Italo Calvino e Sanremo. Alla ricerca di una città scomparsa. In dialogo con Laura Guglielmi

 

a cura di Ivana Margarese

 


Italo Calvino scrisse che per vedere una città non basta tenere gli oc­chi aperti. Occorre per prima cosa scartare tutto ciò che impedisce di vederla.
Laura Guglielmi, sanremese, parten­do dalle suggestioni dei testi dello scrittore traccia un itinerario inedito nel tempo raccontando la Sanremo di Italo Calvino nel suo libro Italo Calvino e Sanremo. Alla ricerca di una città scomparsa, edito da Il canneto editore.
A emergere in questo testo non è solo un percorso geografico-lettera­rio, ma anche la sensibilità ecologista di Italo Calvino che già negli anni Cin­quanta raccontava di uno strampa­lato Barone Rampante che credeva nei diritti degli animali e degli alberi.
Uno sguardo che gli è stato trasmesso dalla madre Eva Mameli, botanica, e dal padre Mario, agronomo.
Lo scrittore sanremese, nella Spe­culazione edilizia, con grande lucidità ha tratteggiato un’Italia che si stava arricchendo senza nessun rispetto per l’ambiente e questo libro porta alla luce anche le ferite inferte al terri­torio dalla Seconda guerra mondiale fino ai nostri giorni.

Nel tuo testo che ripercorre i luoghi sanremesi in cui ha vissuto Italo Calvino si percepisce con chiarezza una tua grande ammirazione per lo scrittore, un’emozione nell’andare alla ricerca dei luoghi che ha attraversato da bambino e ragazzo e nello scoprire la storia della famiglia Calvino. Puoi parlarmi del tuo incontro con Italo Calvino?

Il mio primo incontro con Calvino fu attraverso il barone rampante, rimasi affascinata da questo bambino che scappava di casa per vivere sugli alberi e poi da Viola, la ragazzina di cui si innamora, libera di fare quello che voleva e soprattutto di saltare da un ramo all’altro insieme al suo amichetto Cosimo. Però nessuna maestra né professoressa mi disse che Italo Calvino condivideva con me e con i miei compagni di scuola lo stesso paesaggio, quando me ne resi conto fu quasi una folgorazione.
Da tanti anni, indago come studiosa il rapporto tra Calvino e Sanremo, dai tempi dell’università. Tra le tante cose che ho costruito intorno allo scrittore, negli anni Novanta ho allestito a New York, con foto d’epoca ereditate da mio padre, una mostra fotografica sui luoghi dello scrittore, dove ho conosciuto Chichita Calvino, la vedova di Italo, e la figlia Giovanna. Un grande dono conoscerla. Quest’anno, anche grazie alla mia consulenza, è stato allestito a Sanremo un percorso in 38 pannelli che mette in evidenza quali sono i luoghi sanremesi frequentati o raccontati dallo scrittore. E poi il mio ultimo libro uscito a giugno per il centenario: “Italo Calvino e Sanremo, alla ricerca di una città scomparsa” (il Canneto editore), frutto di una ricerca più che trentennale.

 


Si sta sempre più manifestando un crescente interesse per la figura di Eva Mameli, la madre di Italo Calvino, attraverso la pubblicazione di biografie, documentari, graphic novel a lei dedicati. Anche nel tuo libro le dedichi molta attenzione e la descrivi come una donna rigorosa, coerente con se stessa, amante della misura. Ti chiederei dunque un tuo personale ritratto.

