Il dubbio e il desiderio. Eva Mameli Calvino raccontata da Silvia Bencivelli

a cura di Ivana Margarese

 

Eva Mameli è stata una botanica importante vissuta tra il 1886 e il 1978, al lavoro tra la Sardegna, Cuba e la Liguria. Nata Mameli, sposa Mario Calvino e ha due figli, tra cui Italo, attraverso il quale viene oggi più spesso ricordata.
La madre di Italo Calvino ha però avuto una vita vivace e interessante: ha partorito in una capanna nel mezzo di una rigogliosa stazione agraria cubana, ha coltivato il primo avocado italiano, ha scritto centinaia di articoli scientifici, e se i nostri terrazzi sono fioriti di gerani e ciclamini è anche grazie ai consigli che per anni ha dato ai pollici verdi. Figura riservata, austera, severa, e non molto raccontata, è stata scienziata in un’epoca in cui alle scienziate veniva dato poco spazio, e ha vissuto in un’Italia in cui era ancora possibile farsi un orto botanico nel giardino di casa.

Il volume di Silvia Bencivelli fa parte della collana OILÀ, curata da Chiara Alessi, che presenta le storie di protagoniste del Novecento.
Figure femminili che, nel panorama ‘creativo’ italiano e internazionale (dal design alla moda, dall’architettura alla musica, dall’illustrazione alla grafica, dalla fotografia alla letteratura) si sono distinte in rapporto a discipline e mestieri ritenuti da sempre appannaggio dell’universo maschile.


Eva Mameli viene descritta come una donna composta, e meticolosa scienziata, dall’ eloquio pacato, e l’aspetto garbato. Resterà delusa/o chi si aspetta da Eva una storia di femminismo scientifico dove le scienziate sono ribelli, eroiche, combattive, Nel 1921, nel periodo in cui visse a Cuba, ha scritto un articolo dal titolo La mujer en los institutos científicos de Pavia, Italia, in cui raccontava i traguardi delle donne italiane nella scienza. I traguardi – scrivi – non le battaglie. Mi interesserebbe un tuo ritratto di Eva Mameli in considerazione anche di questo aspetto.

I ritratti di Eva sono pochi e anche lei si è raccontata poco. Sono poche le sue lettere oggi leggibili (poche per poterne tracciare una fisionomia) e anche il figlio ha scritto poco di lei (comprensibilmente). Poco, ma sempre molto di più di quello che si può trovare di quasi tutte le donne italiane sue coeve. Anche per questo è stata molto raccontata.
Alla fine, ho l’impressione che nel tempo si sia cristallizzato un suo ritratto che ci passiamo di mano in mano, che la vuole introversa, silenziosa, forse anche tendente all’anaffettività. Anche se alcune sue lettere oggi leggibili contengono frasi piuttosto normali, da madre normale attenta ai bisogni dei figli e persino premurosa. E in alcune foto (soprattutto del periodo cubano, che è stato anche il periodo della maternità) la si vede persino con un mezzo sorriso.
Alla fine, mi sento un po’ in imbarazzo a dire “come era Eva”, che ha vissuto 92 anni, e come tutti noi deve aver avuto i suoi momenti. Sicuramente un tratto caratteriale di fondo assai forte doveva essere la riservatezza, la compostezza, il rigore. E no: Eva non era una barricadera, forse non ne ha mai avuto bisogno, e ha sempre ritenuto normale essere la “vice” di suo marito, pur essendo consapevole di essere una scienziata eccellente. Ma era nata nel 1886 e non credo che possiamo biasimarla o decidere che, allora, era una scienziata da meno delle tante (troppe!) che oggi descriviamo per aneddoti, appiccicando loro addosso l’etichetta di “ribelli”.

Eva, nelle sue memorie descrive così se stessa ragazza: “Sembravo timida ma non lo ero per niente. Dentro di me sentivo una gran voglia di imparare. Non avevo ancora idea di cosa avrei fatto, però sapevo che desideravo scoprire per essere utile. A chi o a che cosa lo ignoravo, ma l’idea di diventare qualcuno mi accompagnò sempre in quegli anni”. E anche: “Le miti figure dei miei maestri tornano oggi alla mia memoria. Con loro si lavorava, pur sapendo che per molti anni sarebbe stata una vita di sacrifici. Ricordo gli inizi, nell’oasi tranquilla dell’Orto botanico di Cagliari, ogni pianta che si scrutava, nei primi anni di studio, era uno scrigno di tesori nascosti, un mucchio di domande – e il dubbio: riuscirò? – e il desiderio: se riuscissi!”.
Eva si racconta molto, scrive diari e lettere e sembra con semplicità cercare il suo posto nel mondo. Che tipo di rapporto ha avuto con la maternità e con i figli?

