Notre Corps – Intervista alla regista Claire Simon


a cura di Ivana
Margarese 

 

traduzione di Dafne Leda Franceschetti

 

 

 

La regista Claire Simon è stata ospite a Palermo, nel mese di dicembre, all’interno di un evento organizzato dal Sicilia Queer filmfest e Sudtitles, in collaborazione con Institut français Italia, in cui è stato possibile assistere alla visione di Notre Corps, film girato all’interno di un ospedale pubblico di Parigi, in cui Simon s’interroga su cosa significhi vivere nel corpo delle donne filmando la loro diversità, singolarità e bellezza in tutte le fasi della vita.
In questo modo racconta storie di desideri, di paure e di lotte, compresa quella che lei stessa è chiamata ad affrontare:


«L’idea del film è venuta a Kristina Larsen, una produttrice che rispetto molto. Mi ha raccontato che aveva appena trascorso due anni in ospedale scoprendo un mondo intero: le badanti, le infermiere, i medici, i pazienti, e il fatto che il reparto in cui era ricoverata racchiudesse tutto ciò che una donna attraversa nel corso della vita. Sono rimasta profondamente toccata dalla sua proposta, soprattutto perché, da quando ho realizzato Les Bureaux de Dieu nel 2008, che parlava dei servizi sociali francesi e di pianificazione familiare, mi sono pentita di non aver incluso la questione della gravidanza e della supervisione da parte di quegli stessi servizi. Eppure la pillola, gli aborti, le gravidanze, il controllo del corpo e il desiderio di avere un figlio appartengono allo stesso movimento. Molto rapidamente, dopo pochi giorni trascorsi in ospedale, un filo narrativo è diventato sempre più evidente: di fronte a me avevo le tappe di una vita, dalla giovinezza alla morte».

 


IM: Vorrei iniziare chiedendole del progetto cinematografico e del titolo. Qual è l’origine del film, da dove è nata l’idea e come è arrivato a questo titolo, Notre Corps, un titolo che, a mio avviso, pone immediatamente il pubblico al centro della scena, coinvolgendolo attivamente?

CS: Diciamo che è da quando mi sono ammalata che il titolo mi è diventato chiaro. Prima di questo momento il film si chiamava Il corpo delle donne, ma non mi piaceva molto. C’è poi il riferimento alla preghiera cattolica che inizia così:

«Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra».

Allora potremmo aggiungere, «corpo nostro, che sei sulla terra…»

E continuare così…

IM: Il film ha tutta la bellezza di un film corale, in cui ha raccolto le storie delle pazienti ricoverate nel reparto di ginecologia di un ospedale parigino. Quali sono state per lei le maggiori difficoltà, se ce ne sono state, e cosa ha scoperto che non avrebbe mai immaginato?

CS: Per prima cosa, come sempre, attendere che una paziente accetti. Poi combattere la noia che a volte può comparire all’inizio di un consulto, ma che scompare assai rapidamente. Tutto mi ha meravigliato, anche le fasi e le procedure che conoscevo, come la nascita, la contraccezione e l’aborto. Ho sicuramente scoperto il parto cesareo, la chirurgia e la PMA, ed in generale tutte le donne che ho filmato mi hanno sorpreso ed interessato.  Ma la PMA, la procreazione medicalmente assistita, mi ha veramente affascinato: la preparazione così dolorosa delle donne, il prelievo degli ovociti, la ricerca di ovociti e spermatozoi in laboratorio, la conta degli spermatozoi! Le persone che lo fanno, completamente coinvolte, la “lezione” sull’ICSI, ovvero quando Aurélie insegna a Clément come inserire uno spermatozoo nell’ovocita, e infine, ovviamente, il trasferimento nella donna.  Ho avuto come l’impressione che il coito venisse tagliato a fette: il primo incontro, la ricerca dell’ovocita e dello spermatozoo, il loro trovarsi, l’embrione che appare e il suo trasferimento alla coppia… La dignità di tutte le donne che ho filmato mi ha davvero affascinata, la loro forza. E poi il rapporto tra parole e carne: osservare l’endometriosi durante un’operazione mi è apparso salvifico. Ho avuto veramente l’impressione che il cinema sia qualcosa che cambia il modo di percepire il proprio corpo. Del resto ho sempre sentito questa distanza tra una parola che designa il corpo, il sintomo e la parte del corpo stesso.


