Elsa de’ Giorgi: il cinema, la scrittura e Italo Calvino. Un dialogo con Marialaura Simeone

a cura di Ivana Margarese

 

Elsa de’ Giorgi è stata una figura originale e poliedrica, attrice e poi scrittrice, che pur avendo attraversato la vita culturale italiana dagli anni Trenta agli anni Novanta del Novecento, per lungo tempo non ha trovato una collocazione stabile e duratura nel panorama letterario. Adesso in Italia stiamo assistendo a una sua riscoperta anche grazie alla ripubblicazione di alcune sue opere, in occasione peraltro del centenario di Italo Calvino con cui lei ebbe una relazione appassionata durata alcuni anni. Ne abbiamo parlato con Marialaura Simeone, curatrice del libro Storia di una donna bella.


Come è avvenuto il tuo incontro con Elsa de’ Giorgi?

Qualche anno fa ho lavorato sulle influenze reciproche in alcune coppie di scrittori (studio confluito nel volume Amori letterari. Quando gli scrittori fanno coppia, Firenze, Franco Cesati Editore, 2017). Mi sono imbattuta nella coppia Calvino/de’ Giorgi che, nonostante non sia entrata a far parte del volume per via della censura che ancora pesa sulla loro corrispondenza, mi ha fatto scoprire un’autrice straordinaria, completamente dimenticata da critica e pubblico. Proprio nel 2017, qualche mese dopo la pubblicazione del mio libro, è stato rieditato da Feltrinelli Ho visto partire il tuo treno, il racconto della relazione con Calvino che Elsa de’ Giorgi aveva ripercorso e pubblicato nel 1992. Da allora l’interesse sia accademico che editoriale è cresciuto un po’, ma resta ancora una scrittrice poco nota. Ricordata il più delle volte come musa di Calvino, ma più raramente come attrice di cinema e poi di teatro e soprattutto come scrittrice, saggista, operatrice culturale. Da quel mio primo incontro nel 2017 ho letto tutti i suoi libri, gli inediti, le lettere che si è scambiata con i maggiori esponenti della letteratura, del cinema, dell’arte del Novecento. Lucidissima nei suoi giudizi, originale nella forma e nello stile dei suoi scritti mi ha affascinata fin da subito e mi sono convinta a dover rispondere a una vera e propria necessità di recupero e diffusione del suo pensiero e delle sue opere.

Storia di una donna bella è un’autobiografia romanzata, che intreccia il romanzo di formazione all’autofiction. Quali elementi sono stati decisivi nella scelta di ripubblicare il romanzo?

Innanzitutto proprio la profonda originalità di questo intreccio di generi. Un’operazione già avviata ne I coetanei, che oscilla tra romanzo, journal e saggio. Sebbene non raggiunga la perfezione di stile e contenuto de I coetanei, Storia di una donna bella è, inoltre, un romanzo fondamentale per capire la scrittrice, ma anche la sua epoca. In un certo senso con questo romanzo scritto nel 1958 (ma pubblicato solo nel 1970) l’autrice completa il panorama storico, politico, civile rappresentato del romanzo del 1955. È proprio in Storia di una donna bella che emerge in tutta la sua grandezza la figura di Elsa de’ Giorgi e il senso che lei stessa aveva dato alla parola ‘artista’, l’unica capace di sommare tutte le esperienze attraversate nella sua vita (attrice cinematografica e poi teatrale, scrittrice, scultrice, regista). Oltre alla ricostruzione storica ci sono dei passaggi interessantissimi sul rapporto tra le due arti, cinema e teatro, che possono essere paragonati alle riflessioni di un Pirandello o di un Benjamin.

Storia di una donna bella è un testo che colpisce per l’estrema lucidità con cui la narratrice racconta sia le vicende storiche sia quelle personali. Il libro non indugia in pratiche retoriche ma fotografa la realtà dal punto di vista della protagonista che viene definita attraverso il suo essere bella, dato di fatto che lei, inizialmente quasi ignara, a poco a poco acquisisce e di cui diventa consapevole. Una bellezza che la porterà a essere una diva idolatrata e a essere tenuta in una certa misura a distanza anche dagli uomini con cui entra in relazione. Storia che tanto racconta anche a noi oggi quanto sia difficile uscire da facili stereotipi per mettersi autenticamente in ascolto dell’altro. Vorrei una tua considerazione sull’argomento.

