Dolore

di Sabrina Costa

A distanza di moltissimi anni ciascuno avrebbe saputo dire con esattezza dove si trovava e cosa stesse facendo quand’era successo, accade così in tutte le grandi sciagure. Avrebbe saputo distinguere ogni istante da quello che lo aveva preceduto e descrivere ogni singola sensazione provata.

Era iniziato tutto con un bruciore lacerante alla testa, nella parte frontale. Nello stesso momento, in tutto il mondo, le persone lo avevano avvertito simile a un chiodo piantato in mezzo gli occhi.

Poi il dolore si era spostato ai lati, come se una pressa avesse schiacciato il cranio stringendo le tempie, e si era diffuso lungo le arterie per tutte le ossa e i muscoli del corpo raggiungendo il cuore, lo stomaco, i polmoni e i reni, le articolazioni di braccia e gambe e infine i piedi.

Per le strade qualcuno si era lasciato cadere in ginocchio con le mani sulle orecchie, altri avevano pregato e urlato perdono per i propri peccati. Agli incroci, gli automobilisti avevano accelerato o frenato assecondando solo il proprio istinto.

Un’ora dopo il dolore se n’era andato. E la vita era ripresa.

Quel giorno, in quell’ora, nel mondo erano morte ottocentiventimilaesettecentosettantadue persone.

Avrebbero riferito quei dettagli solo molto tempo dopo. Nessuno voleva parlare allora di quanto era capitato, si credevano tutti vittime di una stranissima allucinazione collettiva.

Ma il giorno seguente, alla stessa ora, era ricominciato. E così il giorno dopo e quello dopo ancora.

Si diffuse tra la gente la convinzione che si trattasse di una maledizione scagliata da un Dio vendicativo contro gli esseri umani. Si crearono delle sette, si moltiplicarono le chiese e i predicatori pronti a trovare rimedi improvvisati per salvare anime peccatrici.

Per limitare i danni i Governi di tutto il mondo stabilirono che nessuno potesse uscire durante l’ora di dolore.

Ma il tentativo fallì: per trovare scampo le persone aprivano le finestre e si lanciavano nel vuoto, per salvare i propri bambini che piangevano disperati i genitori si spingevano a gesti estremi e gli stessi militari, chiamati ad accertarsi che nessuno evadesse, allo scoppio del dolore si colpivano tra loro o rivolgevano l’arma contro sé stessi.

Fallì anche l’idea della Stanza del Piccolo Conforto, la soluzione ideata dai migliori scienziati del pianeta di creare un’enorme ambiente dalle pareti spesse in grado di contrastare ogni emozione attraverso onde elettromagnetiche.

Lo spazio dentro la Stanza era limitato e i Governi avevano dovuto decidere chi far entrare e chi lasciar fuori. Quando una delegazione di ogni Stato era entrata nella stanza erano scoppiate ovunque rivolte e guerre e i Privilegiati erano stati assassinati.

Fu di una studentessa di ingegneria del secondo anno di un piccolo paese del Giappone l’idea di riprodurre, aumentandone le dimensioni, le pareti del Piccolo Conforto piazzandole ai quattro lati del mondo.

L’impresa titanica, che impiegò oltre un anno per essere realizzata, sembrò salvare l’umanità, ridotta ormai allo stremo di forze e risorse, giusto in tempo.

Sotto la bolla del Grande Conforto nacquero e crebbero generazioni di persone schermate da ogni emozione e da ogni paura.

Il dolore di quei giorni non lo avrebbero mai conosciuto, così come non avrebbero mai sentito la paura e l’angoscia. Alzando lo sguardo non avrebbero incontrato la volta celeste o il carro di Orione, un pannello grigio avrebbe delimitato il loro sguardo. La riproduzione della specie era assicurata da un regolamento che ne scandiva forme e condizioni, le passioni di ogni genere erano azzerate.

Passarono vent’anni prima che qualcuno pensasse di uscire.

Capitò a un gruppo di ragazzini argentini che si trovò per caso davanti a una delle porte. Lì il campo magnetico era così intenso da annebbiare la vista e confondere le idee.

Quando riuscirono ad aprire la porta e si trovarono fuori, si emozionarono per il sole sulla pelle e furono invasi dalla curiosità di conoscere il mondo.

Corsero per le strade deserte tagliate fuori dal Grande Conforto e si rotolarono lungo prati abbandonati sentendo l’euforia.

L’ondata di dolore arrivò a notte fonda.

Si svegliarono in preda all’agitazione: gli mancava il fiato in mezzo a tanto tormento. Per tutto il tempo se ne stettero a gridare e piangere, temevano che il cuore potesse saltare via dal petto da un momento all’altro.

Poi, passata l’ora, il battito si regolarizzò, il respiro tornò normale e loro cominciarono a sorridere.

Che bello era stato tutto quel male, pensarono, che bella quella scarica di sensazioni.

Si rimisero in cammino per andare ad aprire le altre porte: volevano che tutti sapessero.

*

Sabrina Costa, classe 1988, napoletana. Laureata in giurisprudenza, lavora nel settore dei beni culturali. Nel mondo che vorrebbe trascorre le giornate a leggere libri e raccontare storie. Ha pubblicato racconti su “Quaerere”.

(In copertina: Separazione di Edvard Munch)

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