
06 Mar ‘O cane. In dialogo con Luigia Bencivenga
a cura di Francesca Grispello
Una città che è una moltitudine di isole, figure liminali, esasperate, tragicamente umane che richiamano, pagina per pagina, alle città che abitiamo, che immaginiamo, che abbiamo incontrato nelle scorribande letterarie. Da donna del sud, partenopea c’è il mio richiamo personale, ‘O cane, il romanzo di Luigia Bencivenga – per Italo Svevo edizioni nella collana Incursioni – che impatta con l’esperienza dei luoghi e delle persone. I luoghi trasformano le persone e le persone modificano bestialmente, in modo elementare tutte loro relazioni, non c’è pietas se non nella figura dei cani che iniziano a morire.
Molto è stato detto sulla costruzione di questo romanzo, sulla mappa creata dall’autrice, che ha ricevuto con merito una menzione speciale alla XXXVI edizione del Premio Calvino.
Distopia, ritmo, colori, suoni, odori…
Il tuo romanzo è nato da una mappa, che tu stessa hai creato, un riferimento spaziale che ha dischiuso quali altri ingredienti?
Ogni mappa è un ritratto del reale. Rinvia al verosimile, non esiste, ma potrebbe. Ilias è un personaggio e le dinamiche che ospita derivano tutte dalla sua struttura urbanistica disegnata sulla parete di un bagno. Tre sono i grandi contenitori umani: Via Belvedere (la zona delle ville e del potere) le Case Rosse (il quartiere popolare modulato sull’edilizia post-terremoto) e Cala Renella, un finto paradiso per miliardari stanchi o per esistenze in esubero. È una cittadina immaginaria sì, ma fortemente verosimile, lo specchio deforme di una città del sud.
L’epilogo è liberatorio, definitivo e concede al lettore una visuale a volo di uccello su quella città immaginaria ma disegnata sul muro di un bagno, malata e imperfetta. Città che probabilmente rappresenta qualsiasi agglomerato urbano e non uno in particolare e in cui il problema sembra essere l’umanità, la sua tendenza autodistruttiva, determinata a seconda del contesto, ma condivisa nei differenti livelli sociali.
Un romanzo postmoderno, violento, visionario eppure disperatamente umano. C’è molto amore in questa narrazione nonostante tutto, senza pietismo. Quale sentimento ti ha mosso?
Garryowen – il messia canino – è in continua tensione verso l’altro, che sia il suo padrone o meno. Sembra capace di un amore cristiano, davvero umano. Gli iliasiani di qualsiasi quartiere, al contrario, hanno difficoltà nelle relazioni, anche in quelle più scontate.
La trama di Ilias è abbastanza frammentaria, ma emergono almeno due temi conduttore il lutto e la sua elaborazione. Uno dei personaggi, Mimì il Figlio delle stelle, è così sconvolto dalla perdita del suo cane che non riesce a parlare se non con sillabe incomprensibili. E’ un dolore che toglie le parole.
Non credo che ci sia stato un sentimento dominante a muovere la scrittura, se non il sentimento di pienezza che avverto quando scrivo qualcosa di decente, è molto divertente costruire un piccolo mondo, senza sapere quello che succederà. ‘O cane poteva andare avanti all’infinito, fortunatamente mi sono fermata.
Se O’ Cane dovesse avere una colonna sonora quale sarebbe?
Sarebbe una colonna sonora molto trasversale, che va dal neomelodico spinto alla drone music. Faccio dei nomi (i primi due sono immaginari) che ho associato ai personaggi. Nandino Scalea (Patty tre dita), Clementino Neve (Il violista) Roberto Murolo, Carlos Gardel, Amalia Rodrigez (Gli Sposi) Rossini sacro (Garryowen), Bach (Il Prefetto), Mahler (Sauro Consilia e suoi utenti), Bill Evans (Stefano Maria Tummo jr), La Monte Young (Residenti delle case Rosse) e i Kiss (Il figlio delle stelle), naturalmente.
