Vorrei tanto credere

di Eloisa Ticozzi

Con questo testo, Elisa Ticozzi risponde per prima alla nostra call di inizio anno, dedicata al tema dell’utopia.

«La parola che abbiamo scelto di portare con noi nel 2024 è Utopia, termine che in filosofia a livello etimologico mantiene l’ambiguità tra “non-luogo” e “buon-luogo”, così da non indicare soltanto qualcosa di irraggiungibile o bizzarro ma piuttosto rendere omaggio alle visioni di speranza. Ed è “utopia” la parola che vorremmo condividere per invitarvi a raccontarci e a testimoniare storie “utopiche” che hanno saputo creare risorse e condivisioni, andando controcorrente rispetto all’economia del più grande, forte o veloce. Vorremmo tracciare una mappa di storie e visioni che mostrano la possibilità di spostare lo sguardo insieme un po’ più in là. Aspettiamo, se vorrete, i vostri racconti! Mail:morel.vocidallisola@gmail.com»

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L’utopia non è materia astratta, senza senso e senza fine, ma è ancora di realtà se noi tutti lo volessimo. Ho sempre pensato al mondo come una piccola parte dell’universo, un minuscolo microcosmo in un illimitato macrocosmo. Se noi esseri umani ci prendessimo cura delle nazioni che vogliono e che devono prosperare nell’economia e nella civiltà, sono sicura che questa terra sarebbe un luogo migliore. Non solo, c’è l’ambiente nel quale viviamo che ci chiede di nutrirlo e di non violentarlo. Per non parlare del maltrattamento degli animali, esseri viventi che hanno diritto a esprimersi. Ho sempre pensato alla natura come qualcosa di sacro, inviolabile, un patto sigillato con Dio, o con un’entità suprema. Ho sempre ammirato la saggezza degli animali, i loro suoni parlanti grazie al movimento del corpo, alle dinamiche espressioni delle zampe, alla loro capacità di comunicare con gli occhi i sentimenti, senza lamenti. Penso che la vera ricchezza non sia materiale, ma di altro spessore, e che in Occidente non ci prendiamo abbastanza cura di chi non riesce a sfamarsi, a studiare, a lavorare in altri luoghi remoti del mondo. Io stessa dovrei fare di più lo ammetto, ammetto di non essere ancora come vorrei. Posso chiarire che la verità sta nell’anima, per chi ci crede, o nella morale, se vogliamo parlare in termini più atei. Kant asseriva che la morale è dentro di noi, quindi esiste una propensione ad essere “giusti”, prima ancora di richiedere una giustizia esterna, divina o umana. Mi piacerebbe che noi tutti volessimo e potessimo esplicitare quella moralità insita dentro noi, esplicitarla all’esterno, nella società, nella civiltà, con gli altri. Come faceva Socrate, partorire quella scintilla che è dentro noi e esteriorizzarla con gli altri. Qualcosa è nato e germogliato in noi da sempre, qualcosa di meraviglioso, di umano, di imperfetto, ma allo stesso tempo infinito e puro. Purtroppo sono un’idealista, una persona che ha sempre immaginato una realtà diversa, non crudele, non violenta, non imbrogliona, non bugiarda, e mi rendo conto forse che ho aspettative molto alte rispetto agli abitanti della terra. Forse sono io che non conosco abbastanza umani pronti a cambiare in molti aspetti la qualità di vita dei più deboli, di coloro che cercano una vita migliore. Penso che la scienza e l’arte possano incrementare la bellezza alla vita, apportare quelle modifiche speciali per aiutare sia in termini fisici e mentali, sia in termini psicologici ed emotivi. Vorrei tanto credere alla bontà del genere umano, al fatto che forse è creato a somiglianza e immagine di Dio, al fatto che la sofferenza e il dolore facciano comprendere molti aspetti che forse in uno stato di allegria assoluta ci sfuggono a livello percettivo ed epidermico. Vorrei che tornassimo a commuoverci davanti al dolore e alla bellezza, a scavare nei nostri più spontanei sentimenti, nella nostra voce interiore. Vorrei tanto credere.

(Immagine di copertina di Ana Mendieta)

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