre suo padre è alla griglia, raggiunto in modo saltuario dal suocero, la madre parla con l’amica, di certo più sveglia di lei ad aver notato cosa frulla in testa a Mara, spingendo suo figlio a frequentarla più spesso. Quest’ultimo non si fa molte domande e si diverte con la vicina, tra una partita alla gamestation, una chiacchierata o un tuffo in spiaggia.
Al momento della torta, i due sono immortalati l’uno di fianco all’altra in un inutile scatto fatto di sorrisi di plastica.
Mara tira su la testa e si guarda intorno; nota, sullo sfondo, la chiesa di San Pio V e realizza che non manca molto. Estrae il cellulare, sullo sfondo quella foto con Matteo di fronte alla torta con il diciassette. Un mezzo sorriso di circostanza, prima di infilare di nuovo il cellulare sulla tasca anteriore dello zaino e appoggiarsi di nuovo al vetro.
«Inizia la scuola, sei preoccupato?»
«Non lo so, è cambiato tutto e i pochi amici che avevo li ho lasciati a centinaia di chilometri.»
«Pochi?»
«Non sono molto sociale, Mara.»
«Non preoccuparti, sei giovane, sei un bravo ragazzo, farai presto a farti nuove amicizie.»
«Ne sei sicura?»
«Com’è vero che siamo amici.»
«Fortuna che ci sei tu.»
«Eh già, me lo dicono spesso!»
I due ragazzi si lasciano andare a una mezza risata. Di fronte a loro, la spiaggia di fine agosto si spopola in vista del tramonto e, in generale, del termine delle ferie estive. Anche per i due non resta molto se non quel momento che va avanti da giorni e che, ogni volta, Mara cerca di prolungare in attesa che accada qualcosa.
Non accade nulla, Matteo guarda il mare di fronte a loro, mentre lei si avvicina e gli cinge il collo con un braccio. Ne sente l’odore dell’acqua e di quella immaturità che non gli fa capire i suoi sentimenti.
Superata la cittadina, il tratto di strada extraurbana gonfia i polmoni dell’autobus, finalmente libero di aggredire l’asfalto e prendersi qualche soddisfazione.
Mara sa che presto arriverà alla sua fermata e dovrà trovare qualcosa per rispondere all’immancabile domanda sul “com’è andato il primo giorno di scuola”.
«Oggi comincia un nuovo anno.»
Matteo si trova sulla pensilina con Mara, in attesa del pullman che li porterà a scuola. Alle sette e mezzo di mattina la temperatura è gradevole; nonostante una leggera umidità che allontana il ricordo di un’estate libera. È tutto finito, la ragazza ha questo presentimento mentre attende quegli ultimi istanti in sua compagnia.
«Sei preoccupato?»
«Al secondo anno?»
«Dico in generale.»
«Per nulla.»
«Io invece sì.»
«Per cosa?»
«Non lo so, è una sensazione e basta.»
Una colonnina blu ferma la corsa dell’autista che, da parte sua, si prodiga in una sonora frenata per evitare una multa. La presenza dello zaino impedisce a Mara di rompersi il naso sul sedile di fronte al suo e, dopo una silenziosa imprecazione, torna al proprio posto, contro il vetro.
«Siamo arrivati, adesso seguimi che ti faccio vedere dove si passa.»
Dalla fermata, attraversano la statale e si ritrovano in una via laterale, tra le tante che tagliano la cittadina in orizzontale. Percorrono circa mezzo chilometro, prima di raggiungere una strada a doppia corsia intervallata da una fila di palme, dalla quale intravedono il liceo, poco più avanti.
Sono ancora insieme, nella folla di studenti, e raggiungono la bacheca all’ingresso per vedere la disposizione delle loro aule. Mara deve solo salire le scale, mentre a Matteo aspetta quasi tutto il corridoio al piano terra.
Si salutano.
Lei prosegue, si appoggia al corrimano e si sporge fino a vedere l’altro, raggiunto da ragazzi con cui instaura presto un dialogo. Passano sotto alle scale, sbucano dall’altra parte, lei continua a seguirli con lo sguardo, anche quando si fermano e si uniscono a un altro capannello di studenti. Una di queste attacca bottone con Matteo, con lo stesso sguardo di Mara, quello che ha sempre avuto.
Non le sfugge il gioco di sguardi e la rapida complicità con cui scambiano innocenti parole.
“È tutto finito”, in cima alle scale, non le resta che entrare nella propria aula, a testa bassa.
Mara si alza e preme un pulsante fissato a un’asta di ferro per prenotare la frenata.
«Io mi fermo con loro, ci vediamo domattina.»
Il saluto di Matteo, prima di restare in città dopo le lezioni. Lo stesso gruppo di studenti, la stessa ragazza che ora gli sta di fianco e mostra apertamente quell’interesse che Mara ha sempre tenuto nascosto.
«Ci vediamo domattina.»
Ancora quelle parole, mentre scende dall’autobus.
Si è svegliata da quel sogno estivo, un biglietto di sola andata per l’illusione.
Il sedile vicino al suo è vuoto.
Quel giorno torna a casa da sola.
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