La strada più lunga

di Anna Rita Merico

 

I Gruppi di Rivolta Femminile hanno segnato indicazioni di lavoro centrali all’interno della politica delle donne. Provare ad entrare nelle stanze dei luoghi in cui lo stare insieme accadeva significa, ancora oggi, cogliere i momenti in cui si articolava la nascita di quella autenticità cercata nell’autocoscienza così come Carla Lonzi la intendeva. Riteniamo centrale aver cura della memoria e farne discorso di trasmissione dei saperi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mi vuoi bene?

Si, tanto

Ma quanto?

Come la strada più lunga.

(in esergo)

 

 

La strada più lunga è titolo della pubblicazione edita da Scritti di Rivolta Femminile, 7 a cura di Carla Lonzi, 1976.

Maria Grazia Chinese ha partecipato al Gruppo di Rivolta a Genova dal 1971. Nata a Genova, la sua passione è stata la fotografia. Quello che per tante di Rivolta era la scrittura, per Maria Grazia Chinese è la fotografia. Con la sua macchina fotografica ha documentato momenti di vita di Gruppi di Rivolta Femminile. I Gruppi di Rivolta sono a Genova, Milano, Roma, Torino, Firenze. La scelta di Chinese è stata esito di una propria decisione di non voler utilizzare la scrittura ed optare per una mediazione che fosse in grado di distanziarla dalle difese che avvertiva di dover chiamare a sé per affrontare i contenuti di parola che transitavano nei Gruppi. Contenuti esistenziali in contesto di scambio. La documentazione fotografica pubblicata risale alla primavera del 1972, scatti casuali agiti nell’ordine della non invasività dei volti raffigurati. Voluto uso delle sfocature, effetti sempre attenti alle posture dei corpi e dei volti, un effetto di grande naturalezza improntata alla riflessione, alla risata, alla fragilità di molti sguardi. Donne consapevoli di stare attraversando ma, anche, mettendo in piedi momenti forti della storia del femminismo in Italia. Maria Grazia lascia parlare la fotografia riuscendo a non invadere, il suo sguardo non è quello di un’osservatrice distaccata. Bella la comprensione che non sia il dato oggettivo o il dato invasivo a dover caratterizzare lo scatto.

 

Questa possibilità (la fotografia) si adattava meglio al mio modo di essere e di voler cogliere le persone e le cose nel loro momento “magico”, cioè nella verità dell’istante in cui si manifestano[1]

 

Interessante il riporto che Maria Grazia Chinese fa della propria esperienza in Rivolta.

La perdita di sicurezze causatale dall’aver abbandonato luoghi e posture esistenziali conosciute la rende fragile. Con grande semplicità ci consente di entrare nell’universo del cambiamento causato dalla partecipazione a Rivolta rendendoci conto di passaggi interiori che, oggi, probabilmente ci fanno sorridere ma che, in quel momento storico, sono stati fondamentali per donne che attraversavano territori sconosciuti per i quali non avevano modelli di identificazione. La ricerca di soggettività femminile è passata da una fase di forte, irripetibile esplorazione interiore.

 

… Incontrandomi con le donne di Rivolta avvertivo finalmente la possibilità di un rapporto diretto, libero da malintesi, e soprattutto c’era la reciprocità in questa esigenza di chiarezza…

… nonostante gli alti e bassi… provavo una tensione altissima per l’essere protagonista di un’esperienza unica e irripetibile: l’accentuarsi di tale consapevolezza mi ha spinta a scattare questi ritratti con il solo mezzo di cui potevo servirmi sentendomi più a mio agio… (pg 10-11)

 

Dai testi delle donne di Rivolta e anche, soprattutto da testi di Carla Lonzi nella fase in cui analizza l’allontanamento da Carla Accardi, emerge evidente lo scavo fatto nella dimensione della elaborazione esperita al fine di trovare un proprio “accomodamento”. Smantellare l’Accomodamento ha fatto parte dei contenuti che le donne si davano per poter venire fuori da ruolo e finzione.

