Tra le tue mani

di Cristi Marcì

Cara N.

Stanotte ti ho sognata, da tempo non venivi a trovarmi.

I riccioli un po’ bianchi un po’ grigi erano un tutt’uno col tuo grembiule da cucina preferito: viola e come sempre ricoperto di farina.

Le tue mani una distesa di rughe pronta a fiorire in splendidi e profumati gelsomini, grazie ai quali rinnovare la fragranza del nostro vissuto.

Sento i primi raggi del sole bussare alla finestra della mia stanza ma di gettare lo sguardo sul mondo là fuori proprio non ne ho voglia: rischierei di perdere quel filo invisibile che mi conduce a te.

Perché solo ad occhi chiusi posso varcare uno spazio dove il pensiero e le congetture quotidiane non sono contemplate e dove ogni singola parola creerebbe futili distanze.

Sono passati ben nove anni da quando hai spiccato il volo quel pomeriggio di fine agosto prendendo le sembianze di un Angelo; io invece sono ancora nell’Aldiqua a sudarmi un posto nel mondo in compagnia di una ragazza.

Ha gli occhi dolci e un carattere spesso impegnativo, a tratti davvero spigoloso ma sono sicuro che ti sarebbe piaciuta: possiede una rara eleganza distribuita su di un corpo morbido e ribelle.

Entro cui nuove radici trovano sempre il coraggio di sbocciare, nonostante le imprevedibili trame che un Dio misterioso si diverte a tessere a nostra insaputa giorno per giorno.

E senza neanche il minimo preavviso.

Non avresti impiegato un solo istante a lenire il suo dolore attraverso le tue mani: epicentro di un mondo che tante, forse troppe volte desidero riavere indietro.

Erano un patrimonio insostituibile.

Le domeniche a pranzo le vedevo muoversi da una parte all’altra della cucina, infondere un’anima in tutto quello che i miei occhi etichettavano come “semplici ingredienti” ma che le tue dita assemblavano armoniosamente sul filo di una ricetta a noi sconosciuta.

Si insinuavano tra un timballo di riso appena sfornato per poi coricarsi sopra una pizza dai bordi troppo alti che più di una volta incontrava il consenso di tutto il vicinato, ma non quello del mio palato.

Non ti offendere ma era l’unico piatto che proprio non ti riusciva.

Infine una volta sul divano, di fianco alla tua poltrona preferita, avvolgevano le mie durante la messa in onda di uno dei tanti programmi che non seguivamo, ma che ci teneva compagnia.

Ancora oggi vorrei poterne sentire la morbidezza, assorbirne la rara consistenza per poi finalmente perdermi in quella epifania alchemica che il sogno e la notte trasformano in invisibili battiti: punti cardinali capaci di illuminare luoghi accessibili una volta abbassate le palpebre.

Dove il soffio delle nostre anime disegna il percorso di uno spazio ed un tempo in cui è possibile sentirsi al sicuro.

Dove la geometria delle nostre dita è la sola a colorare nuovi arcobaleni.

(immagine di copertina: Amedeo Modigliani, Ritratto di Jeanne Hébuterne)

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