Di cosa odora questa città?
Di incenso, di munnezza e di mare.
Ci sono moltissimi riferimenti verso città immaginarie e distopiche, c’è un autore o una città che più di tutte ti ha aiutato a comporre Ilias?
Più che un riferimento specifico, mi piace l’approccio di Henri Michaux alle società immaginarie. In Altrove racconta di comunità inesistenti con sguardo ironico e lingua distaccata. Sembra di leggere un resoconto etnografico, con una descrizione precisa di fauna, umanità, usi costumi, rituali, dinamiche emotive, talvolta ossessive. In quanto a specifiche città letterarie, ho pensato a Boston di Infinite Jest, a Comala di Rulfo, a Santa Teresa di Bolano, a Dublino di J.J.
Città reali che diventano mitiche e città immaginarie dannatamente reali.
Italo Svevo Edizioni: come sei entrata in contatto con questa realtà?
Ho conosciuto Italo Svevo grazie al premio Calvino. ‘O Cane fa parte di Incursioni, una collana che ospita un certo numero di romanzi italiani interessanti dal punto di vista linguistico e strutturale. Sono grata di farne parte.
‘O Cane è stato molto apprezzato da critica e stampa, te lo aspettavi?
In realtà, non mi aspettavo di trovare tanti lettori entusiasti, disposti a una lettura attiva, giocosa. E’ un romanzo divertente, anomalo nel panorama italiano ma sta trovando il suo spazio, è il libro che mi piacerebbe leggere.
Sei partenopea e vivi a Bologna, leggo che suoni la fisarmonica e canti…
Come hai iniziato a conoscere la fisarmonica?
La fisarmonica, a differenza del pianoforte, mi permette di suonare ovunque, soprattutto per strada. Mi sto preparando per un busker tour durante il quale toccherò le principali piazze europee. L’ho già, ma stavolta parto da sola. Canterò, come mia abitudine, solo canzoni napoletane. Per un periodo ho cantato in gaelico, con un gruppo di tradizione irlandese e scozzese. La melodia andava bene ma le parole non erano mai giuste, non lo sarebbero mai state.
Stai lavorando ad altri testi?
Ho messo a posto una raccolta di racconti strong. Sto scrivendo un romanzo divertente su questioni estremamente tragiche. Continuo a lavorare su comunità immaginarie, che si muovono nel tempo e nello spazio. Non ho fretta. Per ora, sono felice del mio esordio.
C’è una domanda che ti ha rivelato qualcosa di ‘O Cane che non conoscevi?
Sì. Avevo dimenticato di aver letto, proprio ai tempi della mappa sulla parete, Altrove di Michaux insieme ai Diari di Malinowski, letture decisive per definire lo sguardo del narratore, simile a quello di un antropologo schizoide. Uno sguardo distaccato che si nutre di continue invenzioni.
Un luogo
La spiaggia di cala Renella
Un Sogno
Ritrovare la fisarmonica che mi è stata illecitamente sottratta.
Un pasto
Purpetielli affogati.
Un gesto
Gesto I love you, pollice indice e mignolo tipico del glam rock
Una casa
Una tenda o una casa mobile sulla spiaggia di cala Renella
Un regalo
(regalo che vorrei? Un part time.)
Un autore – un’autrice
Vitaliano Trevisan, sempre e comunque.
Un verso
(e poi, lo so che non si dice, ma, alla fine, mi sono odiosi e uomini e animali ) E. Sanguineti “Siamo tutti politici (e animali)“
Uno spettacolo teatrale
Ferdinando di Annibale Ruccello
Un film
Lo zoo di Venere di P. Greenaway
Una stagione
Il mese di settembre nei paesi vesuviani. (tra l’estate e l’autunno)
Una città
Dublino a giugno.
Un augurio
Buona salute.
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