
22 Apr In dialogo con Valentina Casesa: l’immaginazione a più voci
La redazione ascolta:
in dialogo con Valentina Casesa
a cura di Francesca Grispello
Valentina Casesa, compositrice e pianista, è autrice di musica strumentale, spesso con il suo pianoforte protagonista, musica per le immagini e il teatro, e con un rapporto privilegiato con la danza. La redazione ha conosciuto il lavoro di Valentina grazie a Gianluca Cangemi, compositore, scrittore che con Almendra Music ha generato e incarnato molteplici.
Nel secondo nostro podcast oltre all’arte delicata e profondissima di Cangemi – che presto leggeremo qui – troveremo brani tratti da Orior il debutto discografico di Valentina Casesa del 2016
A più voci: il nostro podcast, è anche l’occasione per conoscere arti che ci richiamano.
Qual è il tuo primo ricordo legato alla musica?
Ho iniziato a studiare pianoforte a 5 anni e mezzo; ricordo che mio cugino più grande di me di 2 anni studiava già da qualche mese ed ero incuriosita dal suono che produceva quel “mobile” dai tasti bianchi e neri. La curiosità ed il tentativo di colmare la solitudine lasciata dai miei fratelli (molto più grandi di me) che si erano sposati e di conseguenza avevano letteralmente silenziato la casa dove abitavo, mi hanno portato a conoscere questo strumento che divenne poi il mio migliore amico. Ma la musica faceva parte della mia vita da sempre: considera che mio papà, appassionato di radio e televisione, non perdeva occasione di sintonizzarsi su buona musica ogni domenica mattina.
Quali sono le componenti della tua ispirazione per la composizione?
Sicuramente le immagini e le emozioni che in qualche modo si fondono fino a diventare note…
Per immagine non intendo solo quello che i miei occhi vedono, bensì proprio il processo di immaginazione, di andare lontano, di essere in luoghi mai visti e di poter passare da una punta all’altra del pianeta e a volte anche fuori.
Il processo è un po’ complesso, perché una prima elaborazione avviene internamente fino a quando come un vulcano, non decide di esplodere ed in quel momento sento la necessità di mettermi al pianoforte e scrivere.
Come ti leghi alla danza nella tua esperienza?
L’incontro è stato casuale. Avevo fatto domanda di insegnamento per il liceo coreutico ma non sapevo in effetti nulla del mondo della danza. Poi è arrivata la convocazione e da lì l’incontro con i primi tre Maestri e professori di danza classica e contemporanea del Liceo. Scoprire di poter comporre sottolineando il movimento del corpo, assecondarlo, contrastarlo, creare emozioni ed entrare in empatia col danzatore, è stato come entrare in un negozio pieno di Lego tutti smontati e pronti per essere ricostruiti. L’amore per quest’arte mi ha portato a specializzarmi come pianista all’Accademia Nazionale di Danza a Roma.. Sono stati anni bellissimi.
Quando hai conosciuto Gianluca Cangemi e Almendra Music?
Ho conosciuto Gianluca durante gli anni di studi di composizione nella classe di Marco Betta. Gianluca era un allievo di musica elettronica e di composizione in Conservatorio e aveva già creato un primo “embrione” di ciò che sarebbe diventata poi Almendra Music.
Ci ha molto colpito Orior, la stampa ha già detto molto, a distanza di qualche anno qual è il tuo sentire riguardo a questo prezioso debutto discografico?
Ci sono brani di Orior che porto ancora oggi in concerto, altri no perché non tutto ciò che siamo stati in passato, in effetti, ce lo portiamo dietro. Mutiamo come mutano le piante, il tronco rimane, alcuni rami, alcune foglie, altre no. Quindi riconosco in Orior me stessa, ma ad oggi una parte ho deciso di tenerla poiché ancora mi corrisponde, mentre altro appartiene alla memoria del cuore.
Quanto la Sicilia come terra ha contribuito e quanto ha frenato la tua crescita?
Questa è una bella domanda.. La Sicilia è la terra nella quale sono nata, tutto ha contribuito a farmi essere una musicista ed una compositrice; la potenza del vulcano, il vento di scirocco, l’acqua limpida del mare, i campi gialli e secchi, i sapori della nostra cucina! Ogni cosa che compongo ha un pezzo di Sicilianità dentro. Allo stesso tempo è una terra difficile; bisogna per forza andare “fuori” per confrontarsi, per crescere, per essere “Riconosciuti”. E’ proprio il concetto della partenza che crea una visione diversa tra coloro che vivono in Sicilia ed il resto d’Italia.
Noi dobbiamo affrontare il mare o il cielo per poterci spostare; elementi imponenti, che richiedono esperienza, coraggio, una dose di follia quasi.
Siamo isolani ed isolati, lo dico sempre. Però sento che in questi ultimi anni le cose stanno un po’ cambiando; il movimento e le possibilità che hanno le nuove generazioni di essere connesse nel mondo e con il mondo, danno in questo caso un grande vantaggio.
Quali sono gli autori e le autrici per te imprescindibili?
I grandi autori, tutti.. Dal barocco al contemporaneo. Non credo di poter dire che qualcuno di questi non sia per me imprescindibile. Posso dire che amo Schumann in particolar modo per il suo essere “sregolato” con il tempo. Spesso sento esecuzioni di sue composizioni totalmente “a tempo”, e non si comprende invece che bisogna giocare col tempo e scherzare con i suoi stati d’animo, con le sue molteplici personalità. Credo che sia ancora un autore piuttosto incompreso anche da alcuni concertisti.
Nella tua lunga e variegata esperienza, trovi caratteristiche comuni nel tratto femminile di “fare musica” oppure lo trovi un cliché ?
Posso dirti per le esperienze che ho vissuto in prima persona, che ho sempre visto nelle mie colleghe compositrici la libertà di esprimere ciò che sono, senza la preoccupazione di dover piacere per forza a qualcuno, ed in questo caso mi riferisco al pubblico. Credo che sia un filo conduttore bellissimo, invisibile e che ci unisce un po’. Questa forza di esprimersi senza pensare troppo ai giudizi.
Quali sono i tuoi sogni per il futuro?
Quello di poter lasciare ai posteri una scintilla di me, scrivere più che posso ma con qualità. Anche negli ultimi concerti ho suonato ciò che volevo suonare, dedicando tempo a parlare con il pubblico e raccontare loro perché nascono queste note, cosa ha pensato il compositore quando ha buttato giù i primi suoni della sua opera. Sogno un nuovo modo di fare “il concerto”, più vicino al pubblico, più vicino ancora ai compositori di oggi. Spero di avere tante altre occasioni per sperimentare questa mia visione.
Una casa
Quella della mia infanzia
Un colore
Il bianco
Un pasto
La pasta col sugo di pomodoro fatto da mia mamma
Un verso
“nessun luogo è lontano”
Un viaggio
Giappone
Un abito
Una tuta comoda per viaggiare
Una città
No, la città no, meglio la campagna.
Un disco
Deutsche Grammophon – Trio op. 100 di Schubert eseguito dal Trio di Trieste (De Rosa, Zanettovich, Baldovino, i miei Maestri)
Valentina Casesa è anche qui:
https://www.valentinacasesa.com/
Francesca Adamo
Posted at 08:54h, 24 AprileBellissima intervista! Grande Vale!