Vita da libraia: in dialogo con Marirosa Pili

a cura di Giorgio Galli

Leggiamo spesso notizie negative sulla vita delle librerie indipendenti: spesso chiudono, o sono costrette a diventare franchising per sopravvivere, e i dati sulla lettura nel nostro Paese non sono incoraggianti. Qualcuno dice che i librai sono eroici, ma loro farebbero a meno di essere qualificati come eroi e preferirebbero che chi si lancia in simili panegirici fosse anche realmente disposto a varcare la soglia della libreria. Marirosa Pili è una libraia indipendente di Cagliari, e in questo dialogo ci racconta sia qual è per lei il valore del suo lavoro, sia le difficoltà che presenta.

Comincio da una domanda personale: cosa ti ha portato a diventare una libraia? Come descriveresti il tuo percorso?

A vent’anni pensavo fosse il lavoro dei sogni. A ventidue, dopo delle brevi esperienze nel settore, avevo già cambiato idea, ma il destino non aveva sentito la seconda parte della frase.  A volte mi ricredo e la penso come a vent’anni, ma il martedì mattina ho sempre il pragmatismo dei ventidue.

La tua è una libreria indipendente. Vuoi spiegare ai lettori cos’è una libreria indipendente e quali sfide deve affrontare in Italia nel 2023? Quali difficoltà hai incontrato nel fare il tuo lavoro?

Lavoro in una libreria indipendente, la libreria indipendente è quella strana creatura nell’universo mondo che non rientra nelle dinamiche del franchising o della libreria di catena, quindi ha molta libertà, ma è anche molto più libera di avere degli “accolli”. Immaginiamo la libreria indipendente come un simpatico, tenero, a rischio, panda. Ad esempio, la libreria indipendente è molto libera riguardo la scelta dei libri da assortire, ma tendenzialmente è meno libera economicamente di una libreria di un* ricc* proprietari* milanese, quindi è una situazione un po’ di compromesso, dove comunque non si possono certo snobbare i libri in classifica, perché sono quelli che consentono di tenere in libreria (e quindi, teoricamente, di vendere) anche quelli non in classifica! A volte succede di disattendere le aspettative di un lettore che si aspettava il best seller di tre anni fa, ma che non tu hai potuto tenere immobile per due anni: in quel caso puoi solo proporre di farglielo arrivare in qualche giorno. Altre volte una lettrice si aspetta il catalogo completo di *editore super di nicchia X*, senza sapere che anche quello per la libreria è un costo, ed è improbabile che un costo del genere sia sostenibile per una realtà come quella indipendente. Di norma, in libreria, tutto ciò che non si muove ha un costo, quindi il lettore/la lettrice ha la sua fetta di potere nel far muovere ciò che più vorrebbe trovare in libreria. L’altra fetta di potere ce l’ha la politica, che a volte opera bene (vengono in mente certe introduzioni di Franceschini) altre volte razzola male.

Prima di aprire la mia libreria -che poi purtroppo ho dovuto chiudere- ricordo di aver passato un po’ di tempo sulla scelta del nome. Come è stato scelto il nome della tua libreria?

Mi piacerebbe poter rispondere che Tiziano era il nome del mio gatto, ma, quando la libreria Tiziano è nata, io frequentavo i suoi corridoi di narrativa per bambini da cliente, ero alle elementari, leggevo Roal Dahl e Bianca Pitzorno, e ignoravo che i proprietari della libreria avessero scelto quel nome per omonimia con la via, intitolata al pittore. I miei unici possedimenti personali di allora erano il mio zaino di scuola e il mio giubbotto in vernice, e anche adesso non posseggo poi molto altro.

