L’impegno antimafia attraverso l’arte. In dialogo con Angelo Sicilia

 

a cura di Ivana Margarese

 

Per cominciare ti chiederei di raccontarci il tuo percorso professionale e artistico.

Da ragazzo ho avuto la fortuna di seguire i corsi teatrali dell’Associazione Teatro Scuola, che di concerto con l’Ente Autonomo Teatro Massimo teneva questi corsi gratuitamente per i liceali palermitani. Era la fine degli anni ’80 ed io ed il mio compagno di banco fummo scelti dal nostro professore, il drammaturgo e poi preside Antonio Giordano, per seguire i corsi di recitazione assieme ad altri venti giovanissimi provenienti da tutti i licei palermitani. In quel biennio del Teatro Scuola ci formarono dei grandi esperti di teatro e recitazione quali Francesca Taormina, Antonio Giordano stesso, Giovanni Ferreri, che era pure il vice preside del Liceo Umberto, Paolo Ursi e altri. Li conobbi e mi innamorai del palcoscenico assieme al mio compagno di scuola Salvo Ficarra. Il mio approccio al teatro dei pupi siciliani risale invece agli inizi degli anni ’90 quando, ancora universitario, scoprii e apprezzai le lezioni di Storia delle tradizioni popolari e di Antropologia culturale di Elsa Guggino e  Nino Buttitta alla Facoltà di Lettere e la successiva collaborazione col Servizio Museografico della Facoltà, allora diretto da Janne Vibaek la moglie di Antonio Pasqualino ideatore e fondatore del Museo Internazionale delle Marionette di Palermo. Al MiM entrai in contatto col mondo magico del teatro di figura che a Palermo aveva nell’Opera dei pupi la massima esperienza teatrale. Fu amore a prima vista. Io, che ero cresciuto con i racconti epici dei Paladini di Francia raccontati da mio padre che li aveva visti nei teatrini di Palermo negli anni ’50, finalmente me li trovavo davanti. Mi occupai di un progetto di ricerca sull’Opera dei Pupi Palermitana e decisi in quegli anni che quello dei pupi doveva essere il mio modello espressivo e comunicativo, ma necessitava qualche cambiamento sostanziale.

 


All’interno del tuo percorso ci sono i “Pupi Antimafia”, un ciclo epico in cui gli eroi della lotta contro Cosa Nostra prendono il posto dei paladini di Francia. Cosa ti ha portato a dare forma a questa tua idea e quali sono state e sono le reazioni del pubblico?

I pupi antimafia nascono da una duplice necessità: svecchiare il repertorio classico dell’Opera dei pupi tradizionali, ingabbiata in un repertorio tradizionale orami fuori dal tempo, di stampo ottocentesco, e quella di inserire all’interno delle nostre nuove produzioni delle tematiche sociali e di impegno civile, la lotta alla mafia appunto. Io provengo da una generazione che a Palermo si è formata in un contesto durissimo degli anni di piombo e della violenza mafiosa contro la società civile e lo Stato e dunque era arrivato il momento di sceneggiare storie nuove. Il teatro dei pupi siciliani era il teatro del popolo, una forma teatrale inventata dal popolo siciliano e rivolta ad un pubblico popolare e questa era una cosa che mi affascinava molto. È stato così naturale inserire le storie dei nuovi eroi siciliani della lotta alla mafia nel teatro delle marionette del popolo: Peppino Impastato, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Pio La Torre, Padre Pino Puglisi. Essi hanno così sostituito Orlando, Rinaldo e Carlo Magno. Bisognava avere solo il coraggio di togliere le armature ai pupi e vestirli come noi. È questo quello che abbiamo fatto dalla fine degli anni ’90 coniugando il teatro delle marionette con l’impegno sociale e politico.

Tra i tuoi lavori c’è anche il libro Io Felicia. Conversazioni con la madre di Peppino Impastato (con M. Albanese, Navarra Editore 2021). Mi piacerebbe me ne parlassi.

Il libro, realizzato assieme a Mari Albanese, racconta un periodo importante della mia vita, un periodo di grande impegno nel fronte antimafia praticato con la conoscenza e la frequentazione di una grande e coraggiosa donna siciliana: Felicia la mamma di Peppino Impastato. Ho avuto la fortuna di poterle stare accanto e di apprezzarne la forza e il valore frequentando Cinisi fin da ragazzo e in un periodo della mia vita vivendo anche in quella abitazione che oggi è diventata “Casa Memoria di Peppino e Felicia Impastato”. Il libro racconta la vita di questa straordinaria donna, il suo impegno contro la mafia partendo da casa sua e il rifiuto della logica mafiosa. È la chiave per capire l’impegno di Peppino Impastato, che non casualmente nasce in una famiglia per metà mafiosa, a causa delle idee del padre, ma che sceglie l’impegno antimafia grazie all’educazione materna. Per me poi quell’esperienza è stata particolarmente significativa perché fu dal confronto con Felicia che nacque l’idea di spogliare i pupi dalle armature e cominciare a raccontare storie di impegno per la legalità. Il primo episodio dei pupi antimafia è stato infatti la “Storia di Peppino di Cinisi contro la mafia” che mettemmo in scena la prima volta a Cinisi nel maggio 2002 in occasione del Forum Sociale Antimafia dedicato a Peppino Impastato.

