L’isola dei sorrisi

di Cristi Marcì

Il ronzio di quello strano marchingegno continuava imperterrito a tracciare linee luminose, colore verde alieno. Le quali ad un ritmo sempre più incalzante sembravano danzare e prendere vita sullo schermo di quel piccolo televisore. Dapprima orizzontali alcune si trasformavano in verticali, a volte inclinandosi altre invece disegnando vere e proprie montagne russe dove tanti puntini fosforescenti non cessavano un solo istante di dar vita a nuovi grafici; con i suoi alti e i suoi bassi, le sue salite e le sue discese.

Una giostra ipnotica e luminosa che da giorni teneva compagnia a quell’ospite così piccolo appena approdato in quel rettangolo di stoffa; simile ad un’isola pronta ad accogliere chiunque avesse scelto di esplorarla.

Le pieghe del lenzuolo, al pari delle onde, avevano depositato ai suoi piedi una tribù di giocattoli da poco approdata lungo la riva di quel luogo intimo. Consegnando al legittimo principe di quel regno la lista di chi aveva scelto di esplorare quella terra soffice e profumata; da Superman a Batman, da Joker all’Uomo Ragno, da un elefantino giallo e dalle orecchie colorate, sino a dei misteriosi pupazzetti marroni provenienti dal giurassico.

Tra questi il suo preferito, poco più grande della sua folta chioma di capelli, era il peluche giallo, che ogni sera da quando era giunto in quel reparto di pediatria in Italia, alla stregua di un rituale che si rispetti, poneva accanto a sé; adagiandolo sul cuscino in modo tale da catturarne con la guancia tutta la morbidezza. Donando alla sua pelle vergine e ancora priva dei segni del tempo un senso di autentica protezione, che le infermiere del reparto non smettevano di cogliere ogni qualvolta, visitandolo, lo scoprivano rannicchiato nella sua posizione preferita. Capace di illuminare durante il sonno la porta di ingresso per un mondo lontano. Diverso da quello in cui Alin aveva vissuto prima ancora di approdare su quell’isola sconosciuta.

Distribuendo pian piano il peso del suo corpo lungo quella terra fatta di stoffa, mani e piedi seguirono alla lettera gli ordini provenienti dalle due minuscole finestre color nocciola, le quali posando lo sguardo sulla superficie rettangolare avevano catturato una linea rossa. Che a quell’ora del pomeriggio, dai piedi del letto reclamava la sua attenzione. Così, avanzando cautamente di qualche centimetro, le sue mani decisero di stendere, sul viso di quello strano pupazzo bianco -e dal sorriso a dir poco ambiguo- un velo in grado di cancellarne anche l’ultima traccia. Coprendo con le dita quel segno indelebile sul volto di Joker, subito dopo con l’aiuto dell’altra mano e con una forza a lui sconosciuta, estirpò la piccola testa di plastica dalla radice del corpo; gridando con fare esultante “am castigat, castigat” (ho vinto io, ho vinto io). Per poi gettare oltre la ringhiera del letto quello che ormai era stato un lontano compagno di giochi. Il quale nella vecchia casa di Slobozia (in Romania), dove era nato e cresciuto per i primi 3 anni, era stato testimone di un passato di fronte al quale quel semplice gesto sanciva la parola Fine.

“Dovrebbe essere qui al prossimo angolo, almeno così ho visto su Internet” disse Laura con fare incerto e al contempo ansioso al suo compagno Roberto, mentre si dirigevano alla Clinica Pediatrica di Siena, a bordo della loro Jeep.

“Tranquilla amore, vedrai che ci arriviamo. Proprio ieri pomeriggio, prima di tornare a casa dal lavoro, ho deciso di fare un ultimo sopralluogo; così, giusto per non perderci all’ultimo” le disse lasciando il cambio e facendo scivolare le dita nelle sue. Arrivati all’ultimo semaforo che li separava dalla destinazione, i loro sguardi si incontrarono fugacemente, quasi temendo che guardare il riflesso dei propri desideri negli occhi dell’altro potesse d’improvviso mandare in frantumi quello che sinora avevano raggiunto.

In quell’abitacolo di metallo, rischiarato da una splendida giornata di sole, ogni emozione sembrava pilotata da una forza che entrambi non riuscivano né a contenere né tantomeno a decifrare. Alla stregua di un fiume in piena scorreva e basta, irrorando ogni centimetro della loro pelle e tuttavia pronta a sfociare in un nuovo mare di possibilità. Depositandosi, prima di tutto, proprio su quei rami sottili che neanche il lieve sudore alle mani sarebbe stato in grado di estirpare dalle radici del loro desiderio. Perché loro erano una squadra e come tale nell’ultimo anno avevano dovuto fare scelte, sostituire il vecchio con il nuovo, cambiare schema di gioco per poi semplicemente scendere in campo. Giocando con quanto di più intimo e delicato la vita gli aveva sinora riservato.

“Cosa può succedere se non dovesse andare?” chiese al marito mentre il semaforo dal rosso aveva cambiato colore passando all’arancione.