Tante sono le immagini che mi vengono in mente quando penso a Eva Mameli. Tutte stimolate dalla lettura approfondita dei testi di suo figlio, Italo Calvino. La vedo curva al microscopio, nel laboratorio di villa Meridiana, allora Istituto Sperimentale per la Floricoltura di Sanremo, che era anche residenza di famiglia. La vedo tra le sue piante, serena, che le accarezza e le odora. Me la immagino china tra i suoi fogli a catalogare le specie vegetali.
Un’ossessione classificatoria che trasmette al figlio scrittore: nei suoi testi Italo è spesso mosso dall’ansia di catalogare il mondo, dopo averlo analizzato attraverso il microscopio della mente.
Eva Mameli, una figura di donna intellettualmente affascinante, una donna coraggiosa, la prima a laurearsi in Scienze naturali in Italia, a vincere una cattedra di Botanica. È già avanti nella carriera quando sposa per procura Mario Calvino, un collega agronomo. Tutta sola parte per Cuba, dove il marito dirige una stazione sperimentale per la canna da zucchero.

Eva approda in un altro mondo e, in quell’isola allora remota, un’isola meravigliosa, partorisce, nel 1923, il suo primogenito Italo. Un oceano la divide dalla sua famiglia d’origine, dal fratello. Niente la ferma: diventa capo del Dipartimento di Botanica di Santiago de la Vegas. Una donna pioniera, fuori dalle regole consolidate dell’Italia della prima metà del Novecento.


Come descriveresti invece il padre di Italo, Mario Calvino?

Calvino, dopo il Liceo, si iscrisse ad Agraria per compiacere i genitori, facoltà che in seguito abbandonò per iscriversi a Lettere, anche per cercare un suo modo di interpretare e reinventare il mondo del padre che “vedeva solo le piante e ciò che aveva attinenza con le piante e in questo nominare le piante metteva la passione di dar fondo ad un universo senza fine”. Calvino quel modo suo lo trovò nell’universo senza fine della scrittura, una strada diversa dal padre che forse non perdonò al figlio di aver preferito i percorsi labirintici della metropoli all’Istituto Sperimentale per la Floricoltura, diretto a Sanremo dai genitori, al ritorno da Cuba.
Calvino stava cercando, attraverso un’esperienza più sua, di recuperare il mondo paterno e materno, la natura, la botanica, e dargli significato. Paradossalmente quel mondo ormai scomparso, stravolto dalla guerra in poi nel tessuto urbano e nell’assetto delle zone agricole e quella civiltà contadina dedita ad un uso meno violento del territorio, quel paesaggio insomma che Mario Calvino non era riuscito a salvaguardare dalle serre dei fiori e dalle colate di cemento che hanno invaso la costa e le colline, sono stati recuperati nel testo di Italo Calvino che quel mondo ha disertato. Una città di parole, una città che esiste solo nel testo, ma non per questo, agli occhi dello scrittore, meno vera.

Fai una carrellata di personaggi che hanno vissuto a Sanremo. Alcuni sono stati sepolti a  alla Foce. Tra questi Lucy Madox Brown, pittrice preraffaellita e modella, moglie di William Michael Rossetti, fratello di Dante Gabriel. “Colpisce trovarla qui – scrivi – così lontana dai suoi cari. Quando vidi la sua tomba dissestata mi venne in mente la Tempesta, un suo quadro dove Ferdinando e Miranda, i due personaggi shakespeariani, si fissano intensamente mentre giocano a scacchi in una grotta sul mare, lei con i suoi lunghissimi e fluenti capelli fulvi, lui in calzamaglia e camicia total red”.
Anche Katherine Mansfield, colpita dalla tisi, alloggia nel 1919 per qualche mese nella casetta Deerholm
, affacciata sul mare, a qualche centinaio di metri da Sanremo, e il filosofo Walter Benjamin soggiorna in una pensione gestita da Dora Kellner, la sua ex moglie, con cui il filosofo è rimasto in ottimi rapporti. E con loro tanti altri. C’è una storia alla quale sei più legata?

