Hooyo

di Ale Ortica

In alcuni momenti le sembrava di essere dentro un buco nero, una stanzetta piccola e scura con delle persone che le giravano intorno, donne, che la fissavano e volevano qualcosa da lei. Mandy era ossessionata da quelle donne, quella visione di ombre nella stanzetta che la osservavano e dicevano cose incomprensibili, ma se lei si avvicinava quelle si ritraevano, come se avessero timore, eppure non se ne andavano mai.

Mandy si svegliava a casa sua, l’odore confortevole della pelle e del sudore notturno di tutti i suoi fratelli. Ci dormivano in sette in quella stanza ed era stretta, però era rassicurante addormentarsi accanto alla sorellina e sentire quel ronzio fatto di tanti respiri, pesante, di un sonno sereno e pesante, con la mano del fratellino più piccolo che si apriva e si chiudeva stringendole ciocche di capelli, un dolore dolcissimo. Se pioveva, la capanna si impregnava di odore di terra bagnata e sapeva di vita buona, poi c’era mamma che non dormiva mai, forse, le sembrava, sempre con tutti i sensi in allerta, sempre a guardia del suo bagaglio di vite belle. L’aria si riempiva dell’odore romantico del legno bruciato, che Mandy associava al gioco del mattino, alle corse coi fratelli intorno al campo, piedi nudi a esplorare il mondo, tutto il mondo in un enorme campo coltivato a esseri umani, stipati, contenuti, infiocchettati come un bel fascio di grano steso a essiccare. Mamma preparava una colazione profumata di farina dopo che i fratelli grandi avevano fatto la fila e portato a casa un bel secchio d’acqua. Avevano parlato con altri ragazzini e saputo tutte le novità del campo, le voci, gente che si ammalava e poi moriva quasi subito, vecchi di quarant’anni che figurati, non ce la fanno, e poi altri vecchi in fila con le spalle curve e le facce assorte in pensieri che erano solo rumori di fondo, le formichine della televisione, una cosa che esisteva in certi punti del campo, dove c’erano i soldati.

Mandy aveva poi queste visioni di ombre oscure e di soffocante isolamento. Si voleva ribellare a quel gioco crudele della mente, cercava di svegliarsi e urlava disperata, poi quando si svegliava in mezzo ai fratelli si chiedeva se quando si urla nel sonno lo si fa anche nella realtà, ma forse no perché ogni volta si ritrovava in quella pace dolcissima e tutta la sua famiglia dormiva.

Mandy però era convinta che quelle ombre potessero davvero ferirla, afferrarla, magari dilaniarla, perché cosa ne sai tu di cosa mangiano le ombre? Quali strani rituali possono mettere in scena con quei suoni, quelle parole sconosciute, quei versi che fanno. Le ombre a volte l’afferravano e la costringevano su un letto, la immobilizzavano e sentiva pizzichi dolorosi, le urlavano forte, erano furie e lei non capiva nulla. Voleva confidarsi con la mamma e un giorno aspettò che i fratelli uscissero per le solite scorrazzate in giro per il mondo, le si avvicinò e cominciò timidamente a raccontarle delle ombre.

Mamma stava armeggiando stancamente con una pentola, l’unica che avevano, quella che si usava per lavarsi e per cucinare. Stava girando qualcosa dentro, poteva essere una maglietta da pulire o del cibo per il pranzo, non lo capiva, mamma continuava a muoversi lentamente, molto lentamente, e non la guardava. Ma ti dico che vedo queste cose orrende, mamma, non voglio più addormentarmi la sera, non voglio più vedere quella orrenda stanzetta, e mamma non la guardava, girava qualcosa e basta. Non era un gran problema se lei faceva brutti sogni in definitiva, l’importante era che ogni giorno si riuscisse ad avere qualche secchio d’acqua e che si riuscisse a portare a casa la propria razione di farina, quella che entrava nel piccolo mondo attraverso grandi carri sporchi che si annunciavano alzando grandi polveroni sulla terra secca e sterile.

Mandy non sapeva a chi rivolgersi, non usava raccontare i fatti propri in giro, soprattutto i vecchi non si interessavano ai giovani, erano proprio due mondi separati. Ci doveva essere un modo per cacciare via quei pensieri, oppure quelle ombre potevano afferrarla e strapparla alla sua famiglia? Potevano portarsela via?

