Laudomia Bonanni. Piccola indagine sull’amicizia. In dialogo con Gianfranco Giustizieri

 

a cura di Ivana Margarese

Comincio dal rapporto di Laudomia Bonanni con Sibilla Aleramo, in cui Bonanni svela entusiasmi e tenerezze in qualche modo inedite rispetto al suo stile di scrittura, solitamente asciutto e tagliente. Sappiamo che Aleramo inizialmente incuriosita dalla scrittrice abruzzese la invita nella sua mansarda romana, dove trascorrono delle ore insieme, che resteranno ricordo caro a Bonanni. Tuttavia ben presto Sibilla Aleramo si rende assente, si sottrae agli incontri. Il rapporto si interrompe. Mi sono chiesta se insieme al fattore politico (Bonanni non era ben vista dal partito comunista, di cui invece Aleramo era attiva rappresentante) abbia contribuito alla rottura la diversità tra le due donne, l’approccio idealizzante dell’una e gli interessi più concreti dell’altra. Vorrei un suo parere su questo.

Purtroppo la distruzione di gran parte del carteggio epistolare effettuato dalla Bonanni dopo le amarezze derivanti dai rapporti editoriali e amicali degli ultimi suoi anni di scrittura difficilmente permettono di ristabilire “verità” ormai perdute. Bisogna allora affidarsi a ciò che si è ritrovato in altri Archivi, ciò che lei stessa ha lasciato o si è salvato e al suo percorso conosciuto di donna e di scrittrice. Pochissime le amicizie sulle quali si può delineare la natura di una reciprocità e di cui c’è giusta documentazione (Bellonci, de Céspedes, Prisco, Giannessi, Giannangeli, alcuni amici aquilani…), per altre, limiti temporali o assenza di risposte lasciano soltanto possibili interpretazioni. Con Sibilla Aleramo di questo si tratta. Riflettiamo sui tempi antecedenti: entrambe escono da una diversità di “innamoramento” fascista per intraprendere strade diverse (l’Aleramo convinta comunista, la Bonanni tiepida socialista) per incontrarsi temporaneamente sul cammino della scrittura (complice Il fosso). Sibilla piena di vita sociale, attiva su diversi fronti, curiosa di conoscere questa nuova amica, Laudomia schiva nei rapporti, solitaria “penna dell’Aquila”, lanciata verso un mondo letterario che non sarà mai completamente suo, impegnata soltanto nella professione, nel Tribunale dei minorenni e nel “Gruppo d’artisti aquilani” di cui fa cenno nelle lettere rimaste (merito di Fausta Samaritani averle rintracciate) e in alcuni scritti. Qualche incontro di cui abbiamo conoscenza diretta per le lettere ritrovate a testimonianza dell’ammirazione della Bonanni verso l’amica più anziana (ammirazione nata in età giovanile dalla lettura di Una donna), poca da parte dell’Aleramo (indirettamente da Laudomia). Poi improvvisamente l’allontanamento e il silenzio voluto solo da una parte. Perché? Rimangono le supposizioni di tipo ideologico e la mancata venuta a L’Aquila dell’Aleramo (il PCI locale non vedeva di buon occhio un’ex fascista con informativa inviata alla compagna Sibilla per cui la Bonanni viene “mollata”. Ma la stessa Aleramo non aveva avuto una forte compromissione con il regime?). Conclusioni: il fattore politico è stato, forse, in parte determinante, ma ancora di più la pasionaria Sibilla (solo lei), aveva deciso di rivolgere altrove le sue attenzioni come sempre nella sua vita. Tutto qui! Di questo sono sicuro, poi la diversità di età, gli interessi divergenti, il percorso di vita di ognuna? È probabile, ma non lo sappiamo.

 

Quanto contribuì, secondo la sua opinione, l’amore per Gabriele D’Annunzio nell’ idealizzare la figura di Sibilla Aleramo?