 

Ognuno è già accomodato in modo da non sentire troppi colpi dall’esterno… (pg 12)

 

Come ti sei costruita abitudine per “non vedere”? Quanto e cosa sei disposta a tralasciare per scoprire libertà? Negli scatti quelli riguardanti Lonzi la ritraggono in atteggiamento di ascolto profondo, la Sua esplorazione dell’universo femminile è palese sia avvenuta attraverso l’ascolto e la registrazione di dati esistenziali ricorsivi nell’esperienza di ognuna. Maria Grazia Chinese rende conto della relazione con la propria madre, con l’insegnante, con la madrina: leggere, oggi, questi resoconti consente di entrare nella genesi dei momenti in cui sono avvenuti guadagni di parole divenuti, in seguito, puntelli di discorso e conoscenza intorno al simbolico. Parlare dell’insegnante e non avere la sponda del poter dire di cosa abbia significato immedesimazione in ruoli forti che davano ordine simbolico, parlare della madre come territorio del conflitto aprendo alle dimensioni del non riconoscimento, dire della madrina sviscerandone senso di presenza rispetto alla madre.

 

Eravamo (riferito a sé e alla madre), tutt’è due troppo “assolute”. Le agitazioni, gli strepiti, i rivoltamenti nei suoi confronti esprimevano la rabbia e l’impotenza di fronte al suo negarmi per quella che ero, che sono. Mi ribellavo ai suoi “abbandoni” che vedevo come tradimenti cocenti: mi preferiva astrattamente gli altri che mi portava come esempio e modello…  L’autocoscienza mi ha dato consapevolezza della stessa fragilità che per anni avevo coperto  con un velo pietoso (gli anni dell’università, delle amicizie intense, del marxismo, della vita di gruppo nel femminismo). Questa consapevolezza mi ha fatto toccare il fondo della disperazione e mi ha fatto sentire un’immensa pietà per me stessa… (pg 13-14)

 

Centrale l’analisi intorno allo svelamento del ruolo dell’ideologia come forma di pensiero che occulta il progetto individuale, la consapevolezza della propria soggettività. Sarà, questo, un punto centrale per le prime forme che prenderà la politica della rappresentazione e delle rappresentazioni politiche di genere. Questo dato costituirà passaggi fondamentali in Sputiamo su Hegel. (Rivolta n….del 197…)

La via dell’autocoscienza non è felice, prosegue Chinese, senza il riconoscimento altrui e parla del contatto fulminante con il proprio essere dopo aver attraversato passaggi fondamentali nel lavoro in gruppo.

 

Ci avevano educate ed abituate al letargo e la tentazione di una vita ovattata, indenne dalle mischie dello spirito … io non l’ho mai potuta vivere, perciò ero la figlia ribelle, la moglie inafferrabile, “egoista” e dalle mille sorprese (sgradite): una persona “incostante”, e sempre profondamente “scontenta”… (pg 18)

 

Colpisce la freschezza, la novità di questi testi. Era veramente un affaccio all’interno di un orizzonte nuovo, a lungo cercato nel buio di modelli identitari inesistenti. Il loro valore, per noi, è nello svelamento di quanto e cosa si muovesse prima che tutto prendesse la forma di enunciati, testi, avanzamenti teorici.

 

Ogni pagina scritta è per me una conquista insperata … ad ogni punto ortografico mi sono detta: “adesso ho concluso, batto a macchina e vedo di mettere insieme il libro”. .. Concludere non è semplice perché ho la sensazione che potrei continuare all’infinito, anche con un solo pensiero al giorno, ma non voglio più restare chiusa nel bozzolo. Genova, 1975

 

Ci piace riportare (così come riportati nella pagina di chiusura del testo) i nomi legati a questi documenti fotografici affinchè il lavoro di ricostruzione possa poggiare su più fili:

Franca Capalbi, Adriana Bottini, Ritva Raitsalo, Laura Lepetit, Marta Lonzi, Nicoletta Morozzi, Renata Gessner, Carla Lonzi, Marcella Meconi, Jacqueline Marazzo, Carla Accardi, Ida Gianelli, Marisa De Giorgio, Claudia Puppini, Anna Piva, Alice Martinelli, Jacqueline Vodoz, Marilisa Ballerini, Ileana Faidutti, Jole Morteo, Letizia Ponti, Suzanne Santoro, Maria Veglia, Floriana Bossi, Margherita Rocca, Edda Mantegnani, Maria Bianchini.

[1] Pg 9

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