Elsa de’ Giorgi parlava della sua bellezza come una «nemica», lo schermo tra lei e gli altri, che non le permetteva di entrare veramente in relazione e in ascolto. La sua era una bellezza effettivamente fuori dal comune, da diva hollywoodiana, ma a questa univa un’intelligenza, un acume, altrettanto rari. Lei stessa si paragonava a una dama del Settecento, che sfrutta la seduzione per farsi riconoscere come persona pensante. Oggi non è cambiato molto purtroppo. La bellezza viene ancora considerata prerogativa di spiriti leggeri o poco inclini alla riflessione, al pensiero critico. E questo vale per le donne, naturalmente. Anzi, non solo la bella è ancora considerata stupida e deve faticare di più per far riconoscere la propria intelligenza, il proprio talento, ma è vero anche il contrario. L’estetica in una donna è sempre la prima cosa che si nota. Non ci possiamo permettere quanto gli uomini di essere semplicemente brave, o siamo belle e “anche” brave o siamo brave, ma a quel punto ci dicono o che non ci curiamo abbastanza, o che abbiamo questo o quel difetto fisico. Non c’è mai scampo e siamo ancora lontani, anche sotto questo aspetto, da una vera parità di genere.

Giovanni, il partigiano con cui Elena, la protagonista, vive una storia d’amore felice e apparentemente libera da schemi, alla fine la lascia perché nonostante la ami non crede che possano passare insieme tutta la vita e sposa un’altra donna. Elena ne soffre moltissimo. Il libro si conclude con lei che trova il coraggio di assistere a un comizio di Giovanni e vede la moglie. Giovanni e la moglie si cambiano cenni di assenso in una espressione rassicurante e domestica, come di pratica intesa tra loro: “Vede bene la moglie, là davanti; i suoi fianchi larghi, appoggiati alla spalliera della sedia, le spalle tonde che ricadono tranquille sulla vita grande. E quel collo riposato nel gesto paziente che lo inclina da un lato. Non vede il petto, ma potrebbe riconoscerlo in armonia col viso: tondo, umile e materno”. Mi è venuto in mente La mia notte con Maud del regista Eric Rohmer e il tema della scommessa. Giovanni non scommette su Elena. Ti sei fatta un’idea del perché?

Va detto che c’è dell’autobiografismo: Elsa de’ Giorgi scrive il romanzo quando la sua storia con Calvino volgeva al termine e possiamo intuirne il perché… Ma non è solo questo. Oltre a corrispondere a uno schema, anche questo, piuttosto stereotipato ma nello stesso tempo reale, Giovanni e Elena rappresentano in un certo senso l’emblema dell’uomo e della donna nel Dopoguerra. Giovanni, nonostante sia in prima linea nella ricostruzione di un’Italia democratica dopo anni di dittatura, non è ancora in grado di riconoscere alle donne l’autonomia, l’emancipazione. Elena è la donna nuova, uscita dalla guerra e dalla Resistenza. Altri romanzi pubblicati nell’immediato dopoguerra o ambientati in quel periodo storico possono chiarirci ulteriormente l’intento. Penso a Joyce Lussu con i suoi scritti autobiografici, a Giovanna Zangrandi e soprattutto a Dalla parte di lei di Alba de Céspedes. Nel suo romanzo la società che esce dalla guerra e dal Fascismo è ancora una società bloccata, almeno per quanto riguarda il rapporto tra i sessi e dei ruoli familiari. L’omicidio del marito, un uomo tutto sommato buono, anche impegnato nella ricostruzione politica e civile della società italiana, è necessaria proprio perché per la donna nuova ci vuole l’uomo nuovo. C’è una sensazione comune nelle scrittrici, questo è particolarmente evidente, di educazione alla vita. Molte di loro, così come è stato per molti dei partigiani scrittori, si trovarono a vivere la guerra e la Resistenza nel momento in cui si stavano affacciando alla vita e quindi dovevano combattere con quel pregiudizio che le voleva ancora relegate a ruoli marginali, nonostante tutto.

Ti chiedo infine di dirmi tre buone ragioni per riscoprire Elsa de’ Giorgi.

Va riscoperta perché è un’autrice massima della nostra letteratura. Ha uno stile tutto suo, originalissimo, frutto anche del rapporto con l’arte cinematografica e teatrale. Usa la sua voce con una coscienza  drammatica, performativa. Ci racconta un’epoca fotografandola con estrema precisione, ci riporta alle relazione tra scrittori, artisti, intellettuali del Novecento. E può ancora insegnarci a cercare la bellezza (in senso etico) che salverà il mondo. Una ricerca che attraversa per intero Storia di una donna bella e che l’autrice aveva, a sua volta, interiorizzato da Dostoevskij, considerato uno dei suoi maestri insieme a Shakespeare e a Croce.

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