Teologia degli animali

 

di Ivana Margarese

 

Nel canto diciassettesimo dell’Odissea Omero narra dell’ultimo incontro tra Ulisse e il cane Argo, che dopo essere stato compagno dell’eroe, nutrito dalla sua stessa mano, con la partenza di Odisseo rimase per anni trascurato da tutti a giacere, pieno di zecche, sul letame per concimare i campi:

Così essi tali parole fra loro dicevano:

e un cane, sdraiato là, rizzò muso e orecchie,

Argo, il cane del costante Odisseo, che un giorno

lo nutrì di sua mano […]

e in passato lo conducevano i giovani

a caccia di capre selvatiche, di cervi, di lepri;

ma ora giaceva là, trascurato, partito il padrone,

sul molto letame di muli e buoi, che davanti alle porte

ammucchiavano, perché poi lo portassero

i servi a concimare il grande terreno d’Odisseo;

là giaceva il cane Argo, pieno di zecche.

E allora, come sentì vicino Odisseo,

mosse la coda, abbassò le due orecchie,

ma non poté correre incontro al padrone.

E il padrone, voltandosi, si terse una lacrima…

[…]

E Argo la Moira di nera morte afferrò

appena rivisto Odisseo, dopo vent’anni.

Questo brano può offrire un’introduzione al pensiero del teologo Paolo De Benedetti che muovendo dalla questione del rapporto tra uomini e animali ha elaborato una teologia che non ha più al proprio centro soltanto la relazione tra uomo e Dio. De Benedetti ripensa radicalmente infatti il concetto di uomo come dominus, signore del creato, prendendone le distanze e estendendo l’idea di prossimo e di reciprocità etica a tutto il creato.
Dice un maestro ebreo: strappa un albero prima del suo tempo e questo albero emetterà un grido che va da un capo all’altro del mondo ma che l’uomo non è in grado di udire.

Il teologo sottolinea anche come nel parlare di animali si commetta spesso l’errore di privilegiare la specie sull’individuo e trascurare l’individualità dei singoli animali, con le loro peculiarità.
Immaginare solidarietà tra l’uomo e le altre creature, le piccole persone di cui scriveva con grande sensibilità Anna Maria Ortese, può ampliare la nostra visione dell’abitare la terra, rendendola meno gerarchica e superficiale.
La parola peraltro non può essere considerata l’unico elemento di scambio all’interno delle relazioni e, certamente, tutti gli esseri viventi partecipano della gioia e del dolore e sono capaci di esprimerli.
Non si tratta tuttavia di umanizzare le creature viventi, facendo del nostro modo umano l’unico criterio di misura, ma di apprendere attraverso il contatto con loro il mistero dell’altro, la sua irriducibilità. Nell’intervista a cura di Gabriella Caramore per “Uomini e profeti”, De Benedetti dice: “Ogni volta che entriamo in una relazione di qualunque genere con altri esseri viventi, noi dovremmo chiedere permesso. Anche quando facciamo un gesto semplice e quotidiano come raccogliere l’insalata, o quando mangiamo un pezzo di carne, e dunque entriamo in rapporto con altri viventi, dovremmo sempre, in un certo senso, chiedere permesso: cioè sapere che entriamo in un’altra intimità che non è nostra prerogativa gestire arbitrariamente”.
Gli uomini, piuttosto che i possessori del creato,  sono i custodi, coloro che prendendosi cura delle piccole cose, dei particolari, di ciò che sembra insignificante, possono approssimarsi a una scintilla di pace e salvezza.
Recita così una poesia di Paul Klee del 1905:

Ma fai attenzione, non

allontanarti troppo da questo mondo!

Pensa di essere morto

e dopo molti anni di lontananza

ti viene concesso un solo

sguardo verso la terra.

Vedrai un lampione

e un vecchio cane con la zampa alzata.

Singhiozzerai dalla commozione.

*

Le citazioni di Omero e Paul Klee sono tratte da:

Omero, Odissea, traduzione di Rosa Calzecchi Onesti, Einaudi 1963

Paul Klee, Poesie, traduzione di Ursula Bavaj e Giorgio Manacorda, Abscondita, 2000

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