Uomini contro la violenza sulle donne (parte I)

di Giorgio Galli

“La violenza inflitta alle donne è una questione maschile molto prima che femminile. Può essere esercitata mentalmente, psicologicamente, verbalmente, economicamente, sessualmente, corporalmente….: in tutti i casi, comunque, rivela arretratezza culturale e fragilità psichica nei maschi che decidono di infliggerla, più ancora che nelle donne che accettino di subirla.” Queste chiarissime parole, che molte –ma anche molti- aspettavano da tempo, sono tra le prime che troviamo sul sito dell’associazione NOI UOMINI A PALERMO CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE, balzata agli onori delle cronache per essere scesa in piazza dopo un drammatico caso di stupro avvenuto nel capoluogo siciliano. Per chi non conoscesse i fatti, riportiamo la sintesi apparsa su “Fanpage” : “Nella notte tra il 6 e il 7 luglio 2023, sette ragazzi hanno picchiato e violentato una 19enne in un cantiere abbandonato del Foro Italico di Palermo. La ragazza, incontrata in un locale della Vucciria, conosceva solo uno dei suoi aggressori, il 22enne che ha voluto riprendere la violenza con il cellulare. I sette sono stati arrestati e interrogati dalle autorità. Tra loro, anche un ragazzo che all’epoca dei fatti era ancora minorenne.” Nel dialogo che segue abbiamo affrontato il tema della violenza sulle donne –e della necessità di una seria reazione da parte degli uomini- sia come fenomeno storico-culturale, sia nel quadro sociale e culturale dell’Italia contemporanea. Qui la prima parte dell’intervista, cui l’associazione ha voluto rispondere collettivamente, senza la mediazione di un portavoce. Informazioni sull’associazione sono reperibili alla pagina Web Noi Uomini a Palermo, dalla quale è tratta l’immagine di copertina di questo articolo.

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A noi uomini non piace vivere una sorta di guerra dei sessi, dove magari ci sentiamo additati come “nemici” indipendentemente dai valori che portiamo avanti come singoli. Eppure le cifre delle violenze e dei femminicidi sono davvero cifre da Paese in guerra. Esiste una responsabilità collettiva di tutti noi -quella di cui parlava Michela Murgia, paragonando il nascere uomo in un sistema patriarcale al nascere mafioso in una famiglia di mafiosi- oppure la responsabilità è individuale, come è sempre stato nella cultura del diritto?

Il gioco carnefici/vittime, cattivi/buoni, è sempre depistante. Lo è anche nel nostro caso. Il nostro gruppo sa bene che, dal punto di vista giudiziario, le colpe sono individuali: qui ognuno risponde per sé e ci possono essere maschi innocenti e femmine diaboliche. Ma maschi e femmine siamo, tutti e tutte, all’interno di un sistema culturale, istituzionale, politico ed economico oggettivamente maschilista: è questo sistema il nostro comune nemico. Ed è contro questo sistema che dobbiamo allearci per decostruirlo, ben sapendo che ci sono soggetti (maschili e femminili) che lo alimentano e soggetti (maschili e femminili) che lo contrastano. I contrasti fra singoli maschi e singole donne li lasciamo all’aneddotica più o meno comica.

Le donne hanno elaborato un pensiero molto complesso sul loro esser donne. Noi uomini, invece, tendiamo a non identificarci come uomini, e tantomeno come “maschi”, ma solo come persone. Voi avete scelto di manifestare in nome di un senso di giustizia “universale” o in qualità di uomini?