IM: Notre Corps comprende anche la sua storia personale. Lei prende posizione e si mostra fisicamente e intimamente. Inoltre, nel film prende forma la paura che aveva prima di iniziare le riprese: quella di ammalarsi e di scoprire di avere il cancro. Può parlarmene?

CS: Sì, era strano che lo pensassi quando sono entrata in ospedale, una paura e una premonizione… Se si pensa alle malattie che si possono avere, a volte subentra una dimensione superstiziosa, o ci si sente protetti o di essere in pericolo… Ma quando è successo a me, non mi sono sentita crollare, a malapena ci credevo ed ho sempre pensato alla versione più leggera possibile. Non ero in preda al panico perché avevo filmato molte donne con il cancro al seno e sentivo di conoscere il protocollo, pensavo che sarei stata curata e che sarei guarita. Le cose si sono rivelate un po’ più complicate…
Per quanto riguarda invece la mia apparizione nel film, è legata al fatto che volevo inserirci il momento dell’annuncio di una diagnosi ma non mi è stato permesso mostrare quello di una paziente, perché i medici hanno detto che era troppo doloroso e probabilmente non molto etico filmare tale annuncio senza che la paziente fosse informata di ciò che aveva. Quindi, potevo filmare il mio di “annuncio”, a maggior ragione che ero motivata dal film.

IM: Sono curiosa, perché nel film vediamo storie, viviamo situazioni, alcune delle quali potrebbero essere le nostre. Quali libri l’hanno guidata o ispirata durante le riprese?

CS: Ho letto René Frydman e Aurore Koechlin. E poi il Foucault di Sorvegliare e Punire.


IM: Vorrei condividere con voi i momenti che ho trovato più toccanti nel film. Il primo è il parto naturale. Io, che non ho figli miei, ho provato un’emozione così intensa guardando queste immagini che ho pianto di gioia, e ve ne sono grata. Il secondo momento in cui mi sono sentita emotivamente coinvolta è stato verso la fine del film: il corpo, coperto da tubi, e lo sguardo di una donna anziana che, dopo aver lottato per anni per sopravvivere al cancro, sente che il momento di morire è finalmente arrivato. Guardando il volto di questa donna anziana, che risponde con un debole “sì” a ogni domanda del suo medico, non ho potuto fare a meno di immaginarla come una bambina, piena di speranza e allo stesso tempo obbediente, pronta a dire “sì” con diligenza. È stato un momento meraviglioso. Per quanto riguarda lei, come si è sentita dietro la macchina da presa in quei momenti, entrambi così intensi?

CS: Ho pianto.

IM: Come ultima cosa, vorrei che mi dicesse a chi è dedicato questo film, se davvero lo ha dedicato a qualcuno… E infine, grazie!

CS: Alle donne e agli uomini. Per la prima volta ho l’impressione che il film appartenga agli spettatori.

M509FT Berlin, Germany. 19 February 2018, Berlinale, Soiree francaise du cinema in the Frnech Embassy at the Pariser Platz: the director Claire Simon. Photo: Jens Kalaene/dpa-Zentralbild/dpa Credit: dpa picture alliance/Alamy Live News

 

IM : Je commence par vous interroger sur le projet du film et sur le titre. Quelle est l’origine du film, d’où vient l’idée et comment vous êtes arrivée à ce titre, Notre Corps, un titre qui, à mon avis, place immédiatement les spectateurs au centre de la scène, en les impliquant activement ?

CS : Disons que c’est parce que je suis tombée malade que cela m’est apparu évident. Avant cela s’appelait le corps des femmes et ça ne me plaisait pas.Et puis cela peut faire référence à une prière catholique qui commence par :

Notre père qui es aux cieux,

que ton nom soit sanctifié,
que ton règne vienne,
que ta volonté soit faite sur la terre comme au ciel.

Alors on pourrait dire

Notre corps qui est sur terre….

Et continuer ainsi…

IM : Le film a toute la beauté d’un film choral, dans lequel vous avez recueilli les histoires des patientes admises dans le service de gynécologie d’un hôpital parisien. Quelles ont été les plus grandes difficultés pour vous, s’il y en a eu, et les découvertes que vous n’auriez pas imaginées ?

CS : Supporter comme toujours d’attendre qu’une patiente soit d’accord, bien sûr. Lutter contre l’ennui qui peut parfois apparaître au début d’un consultation mais qui disparaît très vite.

