Il Maftoul di Abdullah (parte prima)

di Omar Suboh

Si adagiò comodamente lungo il divano in similpelle, distendendo quello che rimaneva del suo corpo, e accese la televisione. La litania impazzita dei proclami strillati e amplificati dalle casse di risonanza del potere, ripeteva a reti unificate sempre le stesse cose: «Orde di stranieri invadono il nostro territorio!», «Chiudono i bar e aprono i porti!», «Sono veicoli di malattie!», «Ci rubano il lavoro!», «Violentano le nostre donne!»: così, all’infinito.

Ma che cosa devo fare, io, per campare? Mi chiudono l’attività, mi danno due briciole di supporto all’impresa, ci mancava pure questo virus, e in tutto questo gli sbarchi continuano… con tutti i vari aiuti che lo stato rifila a questi qua? E no, adesso hanno davvero rotto i coglioni!, disse Sandro, imprecando contro il tiggì, dopo essersi calato le braghe e apertosi una lattina di Peroni mediamente fresca: Ha fatto bene quel matto del presidente degli Stati Uniti, a fare il muro contro i messicani! Gli stranieri sono troppi! Non c’è posto per tutti!, disse, mentre il tempo che passava, così sdraiato davanti alla tv, durava già da più di un anno. Bevve la sua birra da un bicchiere di plastica, dove si accorse di una scritta con pennarello nero, e dopo l’ultimo sorso reclinò la testa all’indietro fissando insistentemente il soffitto.

Quando andavo a scuola ero diverso, me lo ricordo. Mi è tornato in mente di quando andavo con un ragazzo, di cui ora non ricordo bene il nome, al bar del quartiere, vicino al mare, e fregavamo tutti i gettoni possibili per le sale giochi, dove si trascorreva la maggior parte del tempo… e gli dicevo: Ah marocchino, passami quel gettone!, e lui mi rispondeva:

Oh, marocchino, a me, non me lo dici. Sono arabo palestinese, e se continui ti mollo due schiaffi forti in faccia.

Ahah. Quanto siete permalosi voi moretti, noi in Italia ce l’abbiamo più duro di voi. Sempre a farvi questi problemi di razza, del colore della pelle… ma non vedi che i vostri confini sono solo mentali?

Sarà, ma qua sembrano tutti in diritto di trattarti con superiorità… Ricordo ancora quando mia nonna preparava il tè arabo alla menta, davanti al fuoco, e tutti i miei fratelli accorrevano per quel momento, perché ogni occasione era quella giusta per raccontare una fiaba leggendaria del nostro paese, le gesta degli antichi guerrieri…

Tu sei pazzo. Passami quel gettone va’, che devo insegnarti come si gioca a Street Fighter!

E invece arrivo qui e tutti stanno per i cazzi loro, non ti guardano in faccia nemmeno quando faccio la spesa! Il cassiere sembra che stia pensando: Ma ti vuoi levare dalle palle?, al mio paese ogni giorno era una festa, mica come qua che a Natale sembra il giorno più triste dell’anno… tutto chiuso per il veglione di Capodanno, sembra che sia morto un capo di stato. La prima cosa che trovavi nelle piazze affollate di Ramallah erano i falafel caldi, immersi nella salsa di ceci, l’hummus… Ogni giorno era una festa. Qua non sanno manco cosa sia l’hummus di ceci. Una volta ho provato a chiederlo al paninaro e per poco non mi mollava una pizza in faccia!

Sandro sgranò gli occhi, interrompendo il flusso dei ricordi per controllare se fosse rimasta dell’altra birra affianco alla poltrona, nascosta sotto le gambe del tavolo, e una volta trovata, dopo il tonfo del tappo, si versò un altro bicchiere, come una luce che filtra da un proiettore nell’oscurità: Passavamo interi pomeriggi rincorrendoci da una parte all’altra della città… ero un grande appassionato di videogiochi all’epoca. Mi ricordo che mi ero comprato la Super Nintendo appena uscita: la prima cartuccia che mi procurai era quella di Super Mario. Subito dopo ero passato al Sega Mega Drive, dove spaziavo dai picchiaduro come Virtual Fighter, per poi passare al rocambolesco Sonic l’Hedgehoc, e successivamente a Michael Jackson’s Moonwalker e allo splendido game di Batman Returnes. Coloravo così la mia mente dei viaggi percorsi dai personaggi dei videogiochi… Il grande salto era avvenuto con la Playstation 1: quella sì che spaccava, avevo una passione viscerale per la trilogia di Tekken, e ogni occasione era quella giusta per cimentarsi con gli amici a suon di gare all’ultimo colpo. La nostra passione più grande era passare, nel dopo scuola, nelle sale giochi con i cabinati giganti, dove ancora era possibile mostrare agli altri la propria presenza fisica, e magari da lì rimorchiare anche qualche ragazza… Abdù in particolare era un mago in questo! Diceva di aver imparato leggendo Il fiore delle mille e una notte, simulando le gesta erotiche dei suoi protagonisti medio orientali. Era in occasione di una sua perfomance con il gioco di Ken Shiro – l’arcade della Konami, nel suo cabinato assemblato di cuscinetti luminosi che, ad ogni colpo, rimbalzavano creando quella perfetta illusione di combattimento reale e lotta simulata –, che aveva conosciuto quella bella ragazza, e aveva potuto dare il peggio di sé, e attaccava:

A questo Shin mo’ gli rompo il culo, con ‘sta chioma bionda chi si crede di essere?

