Costruire la scuola del futuro: un dialogo con Vincenzo Caico (parte I)

di Ivana Margarese

 


Ciò che colpisce leggendo la tua biografia è la varietà della tua formazione. Sei laureato in Ingegneria informatica e hai una specializzazione in sceneggiatura e critica cinematografica al DAMS dell’Università di Udine. Poi il grande salto e l’inizio della tua carriera da dirigente scolastico.

Sì, ho sempre avuto una certa passione per il cinema, la storia, la letteratura e l’arte in genere e, nonostante abbia intrapreso un percorso di formazione nell’ambito dell’ingegneria, ho cercato di non trascurare questi miei interessi. Dopo aver lavorato per diversi anni nel privato ho ritrovato nell’insegnamento la mia vocazione a occuparmi dei giovani come avevo già fatto in passato in attività di volontariato. Ho quindi studiato le teorie dell’apprendimento, le metodologie didattiche e il pensiero dei grandi pedagogisti e, dopo aver vinto il concorso per diventare docente di ruolo nel 2016, ho partecipato al concorso per dirigente scolastico entrando in ruolo nel 2019. Sono diventato dirigente perché pensavo che in questo modo avrei potuto essere ancora più incisivo e dare un contributo maggiore ai processi di cambiamento di cui oggi necessita la scuola. La mia soddisfazione più grande è rendermi utile per far crescere l’intera comunità scolastica come organizzazione complessa che richiede diversi tipi di interventi e di attenzione.

Hai ricoperto vari incarichi come docente e anche adesso da dirigente tieni conferenze in varie scuole italiane. Da quest’ultima esperienza c’è a tuo parere una richiesta comune da parte delle diverse realtà scolastiche italiane?

Gli anni della pandemia sono stati molto difficili per chi ha frequentato la scuola in quel periodo, ma anche per chi operava nel mondo della scuola. Sono stati anche mesi ricchi di ispirazione, caratterizzati da una grande vicinanza e sostegno reciproco tra colleghi dirigenti scolastici di tutta Italia. Proprio in quei mesi abbiamo organizzato numerosi momenti di formazione online che ci hanno portato a riflettere sulle prassi e sulle pratiche che caratterizzano la scuola di questi anni, ed è emersa in maniera comune una grande esigenza di cambiamento che ha radici antiche e che non ha ancora trovato soluzioni, e che investe diversi aspetti della vita scolastica, dalla didattica alla valutazione degli apprendimenti, dalla strutturazione dei percorsi di studi alla formazione dei docenti.

Anche la scuola oggi è chiamata ad affrontare la sfida della complessità del mondo contemporaneo, qual è la tua idea in merito?

Penso che oggi il mondo della scuola si trovi su un crinale. Da una parte ci sono le spinte conservatrici che guardano a un modello di scuola tradizionale fortemente caratterizzato da un insegnamento in cui le diverse discipline procedono parallele incontrandosi molto di rado e da una valutazione degli apprendimenti sostanzialmente a carattere sommativo, che distingue la semina dalla raccolta, ovvero il momento dell’insegnamento da quello della valutazione. Dall’altra parte c’è invece una scuola che guarda all’unitarietà del sapere e a una valutazione che sia essa stessa una forma di insegnamento, una valutazione fondata su un riscontro costante e reciproco tra docente e discente che risponda maggiormente alle esigenze formative ed educative delle studentesse e degli studenti. A me interessano le spinte che vanno verso questa seconda direzione. Sono per l’ascolto e la responsabilizzazione delle studentesse e degli studenti al fine di renderli compartecipi dei loro processi di apprendimento. Alla base di tutto c’è la costruzione del senso dello stare a scuola che con i grandi cambiamenti che hanno investito la nostra società è diventata più complessa, ma anche più esaltante.

In che modo la complessità sta entrando o è già entrata nel mondo della scuola?

Oggi le ragazze e i ragazzi hanno la percezione che grazie alle nuove tecnologie possono imparare tutto ciò che desiderano e sviluppare autonomamente le competenze di cui hanno bisogno. Hanno accesso a quantità di informazioni fino a poche decine di anni fa impensabili. In questo scenario molto complesso la scuola dovrebbe sentire l’esigenza di rinnovarsi e ripensare il proprio ruolo. Bisogna far leva sulla motivazione intrinseca allo studio, ovvero su esperienze di apprendimento che siano di per sé gratificanti per chi impara, al di là degli obiettivi che ciascuno si pone. L’idea che bisogna studiare per il solo fatto che si frequenti la scuola non regge più. Non regge più far leva su una motivazione estrinseca fondata sull’attesa di una ricompensa o di una punizione, sulla possibile approvazione o disapprovazione degli insegnanti o dei genitori. Il rischio è che i più giovani inizino a ritenere più interessante e piacevole da imparare ciò che sta fuori dalla scuola. Ad esempio, l’abolizione del voto 1-10 come strumento per esprimere le valutazioni in itinere a favore di riscontri descrittivi e narrativi consentirebbe di disinnescare logiche premiali o punitive che riguardano gli apprendimenti. In sostanza, è necessario pensare a un modello di scuola maggiormente fondato sulla relazione educativa tra chi insegna e chi impara, un modello che guarda non soltanto ai risultati ma anche al processo stesso di apprendimento, un modello più flessibile basato sull’interdisciplinarietà e la personalizzazione dei percorsi formativi.

La didattica contemporanea si fonda sullo sviluppo di curricoli e competenze trasversali, e ha superato da tempo il concetto di “programma” e di “libro di testo” come unico veicolo di contenuti. Eppure non tutti i docenti sembrano avere acquisito questo dato e fanno spesso ricorso al concetto di programma, al dover finire il programma e finiscono con l’ignorare parti di mondo per riferirsi in ordine cronologico ai libri di testo. Qual è la tua idea in merito?

Le ragazze e i ragazzi chiedono più attenzione per il loro benessere e la possibilità di scegliere una quota di insegnamenti del curricolo. Nella mia scuola, ad esempio, quest’anno sono state molto apprezzate delle attività integrative dedicate all’educazione alimentare e al rispetto delle differenze di genere. È possibile coinvolgere le ragazze e i ragazzi nella produzione stessa del materiale didattico su cui studiare, nella sua ricerca, rielaborazione, personalizzazione e condivisione. In quest’ottica i libri di testo sono limitanti se utilizzati come piattaforma di apprendimento uguale per tutti a cui attenersi in maniera lineare per rispettare standard di apprendimento comuni. Sono più utili se invece rappresentano una base di conoscenza da integrare ed espandere per personalizzare i percorsi di apprendimento e condividere approfondimenti. Per quanto riguarda il programma, è vero, i programmi ministeriali non esistono più, ma esiste un’attività di programmazione che secondo me può essere uno dei momenti professionali più interessanti ed arricchenti per gli insegnanti, i quali dovrebbero essere chiamati a cooperare per progettare esperienze di apprendimento il più possibile in chiave interdisciplinare. L’idea che molti nuclei tematici possano essere trattati unitariamente da più punti di vista disciplinari contribuisce alla costruzione del senso di ciò che si fa a scuola. I contenuti sviluppati a scuola non sono importanti in sé, però sono fondamentali. Sono i mattoni con cui le ragazze e i ragazzi costruiscono e sviluppano di volta in volta, in forme sempre nuove e personali, la loro conoscenza e le loro competenze, per questo ogni esperienza di apprendimento dovrebbe essere esemplare e trasferibile in contesti nuovi e diversi.

No Comments

Post A Comment