 


Hai coordinato i lavori di un progetto al carcere Malaspina di Palermo conclusosi con la realizzazione dello spettacolo “Chi tace è complice”, ispirato al lavoro sociale ed educativo realizzato in Sicilia dal sociologo triestino Danilo Dolci. Cosa hai imparato da questa esperienza?

La nostra presenza all’interno dell’Istituto Penale per Minorenni “Malaspina” di Palermo nasce con l’esigenza, concordata con la direzione dell’Istituto e con il Dipartimento per la Giustizia Minorile della Sicilia, di portare tematiche importanti come l’impegno antimafia e le tradizioni popolari tra i giovani reclusi. Il progetto “Muoviamo i fili: I pupi Antimafia” è oggi giunto alla ottava edizione e consiste nel creare momenti di riflessione sul vissuto dei giovani, sulla legalità e sui grandi temi sociali attuali e trasformarli in uno spettacolo finale, con i pupi e le scenografie realizzate dai giovani stessi. Abbiamo trattato ogni anno una tematica diversa: l’antimafia e la memoria, la condizione giovanile, l’immigrazione, l’antisemitismo, l’approfondimento di figure straordinarie come quelle di Danilo Dolci, Francesca Morvillo e Calogero Marrone, l’unico siciliano Giusto tra le nazioni nella seconda guerra mondiale. Quest’anno la tematica che stiamo affrontando è l’Ambiente. Inutile dire che in questi anni molti giovani si sono talmente appassionati da seguirci anche una volta usciti dal carcere. Attualmente tre di loro collaborano con noi, sono dei gran talenti, e questa è una grande vittoria, una speranza che abbiamo seminato e che si trasforma in realtà. Entrare in carcere è per me un’emozione enorme, con questi ragazzi si sviluppa un’empatia ed un rapporto che è veramente molto forte. Alcuni di loro li considero orami come dei miei figli o nipoti.

Ti faccio una domanda che nasce da una mia curiosità personale: che tipo di bambino e di adolescente sei stato?

Da bambino ero un tipo molto studioso e non mi concedevo molte distrazioni che non fossero quelle della lettura, della conoscenza e della pittura. Questo forse perché provenendo da una famiglia popolare non c’erano molte occasioni di trovare libri per casa e quindi ogni occasione era buona per colmare questo vuoto ancestrale di sapere. Nell’adolescenza, poi, questa voglia di conoscenza si è moltiplicata: l’impegno letterario e teatrale, quello politico, quello musicale, l’università. Oggi vivo in una casa a Palermo piena di libri e pupi, le mie passioni. Una casa che sarebbe piaciuta a quell’Angelo bambino di tanti anni fa.

Svolgi la tua attività anche nelle scuole. Qual è il tuo punto di vista sullo stato della scuola in Italia? Te lo domando anche perché da docente ho assistito negli anni a vari cambiamenti ma ritengo che ci sarebbe bisogno di ancora maggiore attenzione ( e investimenti ) verso una realtà di cui si parla tanto ma che a mio parere si conosce poco.

La scuola italiana è in continuo cambiamento, ma probabilmente sta perdendo la sua identità di istituzione formativa. I giovani di oggi sono proiettati verso la realtà virtuale e sono in una condizione di estremo pericolo che è quello di perdere il collegamento con la realtà; mi riferisco al metaverso, alle strumentazioni ultradigitali, all’Intelligenza Artificiale, che potrebbero impedire ai nostri giovani di continuare a pensare autonomamente. Nel contempo stanno perdendo di vista in maniera quasi generalizzata due aspetti: l’impegno antimafia da un lato, correndo il rischio di “smarrire la Memoria” e il saper fare manuale. Molti giovani dopo i nostri spettacoli vogliono toccare materialmente i pupi perché  non capiscono come un pezzo di legno possa raccontare una storia… Ecco, siamo in un bivio importante. Molto spesso, poi, ho constatato,  che molte cose, al di là dell’impegno curriculare, sono delegate all’impegno di singoli docenti.

L’ultima domanda la dedico ai tuoi progetti . Vuoi parlarcene?

I nostri progetti futuri riguardano nuove produzioni teatrali con i pupi antimafia col nuovo spettacolo sul Maxiprocesso di Palermo e la storia della mafia a Palermo negli anni’80 e ’90 e con la storia di alcuni militanti antindrangheta uccisi in Calabria negli anni ’70 e ’80 come Peppino Valarioti e Rocco Gatto. La memoria è importante coltivarla e noi continuiamo a farlo.

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