Nella biografia di ognuno di noi c’è, più o meno intenso, un desiderio di giustizia. Come tutti i desideri profondi esso apre a orizzonti indeterminati, sconfinati. Però questa apertura resta vacua, inefficace, velleitaria se non si concretizza in progetti precisi, circoscritti, specifici. Da qui la decisione di occuparsi di ambiti particolari in cui tradurre, incarnare, l’aspirazione universale alla giustizia: per uno sarà la giustizia sociale (e lavorerà in un sindacato), per un altro la lotta al sistema mafioso (e lavorerà in un’organizzazione antimafia) e così via. Per noi lo specifico si chiama contrasto maschile alla violenza contro le donne: ed è dunque, per così dire, doppiamente specifico. Infatti è un impegno contro la violenza (in questo rientra nella numerosa famiglia delle associazioni che coltivano la nonviolenza, le strategie di pace, le tecniche di riconciliazione etc.); ma, all’interno di questo settore, è un impegno che ci assumiamo “in quanto” uomini (da qui l’autocritica e la decisione, pur nella massima disponibilità a collaborare con ogni associazione femminile e femminista, di limitare a maschi la partecipazione ordinaria agli incontri quindicinali). Qualcuno direbbe che il nostro impegno vuole caratterizzarsi come “universale concreto”: chi vuole la giustizia in generale, non la procura a favore di nessuno in particolare.

Come è stata accolta la vostra iniziativa dai gruppi rappresentativi delle donne? Ricordo alcuni casi di uomini che, anni fa, volevano manifestare contro la violenza sulle donne e sono stati allontanati dalle manifestazioni perché molte lo considerano un gesto insufficiente, se non un modo di lavarsi la coscienza.

Al momento, non ci sono state, da parte dei gruppi femministi palermitani, significative reazioni alla nostra partecipazione alle manifestazioni di questi giorni. Se però ampliamo il contesto della domanda facendo riferimento all’atteggiamento generale nei confronti di tutte le nostre iniziative possiamo dire che c’è stato in questi anni un clima di dialogo e a volte anche di collaborazione con associazioni femministe come l’UDI (Unione donne Italiane) o il centro antiviolenza “Le Onde”. Viceversa non siamo ancora riusciti a stabilire un dialogo con le attiviste di “Non Una di Meno” e a tal proposito proprio in questi giorni stiamo cercando dei contatti che ci possano condure ad un dialogo fruttuoso. Siamo fortemente convinti che la lotta contro la violenza sulle donne debba essere condotta attraverso una reale alleanza fra donne e uomini. È importante che movimenti femministi e associazioni di uomini come la nostra, pur seguendo percorsi indipendenti, trovino punti di contatto e convergano verso un comune obiettivo.

“Se una persona vuole entrare in casa sua, per porre questa stessa persona in una condizione di illiceità penale basta dire ‘no, tu non entri’. Per la violazione del domicilio basta la mera mancanza del consenso, mentre invece per compiere una attività sessuale con un’altra persona bisogna che intervengano una modalità violenta o minacciosa e, comunque, uno stato di costrizione.” Sono parole di Tullio Padovani in un’intervista a “Il dubbio”. Che aggiunge: “Sulla tutela delle donne l’Italia è più vicina a un regno saudita che all’Occidente”.

Non c’è dubbio che la legislazione italiana sia storicamente indietro sul tema della difesa dei diritti delle donne. Basti pensare che solo nel 1996 lo stupro è diventato delitto contro la persona mentre prima era semplicemente un reato contro la pubblica moralità. Poi c’è un problema gravissimo di interpretazione della legge da parte dei magistrati. Ricordiamo in particolare la sentenza del tribunale di Firenze del 28 marzo 2023 in cui due ragazzi accusati di stupro su una ragazza sono stati assolti per “un errore di percezione del consenso” anche se la ragazza gridava “smettetela, smettetela”. In aggiunta, nelle motivazioni della sentenza, il fatto che la ragazza fosse ubriaca venne considerata una condizione a favore dell’assoluzione piuttosto che un aggravante. Appare quindi evidente che è necessario mettere in campo un profondo cambiamento culturale anche negli operatori della giustizia e in particolare nella magistratura proprio al fine di eliminare tanti pregiudizi sessisti che possono condizionare valutazioni e giudizi.

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