“Tesoro, la dottoressa ha confermato la nostra idoneità, ha detto che abbiamo tutti gli strumenti per essere dei bravi genitori e che questo bambino avrà tanto bisogno di noi quanto noi di lui” azzardò Roberto rassicurante.

“No intendo dire…se va male? Se non vuole stare con noi?” rispose di rimando con un filo di voce.

“Se non ne fossimo in grado non saremmo giunti sin qui, non credi?” la incitò quasi per riflesso condizionato. “L’adozione abbiamo scoperto che comporta proprio questo; un viaggio di incertezze e paure da affrontare insieme, passo per passo, senza affrettare i tempi” continuò sorridendole e lasciando stavolta che i loro sguardi si depositassero su quello spazio intimo e sicuro che era il loro amore. Un rapporto che, nonostante la sterilità riscontrata un anno prima, di contro aveva reso ancor più fertile la loro unione. E il loro sogno di diventare genitori.

Perché il loro legame, simile ai puntini luminosi presenti sullo schermo di quello strambo marchingegno, aveva messo in moto una serie di ingranaggi ancor più indecifrabili, di fronte ai quali parole come “Ormai” o “Mai più” erano futili zavorre al cospetto di un viaggio che da tempo li stava preparando a conoscere una galassia fatta di infiniti chiaroscuri e colori inaspettati.

Una volta che il semaforo divenne finalmente verde all’unisono e in maniera repentina le loro dita si sciolsero permettendo a Roberto di innestare la marcia.

L’ingresso della clinica non tradiva l’immagine riportata sul sito e sui dépliant, era molto accogliente, luminoso, e le pareti erano colme di disegni raffiguranti alberi, arcobaleni, elefanti, pianeti e tante, tante farfalle. Una volta entrati, con passo lento e timorosi di affrettare il tempo, Laura e Roberto si diressero alla reception dove, come stabilito qualche giorno prima, ad accoglierli c’erano la pediatra e l’interprete.

“Buongiorno, signori” esordirono queste ultime stringendo le mani ai nuovi arrivati. “Vedo che avete portato dei giochi come vi abbiamo consigliato” disse la giovane dottoressa rivolta alla coppia. “Alvin vi sta aspettando, però prima di accompagnarvi da lui sarebbe opportuno fare un piccolo ripasso, se siete d’accordo” propose Ludovica, l’interprete che da anni si occupava di mediazione interculturale per i casi di adozione internazionale.

“Certamente” risposero in coro Laura e Roberto, consapevoli che quello era l’ultimo gradino prima del nuovo incontro.

“Allora possiamo accomodarci a quel tavolo e discutere i preparativi; nel mentre, se gradite qualcosa, il bar è qui di fronte” li invitò l’interprete.

“La ringraziamo, ma abbiamo già fatto colazione stamattina, per quello che siamo riusciti a mangiare” le rispose cordialmente Roberto prendendo posto accanto alla moglie.

“Dunque, signori De Martini, come già sapete Alvin ha 4 anni, non conosce ancora bene l’italiano e il canale preferenziale da lui adottato è quello del gioco” esordì con fare tecnico e professionale la dottoressa. “È arrivato in questa clinica l’anno scorso, dove le infermiere hanno svolto un lavoro eccellente, trascorrendo molto tempo con lui e instaurando sin da subito un contatto fisico…”

Nei venti minuti che precedettero l’incontro, il racconto della storia familiare di Alvin aprì un ventaglio di esperienze dove la trascuratezza emotiva e un carente stile comunicativo con i genitori biologici tracciavano una trama dolorosa, rispetto alla quale la parola fiducia sembrava avere interrotto prematuramente una possibile fioritura. Negli ultimi tempi, come raccontato da entrambe le figure, “il gioco era diventato la chiave risolutiva grazie alla quale poter esprimere quel vuoto dove il suo passato si era prepotentemente insidiato, occludendo ogni possibile via d’uscita”; provocando in lui un mutismo che solo le attenzioni ricevute dallo staff sanitario erano state in grado di scalfire; con pazienza, dedizione e tanto, tanto impegno.

“Proprio l’altro ieri abbiamo trovato sul pavimento della sua stanza il pupazzetto di Joker, privato della sua testa” intervenne l’interprete. “E a quanto pare” si unì prontamente la pediatra “quel semplice gesto è stato accompagnato da un’esclamazione che pare abbia spezzato l’ultimo legame con uno dei suoi tanti ricordi. Per questo quello che vi chiediamo è di essere trasparenti, privi di filtri che possano compromettere il suo potenziale espressivo” concluse sorridendo a quella coppia curiosa e incerta su quanto stava per accadere.

Consapevoli che proprio l’imprevedibile poteva aprire le porte ad un’autenticità priva di limiti, entrambi si scoprirono capaci di donare al futuro figlio quel tesoro che lui stesso aveva voluto cancellare con la sua mano.

Un nuovo sorriso.

*

Cristi Marcì è uno psicologo e appassionato di lettura. Accusato ingiustamente di abitare tra le nuvole, i suoi sogni lo lo guidano alla ricerca costante di parole nuove da mettere per iscritto.

(L’immagine di copertina è di Balthus)

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