Accadde una cosa strana, a un certo punto il sogno cambiò e arrivò una presenza che diceva cose che per lei erano comprensibili, parole che sembravano avere senso, forse una dea buona che entrava nella visione per salvarla dalle ombre minacciose? La sentiva nella sua testa anche da sveglia, mentre giocava coi fratelli oppure osservava la mamma che si occupava delle tante incombenze di casa, le sussurrava nell’orecchio delle cose, la voleva rassicurare, stai calma, tranquilla, guardami, guarda solo me, ma Mandy voleva guardare solo la mamma e la mamma non le dava attenzioni.

E forse questo dolore la straziava e le induceva gli incubi. Una notte si fece la pipì addosso, era tutta bagnata e aveva inzaccherato i fratelli che le dormivano accanto. Che umiliazione quando questi si sono svegliati, lei si aspettava che la prendessero in giro e che i più grandi la rimproverassero, ma inaspettatamente nessuno la guardò. Erano sporchi della sua urina e poteva sentire un forte odore pungente, come quel liquido che a volte spargevano nel campo quando moriva qualcuno, era proprio una pipì fetida e orrenda, la vergogna era incontenibile ma nessuno le disse nulla. Il più piccolo giocava di fianco a lei e le toccava i capelli, come sempre, e rideva ma non di lei, era allegro come sempre, poi una sorella più grande lo prese e lo portò via. Mandy si accorse che la stanza era completamente bagnata, una sensazione di sporco e di colpa che la strangolava immobilizzandola in quell’acquitrino infernale. Sentì quella voce, quell’essere con una voce femminile che conosceva il linguaggio umano e da qualche altro mondo le sussurrava parole dolci. Forse poteva alzarsi e cercare quella voce, quella creatura poteva aiutarla, ma all’improvviso quelle parole furono coperte dagli urli iracondi di quelle ombre malvagie, una confusione, l’immagine della stanzetta buia, il buco infernale e quelle creature che le incombevano addosso.

Basta vi prego basta mamma dove sei, pensava di far uscire le sue suppliche dalla bocca, aveva l’impressione di muovere le labbra ma non riusciva a respirare e sentiva quei pizzichi addosso e la mamma non poteva sentirla perché Mandy non riusciva a urlare.

«Cristo, di nuovo?»

«Vabbè dai, abbi pietà, è una poveraccia che non sanno manco dove buttarla.»

«Sì, il cazzo! Qua c’abbiamo già i problemi nostri e questa continuamente si piscia addosso dove si trova, ma fa schifo, adesso dobbiamo di nuovo buttare per terra il disinfettante, ma puzza, porca puttana!»

Le tre detenute in una cella concepita per due persone cercavano di contenere Mandy contro il muro perché non continuasse a gocciolare per tutta la cella mentre la ragazza tremante urlava, tenendo gli occhi allucinati fissi verso la finestra. Le tre italiane provavano ribrezzo e fastidio per la detenuta perché era chiaramente pazza, le svegliava di notte urlando, faceva cose imprevedibili e spesso disgustose, come urinare ovunque e sguazzare in quel liquido urlando frasi incomprensibili. Un po’ la temevano anche, perché avevano sentito che la ragazza aveva cominciato il suo viaggio della speranza da un campo profughi in Kenya dove la gente moriva di malaria.

«Ho sentito dalla mediatrice culturale che erano partiti in otto, la mamma e sette figli da un campo profughi spaventoso. Non si sa che fine abbiano fatto gli altri, ma è sopravvissuta solo lei ed è arrivata in Italia dalla Libia che già era sconvolta così, neanche avevano capito di che nazionalità fosse. Praticamente non sanno in che fosso buttarla e l’hanno messa qui.»

«Ma tu che sei informata, come hanno fatto a capire che era somala? Questa urla come una bestia e basta.»

«E sì, hai presente quella cantilena che fa? Quel lamento che ci tiene sveglie tutta la notte?»

«E sì, quella sta tutta la notte a lamentarsi come se avesse mal di pancia, aioooo aioooo…»

«E invece no, non è aioooo ma hooyo, me l’ha detto la mediatrice.»

«Ecco il genio del braccio C!» con tono canzonatorio «embè? Che vorrebbe dire?»

«Mamma.»

*

Ale Ortica è lo pseudonimo dell’autrice di diversi racconti. Collabora con la rivista “Sdiario”. Ha collaborato con “Faremusic” di Alberto Salerno e “Syndrome Magazine”. Alcuni suoi articoli compaiono nel libro “Syndromi a caso e come curarle”. Il suo romanzo #chemioGirl è in uscita presso Giovane Holden Edizioni.

(Nell’immagine: un dipinto di Arnold Schönberg)

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