bell hooks: Insegnare il pensiero critico. Saggezza pratica

 

di Ivana Margarese

 

 

 

Insegnare il pensiero critico. Saggezza pratica conclude la trilogia sull’educazione che bell hooks ha avviato con Insegnare a trasgredire e Insegnare comunità.
Il saggio attua però un cambiamento rispetto ai libri precedenti poiché cerca di passare in rassegna le preoccupazioni e i problemi raccolti, ascoltando insegnanti e studenti, dopo la pubblicazione dei primi due libri cosi da comporre trentadue diversi insegnamenti che guidano il lettore attraverso un percorso di conoscenza dell’educazione e delle sue difficoltà, risorse o tabù.
Tutti gli argomenti contenuti in questo libro scaturiscono dalle conversazioni con docenti e allievi e, sebbene non siano collegati da un tema centrale, emergono dal desiderio comune di comprendere come rendere l’aula “un luogo di impegno feroce e intenso apprendimento”.  “Pensiero critico” è il primo tra gli argomenti trattati.
Inizia con la descrizione di una fotografia e di una memoria personale: 

Sulla copertina della mia biografia Bone Black c’è un’istantanea che mi è stata scattata quando avevo tre o quattro anni. Ho in mano un giocattolo fatto durante le vacanze alla scuola biblica, un libro a forma di colomba. Scherzo spesso sul fatto che questa immagine si potrebbe definire il “ritratto dell’intellettuale da giovane”, la mia versione personale de Il pensatore. La bambina nell’istantanea fissa intensamente l’oggetto tra le sue mani; la sua fronte è uno studio di intensa concentrazione. Osservando questa foto, la vedo pensare. Riesco a percepire il lavorio della sua mente.

Pensare è un’azione.
Entriamo così già dalla prima pagina nel cuore della teoria pedagogica di bell hooks: il pensiero è movimento. Questa affermazione mi fa venire in mente il ritratto di un’altra maestra di pensiero, Hannah Arendt, fatto dalla sua cara amica Mary McCarthy:

“Il pensiero era per lei come il lavoro dei campi, come umanizzare le regioni selvatiche dell’esperienza – costruire case, tracciare sentieri strade, sbarrare ruscelli, piantare paraventi”.

Anche nel ricordo che McCarthy restituisce al funerale di Hannah ritorna la descrizione del pensiero come azione: “Osservarla mentre parlava a un uditorio era come vedere i moti della mente trasferiti nell’azione e nel gesto. Improvvisamente, si arrestava davanti al leggio, aggrottava la fronte, consultava il soffitto, si morsicava il labbro”.
Il battito cardiaco della vita della mente non può che trovare espressione nel corpo: nell’ aggrottare la fronte, nei gesti delle mani, negli arresti e negli sconfinamenti. Il pensiero non esclude il corpo, lo implica e lo coinvolge.
Uno degli argomenti trattati in questo testo non a caso  è “Il tocco”:

“In classe, ancor prima che le parole vengano pronunciate, ci riuniamo come corpi. Ci interpretiamo reciprocamente attraverso lo sguardo e, in quanto insegnanti, siamo immediatamente il punto focale di uno sguardo collettivo. I nostri studenti ci guardano, chiedendosi cosa i nostri corpi abbiano da dire su chi siamo, e come viviamo nel mondo. Anche noi percepiamo i nostri studenti come presenza incarnata e anche se la nostra formazione degli insegnanti ci incoraggia ad agire come se fossimo esseri disincarnati, la verità del nostro corpo ci parla”.

Quello del corpo è un tema fondamentale che molto spesso viene trascurato a favore della mente. Edgar Morin ha ripreso opportunamente Montaigne nel sottolineare l’importanza di una testa ben fatta piuttosto che di una testa ben piena, riempita di nozioni come se fosse un vaso in cui inserire elementi, tuttavia con la mente occorre ripensare il corpo che resta in buona parte della riflessione pedagogica argomento relativo o secondario. Si ha paura di riconoscere la presenza dei corpi in classe, che si interpretano come una minaccia all’apprendimento. Imparare attraverso la paura allontana però dal desiderio, da un coinvolgimento che passa anche attraverso l’accettazione di ciò che siamo.
bell hooks sottolinea che “ll tocco può assumere la forma di un abbraccio, una stretta di mano, una pacca sulla spalla o anche, semplicemente, una mano appoggiata delicatamente su un braccio” e può offrire conforto, sostegno, o creare unione:

“Fare spazio al tatto in classe significa resistere alla limitatezza dei nostri modi di conoscere, superare i confini delle parole ascoltando il corpo, riconoscendoci come carne viva”.

La gerarchia che ci fa credere che la mente debba sempre avere la meglio sul corpo non ci fa comprendere che siamo chiamati ad apprendere al di là dei confini delle parole imparando dai nostri sensi, dai nostri stati d’animo, e scoprendo il loro modo di conoscere.
L’analisi che bell hooks propone dei temi nati dal suo incessante dialogo con insegnanti e studenti si articola declinando molte voci, intrecciando il pensiero critico con il benessere emotivo, nella speranza che l’educazione sia un percorso di autorealizzazione e autodeterminazione in opposizione a qualsiasi sistema di istruzione o cultura che voglia renderci destinatari passivi di modi di conoscere. Chi pensa criticamente pensa e agisce autonomamente e questa insistenza sulla responsabilità personale è saggezza pratica e vitale.

bell hook ha il merito di mostrare vividamente il legame vitale tra pensiero critico e saggezza pratica, l’interdipendenza tra teoria e pratica, la consapevolezza che la conoscenza non possa essere separata dall’esperienza, la quale modella ciò cui diamo valore e di conseguenza “come sappiamo ciò che sappiamo, e come usiamo ciò che sappiamo”.
I nostri pensieri non sono quindi moneta astratta in un ambiente lontano dalla vita di tutti i giorni, ma danno senso, orientamento e risonanza al nostro agire quotidiano:

“Troppo spesso la gente pensa che gli intellettuali (che sono, per la natura della vocazione scelta, pensatori critici) siano persone prive di passione, tutte mente e niente cuore. Il vero intellettuale, colei o colui che trova sempre il coraggio di cercare la verità al di là dell’ego o delle idee tradizionali sulla natura delle cose, percorre sempre un cammino compassionevole. L’insegnante buddista Thich Nhat Hanh scrive: “La compassione non è un’idea o qualcosa che possiamo immaginare. È una formazione mentale che genera un risultato immediato nell’azione del corpo, della parola o della mente. È radicata nella comprensione”.

Infine bell hooks rivolge la sua attenzione al valore di un atteggiamento incessante di meraviglia, alla capacità di stupirsi ed emozionarsi a partire dalle idee come pratica che apre radicalmente la mente.
Pensare è apprendere non vanno separati dall’entusiasmo e dalla curiosità: le idee non sono fisse e statiche, ma sempre soggette a cambiamenti. Ecco che raccontare e ascoltare storie è uno dei modi in cui possiamo dare avvio al processo di costruzione della comunità, sia nell’ambito dell’aula sia di fuori di essa. Le storie aprono alla possibilità di avvicinarsi gli uni agli altri, così come il ridere insieme o l’accogliere il pianto senza vergogna.
Dopo avere letto questo saggio custodisco alcune voci e le connetto insieme: pensiero critico, corpi, stati d’animo. Sono grata a bell hooks, ancora una volta, per avere con chiarezza e trasparenza indicato come il personale sia politico e l’apprendimento sia trasformazione.

 

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