Sciara. In dialogo con Marina Mongiovì

 

di Ivana Margarese

Immagini di Pina Calì

 

Un’isola senza mare è una farsa, una bizzarria, un’illusione, ma qui il mare, tra la montagna e la pianura, lo puoi solo immaginare; verso levante, oltre un aspro e nero confine di sciara.

Così comincia Sciara,  il romanzo di esordio di Marina Mongiovì, che è parte di Talè, nuova collana di Kalós con un taglio più contemporaneo. Curatrice della collana è la giornalista e scrittrice Giusy Sciacca, autrice di Virità pubblicato sempre per kalós. Il romanzo di Mongiovì attraverso una serie di racconti legati restituisce una scrittura attenta e elegante le storie di un piccolo centro siciliano, i volti, i nomi, le parentele, i sentimenti espressi e celati che abitano il paese di Teresa, la protagonista e voce narrante del libro.

Ho rivolto a Marina alcune domande sul suo lavoro.


Sciara già dalle prime pagine mi è parso un festeggiare. Un omaggio al paesaggio siciliano e alle sue contraddizioni, ai riti di famiglia che raccolgono, attraverso pratiche e storie, donne di diversa età intorno a una tavola, rigorosamente cunzata. Quanta gratitudine c’è stata nella scrittura di questo romanzo?

Tanta. Verso la mia terra e verso lontani ricordi di bambina. Molto però è frutto della fantasia e del desiderio. Mi sarebbe piaciuto poter partecipare ai riti familiari al femminile; come si fa per le conserve di pomodoro. E invece l’ho fatto soltanto con l’immaginazione e la scrittura, facendo rivivere alcune sensazioni e racconti che ho conservato della mia infanzia.

“Il sonno pomeridiano è una vertigine, un atto di sospensione che genera fantasmi e fantasie. Un delirio che dal passato e dal chiacchierio in cucina conduce a una spirale di fotogrammi e sequenze. Frequenze di un mondo lontano che tramanda la sua eco”. Questo frammento mi ha fatto venire in mente la dimensione onirica e lenta che ho respirato a Villa Piccolo a Capo d’Orlando, un luogo magico che ha ospitato oltre ai fratelli Piccolo, Lucio, Casimiro e Maria Giovanna, anche il loro cugino Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Dimensione che ho ritrovato anche nelle strofe della canzone di Franco Battiato che hai scelto come epigrafe e che fa riferimento al mal d’Africa. Quanto c’è di onirico in Sciara?

Sciara è un lungo sogno. La calura e la lentezza degli interminabili pomeriggi d’estate fa crollare in un sonnu che, nel nostro dialetto, è sonno e sogno insieme. Il vento di scirocco è come un personaggio che, attraversando tutta la narrazione, fa calare una nebbia lattescente sulle cose. Attraverso questo filtro tutto diventa irreale, sospeso. Allo stesso tempo è forte la nostalgia di qualcosa che si è vissuto davvero; che si è estinto ma continua a pulsare dentro la memoria.

 


“Il male sta nelle cose che desiderate. Una bella macchina o le mine di una femmina”. Queste parole appartengono a padre Carmelo, il sacerdote, che con il suo essere prete esorcista ( di un male che possiede solo le donne e che necessita di una svestizione per essere eliminato) e censore nei confronti degli abitanti del paese, mostra la sua ambiguità e una rispettabilità che ha radici nell’ ignoranza e nelle superstizioni di chi gli sta intorno. Come è nato questo personaggio?

Da bambina ascoltavo e osservavo molto. Certi preti erano considerati come uomini santi, che meritavano fiducia incondizionata. Sentivo parlare di un parroco che curava l’artrosi alle anziane del quartiere. Presto ho capito quanto possa essere labile il confine tra la fede e la superstizione. Da qui l’idea di creare don Carmelo che incarna quel meccanismo che, attraverso l’ignoranza, rende normale e rispettabile ciò che normale e rispettabile non è.


“Bambine che sono diventate signorine, poi mogli, madri e un giorno saranno nonne, con le mani come radici di magnolia”. E ancora: “Ancora prima di metterla al mondo sapeva che quella creatura avrebbe percorso la sua stessa strada, e quella che prima era stata di sua madre e di sua nonna, e così via indietro nel tempo; in un’immobile e tacita legge secondo cui Anna doveva essere figlia, poi moglie, poi madre”.  
Il destino che appare già scritto nelle storie delle donne. Ci sono nel romanzo due figure femminili apparentemente contrapposte nel tuo romanzo Carmela e Assunta, detta la Marchisa. Carmela che sin da bambina non può che muoversi sui binari prescritti per bilanciare la stranezza della sorella e Assunta, la ribelle, vittima sin da piccola di punizioni da parte del padre e dei fratelli. Carmela e Assunta si legano a quello che viene descritto come un uomo ordinario, Antonio, il ragioniere, e ne diventano rispettivamente la moglie e l’amante. Carmela quando muore Assunta fa qualcosa di insolito all’interno del suo rito quotidiano: cucina un piatto inaspettato. Vorrei un tuo commento su queste condizioni dolorose che appartengono alla memoria collettiva della storia delle donne.

Nel chiacchiericcio della gente ci sono sempre state le donne tradite, che si portavano addosso il loro dolore, e le amanti che andavano calunniate a ogni costo. Con Carmela e Assunta ho voluto raccontare le due condizioni, cercando di descriverne la loro umanità. La compostezza di Carmela, nell’apparente accettazione del tradimento, che nasconde invece la rabbia, la frustrazione, la sopportazione che esplodono, tutte insieme, dopo la morte della rivale. In Assunta invece c’è la ribellione allo stato delle cose, la scelta di non avere una vita come le altre e la consapevolezza di quello che si è sempre vociferato alle sue spalle. Due donne molto diverse che vivono la medesima, silenziosa e dolorosa, solitudine. Entrambe vittime, imprigionate dentro ruoli che vengono marchiati a fuoco sulla loro pelle. Una storia vista da angolazioni diverse, come in un gioco di specchi.

 

Teresa, la voce narrante, ha un’amica, Rosalia. Vorrei mi raccontassi il legame tra queste due donne.

Il racconto di Teresa e Rosalia è forse la parte più onirica; quella che più si presta a varie interpretazioni. Potrebbero essere due care amiche o due amanti. Di certo sono unite da una grande complicità. Cresciute nello stesso contesto socioculturale, rappresentano una rottura; la voglia di eliminare alcuni simboli di quel mondo a cui appartengono.

Sciara è il tuo primo romanzo, hai altri romanzi nel cassetto in attesa di essere pubblicati?

Si, sto lavorando ad un altro romanzo.

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