Che rapporto hai instaurato con la comunità in cui la tua libreria è inserita? C’è qualcosa che è cambiato, nel tempo? Nella mia esperienza, ricordo in particolare due cose: la difficoltà degli abitanti nell’identificare il mio negozio come libreria -alcuni la scambiavano perfino per un’agenzia di pompe funebri, non riuscendo a capacitarsi di cosa facessero tutti quei libri in un esercizio commerciale- e il progressivo affermarsi di un clima sociale arrabbiato, spesso accompagnato da una profonda diffidenza verso tutto ciò che fosse cultura: sempre più persone entravano per sfogare le loro frustrazioni o per attaccare filippiche su temi come l’immigrazione ecc., al punto che dovetti perfino mettere un cartello in cui chiedevo a chi entrava di astenersi da discorsi razzisti.

Mi fa parecchio sorridere questa tua testimonianza (già ci immagino in un circolo di librai anonimi che si sfogano sulla clientela, in un gruppo di autoaiuto coordinato da una psicologa del lavoro, in una sala con delle sedie messe a cerchio). È vero che il rapporto con il cliente non è sempre come ce lo aspettiamo. Si plasma e ci plasma. Il quartiere della libreria è un quartiere abitato da sempre dalla classe media, insegnanti, impiegati della regione, giornalisti costituiscono gran parte del suo bacino di utenza. È un quartiere borghese nei suoi pro e nei suoi contro, ma è anche dove si trova il mercato più grande di Cagliari, quindi, un pizzico di apprezzato melting pot è assicurato. Le nostre scelte di assortimento poi ci fanno arrivare dritt* al cuore di giovani lettori e lettrici, e ogni volta che vediamo un giovane o una giovane soffermarsi sui nostri settori preferiti, il nostro cuoricino di librai* fa un salterello di contentezza. Nella libreria dove stavo prima mi sono capitati davvero tanti momenti paradossali, dalla passante che voleva che la accompagnassi fisicamente alla fermata del bus, a quello che, come da te, pensava di trovare terreno fertile per le sue invettive razziste, e niente, nessuno dei due è stato accontentato.

Molti, quando dicevo che ero un libraio, mi chiedevano: ma a parte questa passione per i libri, cosa fai di lavoro?

È stato chiesto anche a me, non so, spesso viene considerato più come vocazione che come mestiere, invece è un mestiere a tutti gli effetti, gioie e dolori di tutti i mestieri del mondo. Guadagnarsi da vivere vendendo libri è bello ed è una grande fortuna, ma tendiniti croniche, batterie sociali scariche fanno lo stesso parte del gioco. Io tendenzialmente comunque faccio solo la libraia, capita di amministrare il condominio di casa ma, quello sì, gratuitamente.

C’è un aspetto che giudichi assolutamente impagabile, che ti fa andare a dormire felice di essere una libraia e ti fa alzare la mattina con la voglia di essere sempre una libraia?

Sì. Certi pomeriggi, quando il caos delle spunte (voce del verbo “spuntare”, dalla Treccani del libraio/a: svuotare i molti scatoloni che arrivano ogni giorno) è finito e il tedio delle rese è momentaneamente sospeso, capita di soffermarsi con clienti che hanno gusti simili ai tuoi, oppure con cui c’è semplicemente una affinità elettiva, e si finisce per consigliarsi libri, musica, film. In quei giorni esco dalla libreria con un sorrisone, e penso che ne vale la pena di tutto il travaglio del resto del tempo. Altre volte i clienti tornano e ti ringraziano per il consiglio, o ti dicono che hai azzeccato il regalo per una persona di cui conoscevamo solo qualche dettaglio. O magari fai scoprire un autore o una autrice che ami a un bambino, una ragazza, una persona che non lo/la conosceva, c’è una buona percentuale di possibilità che tu stia aprendo loro le porte di un viaggio che non sapevano di voler fare. I clienti più acuti a volte arrivano e ti parano davanti una recensione (magari su un giornale) e ti dicono “ho letto questa recensione e ho pensato che possa essere nelle sue corde, io questo libro per ora non ho voglia di leggerlo, ma secondo me fa per lei”, insomma, a volte si sostituiscono al nostro ruolo di consiglier*, e quando lo fanno con intelligenza ed empatia è un momento bellissimo. Anche perché una volta che sei libraio/a, quasi nessuno ti regala più libri per Natale, grande fregatura del mestiere, questa.