Katherine Mansfield, grande scrittrice neozelandese, nel 1919 si trasferì a Ospedaletti nell’estremo ponente ligure, a pochi chilometri dalla Francia per curarsi dalla tisi. Una malattia terribile che la porterà alla morte 14 anni più tardi. Era una donna tormentata, inquieta, mai appagata. Sempre in cerca di un luogo adatto per curarsi, riposare e scrivere. Sempre in viaggio tra Francia e Germania. Nonostante la malattia, riuscì a diventare una scrittrice affermata.
Katherine Mansfield e John Middleton Murry partono dall’Inghilterra per raggiungere Sanremo il 14 settembre del 1919. Dopo 15 giorni di ricerche trovano una piccola villa a Ospedaletti – casetta Deerholm – sulla collina che guarda il paese.
John ritorna a Londra, lei rimane per curarsi la tisi nel dolce clima mediterraneo. La corrispondenza fra marito e moglie ha dato vita ad un prezioso epistolario dove Katherine giorno dopo giorno racconta le sue esperienze, sensazioni, emozioni. Scrive: “Amo questa casa ogni giorno di più per qualche sua nuova grazia, così come il giardino dove trovo sempre qualcosa di nuovo e meraviglioso. Poi c’è la collina selvaggia, mai uguale, che appaga il nostro profondo amore per quello che è vero e antico in letteratura. Guardo alla collina, caro Bogey, e poiché non ho avuto un’istruzione classica, mi pare piena dello spirito di queste vecchie cose – il fico selvatico e l’ulivo, le bacche nei cespugli, e ciuffi di liquirizia … Questo è un luogo da amanti”.
La malattia non le permette di muoversi molto. Trascorre la maggior parte del suo tempo nel giardino della villetta: “È stata una giornata meravigliosa: ho letto, scritto e dopo colazione mi sono addormentata in questa atmosfera da ponte di nave”. Katherine sarebbe dovuta rimanere ad Ospedaletti fino al maggio del 1920, quando John l’avrebbe raggiunta e riportata a Londra. Ma a gennaio si trasferisce a Mentone. Non riesce più a resistere a causa del disservizio delle poste italiane, reso ancora più acuto dagli scioperi delle ferrovie: sola e malata ha bisogno più che mai delle lettere del marito e degli amici.


La storia di Sanremo permette di avere un chiaro excursus sulle vicende della speculazione edilizia in Italia. Puoi spiegarmi meglio?

Io credo che “La speculazione edilizia” di Italo Calvino sia un racconto paradigmatico, che testimonia l’ingordigia di un’Italia appena uscita dalla guerra, con tanti malversatori che vogliono fare quattrini infischiandosene del territorio. Calvino con il suo racconto è riuscito a cogliere quel momento preciso, che vede lanciarsi nella mischia anche alcuni ex-partigiani, che invece avevano lottato per un mondo migliore. Per una serie di concause che non analizzo nel mio libro e di cui Calvino non parla, qui si sono incontrati una certa grettezza ligure, l’ingordigia dell’imprenditoria lombarda e torinese, che in qualche caso sono andati a braccetto con la ‘ndrangheta, da sempre molto potente sul territorio. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.


Hai conosciuto Chichita Esther Calvino. In che senso questo incontro ti ha dato il coraggio di scrivere questo libro?

Quando avevo fatto la mia prima mostra sui luoghi di Calvino a Sanremo, usando tante citazioni dello scrittore, era uscito anche un piccolo catalogo. Avevo chiesto all’amico Ernesto Ferrero, purtroppo scomparso da poche settimane, come dovevo comportarmi con la famiglia Calvino. Lui mi rispose che era meglio spedissi il catalogo alla vedova e mi diede l’indirizzo di Piazza Campo Marzio a Roma. Era il 1996, e feci quello che mi disse Ernesto. Sapevo che Chichita era molto severa con l’eredità letteraria del marito, e temevo che il mio lavoro non le piacesse. E invece, quando mi arrivò l’invito di Giovanna Calvino per portare la stessa mostra a New York, compresi che ero sulla strada giusta. All’inaugurazione venne anche Chichita, che in quel periodo viveva a Parigi, e apprezzò apertamente il mio taglio nell’interpretazione del rapporto tra Calvino e Sanremo.

 

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