Tout m’a toujours surprise, même les étapes que je connaissais comme la naissance, la contraception, l’avortement m’ont toujours étonnée. Bien sûr j’ai découvert la césarienne, la chirurgie, la PMA, et toutes les femmes que j’ai filmées m’ont surprise et intéressée.   Mais la PMA la procréation médicalement assistée m’a énormément fascinée. La douloureuse préparation des femmes, la ponction d’ovocyte, la recherche au labo des ovocytes et des spermatozoïdes, le comptage des spermatos ! Les personnes qui font cela, complètement engagées, la leçon d’ICSI :  quand Aurélie enseigne à Clément comment mettre un spermato dans l’ovocyte, et bien sûr le transfert chez la femme. J’avais l’impression que le coït était découpé en tranches : la rencontre, la recherche d’ovocyte et de spermato, leur rencontre, l’embryon qui apparaît et son transfert, avec le couple …

La dignité de toutes les femmes que j’ai filmées m’a toujours fascinée, leur force.

Et puis le rapport entre les mots et la chair : voir l’endométriose pendant l’opération m’est apparu comme salvateur. J’ai vraiment eu l’impression que le cinéma était quelque chose qui change la perception de chacune de son corps. J’ai ressenti tout le temps cette distance entre un mot qui désigne le corps, le symptôme, et la partie du corps elle -même.


IM : Dans Notre Corps, on trouve aussi votre histoire personnelle. Vous prenez position et vous vous montrez physiquement et intimement. De plus, dans le film, prend forme la peur que vous aviez avant de commencer le tournage, c’est-à-dire celle de tomber malade vous-même et de découvrir que vous avez un cancer. Pouvez-vous m’en parler ?

CS : Oui c’était étrange que j’aie pensé cela en entrant dans l’hôpital la première fois, une peur et une prémonition… Si on pense aux maladies qu’on pourrait avoir il y a parfois une dimension superstitieuse, se penser protégée ou se penser en danger…

Puis lorsque ça m’est arrivé je n’étais pas écrasée, j’y croyais à peine et je pensais toujours à la version la plus légère possible. Je n’étais pas affolée parce que j’avais filmé beaucoup de femmes qui avaient un cancer du sein et j’avais l’impression de connaître le protocole, je pensais que j’allais être soignée et guérie. Les choses sont révélées un peu plus compliquées…

Quant à mon apparition dans le film, elle est liée au fait que je voulais une annonce et que je n’avais pas le droit de la filmer pour une patiente car les médecins disaient que c’était trop douloureux et sans doute pas très éthique, de filmer l’annonce sans que la patiente ne soit prévenue de ce qu’elle a. Du coup mon « annonce « je pouvais la filmer puis que moi j’étais aussi motivée par le film.

IM : J’ai une curiosité, puisque dans le film on assiste à des histoires, on vit des situations, dont certaines pourraient être aussi les nôtres. Quelles lectures vous ont guidé ou inspiré pendant le tournage ?

CS : J’avais lu René Frydman, Aurore Koechlin.

Foucault, Surveiller et punir.

IM : Je partage avec vous les moments que j’ai trouvé les plus émouvants du film. Le premier est celui de l’accouchement naturel. Moi, qui n’ai pas d’enfants, j’ai ressenti une émotion si intense en regardant ces images que j’en ai pleuré de joie, et je vous en suis reconnaissante. Le deuxième moment dans lequel je me suis sentie émotionnellement impliquée se situe vers la fin du film : le corps, couvert par des tubes, et le regard d’une femme âgée, qui après avoir lutté pendant des années pour survivre au cancer, sent que le moment de mourir est enfin arrivé. En regardant le visage de cette vieille femme, en train de répondre un faible «oui» à chaque question de son médecin, je n’ai pas pu m’empêcher de l’imaginer comme une petite fille, pleine d’espoir et au même temps obéissante, prête à dire «oui» avec diligence. C’est un moment magnifique. Quant à vous, qu’avez-vous ressenti derrière la caméra dans ces moments, tous les deux si intenses ?

CS : J’ai pleuré.

IM : Enfin, je vous demande de me révéler à qui est dédié ce film, si vous l’avez effectivement dédié à quelqu’un/quelqu’une… Et pour terminer je vous remercie !

CS : Aux femmes et aux hommes. J’ai pour la première fois l’impression que le film appartient aux spectateurs/trices.

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