Come sono cambiati i gusti e le abitudini dei lettori e cosa chiedono oggi che prima non veniva richiesto? Soprattutto, c’è qualche aspettativa che manifestano nei confronti della libreria come spazio e luogo che va, in qualche modo, vissuto?

Faccio questo lavoro da una decina d’anni, quindi ti posso parlare solo di quello che è cambiato nell’ultimo decennio. Adesso si vendono i libri degli influencer o degli appassionati di gaming per bambini, capita che si venda più Minecraft che L’isola del tesoro, ma i tempi cambiano e non penso che le mode siano un’invenzione degli ultimi dieci anni. I cosiddetti young adult sono sempre esistiti e mantengono il loro ruolo di intrattenimento di una generazione, è positivo che un libro nato in un forum online possa convivere con la serie di Netflix del momento nella fruizione culturale di una categoria. Altre cose mi turbano di più. L’anno scorso, ad esempio, il libro di Giorgia Meloni era quarto in classifica nazionale, e ho dovuto raccogliere un po’ di lamentele per la nostra neutralità nell’esporlo. Ma nei casi limite come quelli del libercolo autopubblicato dall’ex generale Vannacci, a volte i clienti si vergognano di chiederlo, ma poi ci rimangono male quando scoprono che non si trova in libreria (non si trovava, adesso ha trovato un incauto editore e, pare, anche un correttore di bozze). A volte insomma ci si chiede se quello che la clientela si aspetta sia il ruolo neutro di un ufficio pubblico o quello di baluardo dell’etica e della morale che non rivestiva nemmeno la sezione del PCI negli anni Settanta o la parrocchia negli anni Cinquanta. Bene, va da sé che al momento la libreria non è e non può svolgere il ruolo nessuno dei due.

Un’iniziativa o alcune iniziative di cui sei particolarmente fiera o che consideri ben riuscite.

Abbiamo creato un settore intitolato “Femminismi” e, un po’ di tempo fa, siamo riuscit* a organizzare dei bellissimi concerti in acustico in mezzo ai libri: sperimentazione, cantautorato, birrette, è stato molto bello e ci siamo sentiti quasi una libreria di una capitale europea.

Ora ti faccio una domanda da un milione di dollari: nel “mondo del libro” c’è ancora posto per l’utopia, la sfida, il rischio, o vedi sempre più la tendenza a un consumo veloce e omologato?

Il libraio e la libraia devono saper essere “psicanalisti”. Lo scrivo con il sorriso, c’è dell’ironia, ma, tolto il consumo e gli -ismi da esso derivati (a cui siamo tutt* soggett*), dobbiamo essere in grado di leggere il lettore dietro la persona e la persona dietro il lettore, allo stesso tempo di leggere il presente, senza rifugiarci in un passato che forse non c’è nemmeno mai stato (Louisa May Alcott, Lev Tolstoj, si sa, pubblicavano su riviste a puntate).  Se il lettore ha voglia di ascoltare, può uscire dagli standard della classifica della settimana, magari non lo sa ma ha bisogno di leggere poesia. Allo stesso tempo quello che chiamiamo consumo veloce e omologato a volte è banalmente appartenenza sociale, qualcosa di noto a tutte le società di tutti i tempi. Le scuola di scrittura a volte fanno emergere talenti e altre livellano e omologano le caratteristiche di una penna. È una roulette russa. Per come la vedo io, la sfida e il rischio rarissimamente possono superare la lunghezza della gamba, del resto lo psicanalista non può entrare nel merito del fenomeno sociale, ma solo del personale di chi ha di fronte.

Altra domanda da un milione di dollari: che progetti hai per il futuro?

Non sapevo di avere questo sogno, ma da oggi di sicuro rispondere più spesso a domande belle come quelle che mi hai rivolto, il tuo prossimo libro potrebbe essere un libro tutto di domande, un po’ marzulliano, ma inizia a pensarci. Io, nel frattempo, diventerò finalmente una rockstar.

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