Anche questo è difficile da dire. Credo che sia stata una madre attenta all’educazione e capace di trasmettere l’amore per lo studio e il rigore morale, quello che poi porterà i figli a scegliere di entrare nella Resistenza (Floriano aveva solo sedici anni, in quel momento). Non sembra essere stata una mamma particolarmente affettuosa, ma mi dicono che a quel tempo l’idea di affetto materno era diversa da quella attuale e si esprimeva in maniera molto meno manifesta. In fondo, dopo la nascita del secondogenito, Eva fa una scelta piuttosto comune anche adesso: rinuncia a una cattedra universitaria lontana da casa perché non riesce più a pendolare, e sceglie di vivere e lavorare nello stesso posto. La cosa interessante forse è il rapporto che i figli hanno con lei. Di Floriano non posso dire niente. Su Italo invece ho avuto qualche sensazione: Italo si allontana presto da casa, sembra quasi disconoscere la sua infanzia dorata in un giardino tropicale curato soprattutto dalla madre, e a me (dispiace dirlo) alla fine è parso quasi ingrato. Ma forse è successo perché mi sono sentita diventare una specie di amica a distanza di sua madre, alla quale mi è stato più facile sentirmi affine. O forse anche perché, da donna del ventunesimo secolo, non riesco a non leggere nel comportamento del figlio un fondo di maschilismo che mi dà molto fastidio, e che contestualizzo con maggiore difficoltà rispetto ai tratti comportamentali della madre.

Eva Mameli è stata grande amica di Olga Resnevič Signorelli, lettone di nascita. Che tipo di relazione era la loro?

Erano amiche, molto amiche. Olga Raznevich è stata peraltro anche la prima a leggere i racconti del giovane Italo e a dargli consigli sulla scrittura (anche se lui non lo racconterà molto). L’altra grande amica di Eva era Beatrice Duval, pittrice francese residente a Sanremo. Tre donne colte, di grandi interessi: mi sarebbe piaciuto starmene lì con loro, in silenzio, ad ascoltare le loro conversazioni.

“Che la vita fosse anche spreco, questo mia madre non l’ammetteva: cioè che fosse anche passione. Perciò non usciva mai dal giardino etichettato pianta per pianta, dalla casa tappezzata di buganvillea, dallo studio col microsco- pio sotto la campana di vetro e gli erbari. Senza incertezze, ordinata, trasformava le passioni in dovere e ne viveva”. Così scrive Italo Calvino ne La strada di San Giovanni ( pubblicata postuma nel 1990) è una riflessione che suona quasi come un rimprovero. Qual è stata secondo te la traccia invisibile, l’eredità, lasciata da Eva al figlio Italo?

Sono molte le cose nel lavoro di Italo che sono state lette come eredità materne. Intanto il rigore, la precisione: Italo, in fondo, era il figlio della tassonomista, e la precisione del tassonomista la mette anche lui (e la teorizza) nella scelta di ogni parola. C’è poi una seconda forma di rigore, quella morale, che guida Italo nelle sue scelte politiche e personali, anche se tra lui e i genitori ci sono stati conflitti, come sempre accade (ho trovato che lui rimproverava alla madre l’uso della servitù. Ma lei non ci vedeva niente di male: era una signora di fine Ottocento, e il suo modo di essere vicina alle classi povere era inevitabilmente paternalistico e colonialista). Infine ovviamente anche la scelta dei temi. Italo “torna” alla scienza negli anni sessanta: la studia, la capisce, la mette nei suoi testi, la indica come componente essenziale della cultura della seconda metà del Novecento, strumento indispensabile per capire la natura e la società ma anche forza modellatrice inevitabile del nostro immaginario.

Nel saggio sottolinei come sia passata anche una certa idea di natura di cui l’uomo non è dominatore assoluto, in cui esistono relazioni tra esseri viventi, noi compresi: una visione ecologica che permea molte narrazioni calviniane. Potresti parlarmene meglio?

Italo Calvino ha una visione della natura molto moderna per i suoi tempi: sicuramente, come lui stesso ha raccontato, è stato l’incontro con Giorgio de Santillana a introdurlo ai concetti di complessità della scienza del Novecento, e quindi anche ad affascinarlo. Ma alcuni hanno letto nella sua descrizione di una natura fatta di intrecci di relazioni, in cui l’essere umano è solo una parte di una grande rete, e alle volte (vedi le Cosmicomiche) è del tutto ininfluente, una derivazione della scienza materna, di una ecologia di metà Novecento che sicuramente permeava il lavoro di sua madre Eva.

 

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