L’amore per Gabriele d’Annunzio fu soprattutto una passione giovanile che si rintraccia nelle dichiarazioni e nei primi scritti della Bonanni (un realismo di stampo regionalistico come in Storie tragiche della montagna, Palma e sorelle, etc.), ma sicuramente nulla più lontano da lei nel configurare la sua vita “come un’opera d’arte” come la stessa Aleramo idealizzò la sua. Credo che il Vate e Sibilla non si sovrappongono nell’immaginario bonanniano: Laudomia amò Gabriele per la capacità di scrittura e per il realismo, a volte favolistico, di cui sopra; Laudomia ammirò “la mitica Sibilla ch’era da tanto nella mia fantasia” per Una donna e per tutto ciò che ne derivò in termini di “femminismo bonanniano”. Donne, sempre donne, protagoniste dirette di quasi tutta la sua narrativa.

Differente, seppure anch’esso intriso di ammirazione, il rapporto con Gianna Manzini. C’erano affinità poetiche tra loro? Laudomia Bonanni scrive a Manzini del suo sentimento di isolamento, pensava forse di essere compresa?

Rispondo alla domanda riportando uno stralcio di ciò che ebbi a scrivere sul rapporto tra le due scrittrici:

“Il rapporto con la Manzini è breve nel tempo, iniziato epistolarmente nel 1946, prima dell’incontro nel salotto Bellonci. La Bonanni ebbe molta stima per lei, le lettere pubblicate dalla Samaritani nell’Epistolario e le richieste di giudizio lo dimostrano, tanto da farle scrivere un ritratto entusiasta della scrittrice toscana. In questo scritto, la Bonanni ama riflettere sulle sembianze ed inizia con: «[…] due occhi: due occhi d’un dolce, eppur focoso, lucore scuro, indicibilmente spirituale nell’aureola leggerissima del biondo dei capelli»(Ritratto di una scrittrice. Volo fuori di sé stessa, La Fiera letteraria, 30 settembre 1951). L’articolo continua con un’analisi attenta della scrittura della Manzini e conclude con una nota aggiunta a mano, a fine pagina, non riportata dalla rivista e riproposta con delle varianti nell’elzeviro Colpire al cuore: “[…]. Insisto, o meglio acconsento ancora ad attribuire certe idee a suggestioni. Ma qui, forse, è dove l’ho vista tutta per la prima volta. Perché ha poi – a guardarla intera e una bocca che fa pensare a quella pasta calda. Ma questo, beninteso, solo se si riesce a distogliersi un momento dagli occhi.” (“Il Giornale d’Italia”, 14-15 luglio 1961). Per dare più forza alle parole, il viso della Manzini sovrasta a lato della pagina del quotidiano.”

Aggiungo a quanto sopra e rispondo anche alla domanda seguente. Sicuramente erano molte le affinità: la cura del filo narrativo, le tematiche trattate, il rispetto reciproco con un’amicizia che si salda nel tempo (il passaggio del lei al tu), la possibilità da parte della Bonanni, di comunicare le sue ansie nella consapevolezza di essere ascoltata, etc.

 


Perché i rapporti tra le due scrittrici, che seppure a distanza avevano avuto una reciprocità, si interrompono?

Per la fine del rapporto non so dire e nulla è stato ritrovato.

Vorrei chiederle infine cosa può dire in merito alla scelta di Bonanni di distruggere buona parte del suo epistolario, prezioso peraltro per portare alla luce aspetti meno noti del suo modo di essere, compresi timori e gioie che ben ritraggono la sua figura nel panorama italiano di quel tempo.

L’amarezza derivata dalla scarsa attenzione editoriale per il suo ultimo romanzo Le droghe, la mancata pubblicazione del manoscritto La rappresaglia (pubblicato postumo), la morte della Bellonci e l’allontanamento volontario dalla vita letteraria romana, la portarono in una scelta di isolamento. Avvertiva intorno a sé una trascuratezza generalizzata. La nevrosi, continua afflizione della sua vita, la riprese. Contatti pochi, la Bompiani verso nuovi orizzonti, la sua stessa città distratta e poca memoria: si sentì tradita. Allora la decisione di lasciare poca memoria di sé con la distruzione volontaria di molte delle sue carte, comprese le lettere ricevute. Un amico fidato riuscì a salvare qualcosa, altri documenti e raccolta di scritti vari rimasero al nipote, poi più nulla. Solo un lavoro certosino di ricerca, di raccolta, oltre a volontarie donazioni, hanno permesso di ricostruire parte di un Archivio prezioso per la memoria.

 

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