Che figa che è questa Abdù… se fossi in te mollerei il cappelluto e il guerriero e andrei subito, ma dico adesso, a offrirle una aranciata.

Ma quale aranciata, non vedi che devo finire la partita, ci son… quas… aaaah! Cazzo, siii!!!

Adesso la rimorchio io se non ti decidi. Ma non vedi che è tutto il tempo che ti sta fissando?

Hai ragione. Adesso ci vado…, disse Abdullah, dirigendosi verso la ragazza. Ehi, ciao. Sono Abdullah, ma tu puoi chiamarmi solo Abdù, come fa il mio amico qui. Vieni Sandro!

Ehi, ciao! Piacere, Alessia.

Ti va se ci prendiamo qualcosa da bere?

Ehm, sì certo, perché no!

Ma come, te mica puoi bere alcolici, no?

Cosa ne sai te di islam, a Sandro! Il vero credente beve, perché è contro il sacrificio, non a favore… mi sa che quelli più repressi siete voi cristiani, mica noi. Con tutto quel senso di colpa così oppressivo, ma dico io, e bevitela una birra ogni tanto, no?

Senti Ale, ti posso chiamare così, no? Ti va se ci facciamo una passeggiata, da soli, lungo la spiaggia?

Sì, va bene.

Ma tu sei di qui?

No, macché sono palestinese! Hai presente?

Israele, vorrai dire?

No, no, sono proprio palestinese: di Ramallah, ora Cisgiordania.

Ma che ne so io, e da quando sono piccola a scuola che mi insegnano che Israele era la patria sacra e santa degli ebrei perseguitati.

Eh sì, diciamo che non ce la siamo passata bene entrambi.

Ah ecco.

Sì ma non è la stessa cosa, vedi… mio padre chiamava Gente della terra santa le persone nate in quella regione sacra del medio oriente.

Ma non mi dire… non ci credo! Tipo che Natale per i cristiani veniva festeggiato anche dai musulmani?

Certo! Così come lo Yom Kippur veniva festeggiato dai cristiani. Il fatto grandioso era che non si pensava nemmeno al razzismo, non passava per la testa a nessuno di fare la guerra all’altro.

Ma tu che ne sai scusa, mica c’eri, no?

Mia nonna non era colta… ma è riuscita a trasmettermi lo stesso quella che a scuola chiamano memoria orale. Quando preparava lo Za’atar ci sedevamo tutti intorno e si ascoltavano le storie dei personaggi del quartiere, era l’occasione per stare insieme ma soprattutto per conoscere la storia del proprio paese, prima dell’occupazione, prima del muro, ecc., disse Abdullah, mentre stringeva la sua kefiah intorno al collo, come i personaggi nei dipinti di Al Muzein, e teneva vicino a sé il suo sacchetto di arance fresche, mentre lei lo ascoltava rapita dai suoi racconti.

Ci facciamo un panino da queste parti?, disse Alessia

Certo, anche se non vado matto per la roba che fanno qui.

Eh, ma come sei esagerato, scusa: la pizza italiana ti piace, no? La mozzarella di bufala, il ragù alla bolognese, la fiorentina…

Non fraintendermi, la cucina italiana mi piace molto… ma hai presente quel sentimento che sorge come una nostalgia istantanea? Quell’attimo fuggente dove ti sembra che tutto ciò che ti circonda sia lontanissimo da te?, è difficile da spiegare, ma a volte è così che mi sento. Lontano dalla mia terra, lontano dai vicoli in cui sono cresciuto. Dove vado qua se voglio trattenermi a fumare narghilè? Sai che cos’è?

Ehm… a dire la verità non l’ho mai sentito.

Appena mia madre me lo spedisce dalla Cisgiordania te lo faccio provare se ti va.

Sì, volentieri!, disse Alessia, mentre si avvicinavano sempre di più alla spiaggia. Sandro, da lontano, rimase a guardarli.

Omar Suboh

Sono nato a Cagliari il 1990, da padre palestinese e madre sarda. Miei racconti, testi critici, recensioni e ibridi sparsi, sono usciti per Poetarum Silva, Droga Magazine, L’irrequieto, Bomarscé, E(i)sordi –Rivista letteraria, Morel, voci dall’isola, Quaerere, pangea.news, Sul Romanzo, Cedro Mag, il manifesto, il manifesto sardo, Diari di Cineclub e altre; curo un blog dal nome Homo non intelligendo fit omnia al seguente indirizzo: https://diemdedalus.wordpress.com/; ho pubblicato una fanzine dal titolo Leggenda Urbana. Fotogrammi di Minerva (Kirby edizioni, 2019), con l’artista Amirah Suboh; ho raccolto i miei testi a questo link: https://linktr.ee/omarsuboh

No Comments

Post A Comment