Agar: maternità e scelta. Intervista a Giulia Lo Porto

a cura di Ivana Margarese

 

“Madri della fede”, è una collana diretta da Cristina Simonelli e Rita Torti che  intende ripercorrere scrutando le scritture – quelle della Bibbia e molte altre –  le storie di donne che da quelle pagine ancora ci interpellano e parlano ai nostri giorni. La prima figura femminile biblica che abbiamo scelto di raccontare, insieme a Giulia Lo Porto, è una figura singolare per la sua storia di emancipazione e per il suo rapporto con Dio: Agar.
Agar, nel racconto biblico, è la schiava egiziana di Sara o meglio “shiphā”, parola che indica la serva della moglie, di cui solo lei può disporre. È una donna la cui storia di maternità viene narrata nel ciclo dei patriarchi. Nel libro della Genesi  viene detto «Sara moglie d’Abramo non gli aveva dato un figlio» (v. 1) e poi  «Agar partorì un figlio ad Abramo» (v. 16). E proprio del partorire si tratta e questo verbo si ripete nel testo e sottolinea tale nodo problematico.
Agar, che per volere di Sara si congiunge con il marito di lei per darle un figlio, è quasi sempre definita a partire dalle sue relazioni: è la schiava di Sara, la moglie di Abramo, la madre di Ismaele. Si tratta di una donna che si trova a vivere una condizione di subordinazione non solo nella vita coniugale ma anche in quella sociale.
Nonostante ciò viene presentata, proposta e indicata in modo chiaro e evidente come esempio da seguire. È la donna in cammino, a cui fu ordinato il pellegrinare: non aveva scelta, doveva partire, emigrare; ed era addirittura il grande e primo patriarca, Abramo, che le imponeva di allontanarsi da tutti e da tutto. Fu abbandonata in una terra arida e non da sola: con lei fu portato nel deserto il suo bambino Ismaele.
Agar è la donna che non si arrende, che crede e spera nella risurrezione. Ecco perché è divenuta una guida simbolica per il pellegrinaggio dei musulmani verso la Mecca. Nella parte nord ovest della Ka’bac’è esternamente un muretto semicircolare chiamato hijr –Ismail: in quest’area secondo la tradizione ha vissuto e poi è stata sepolta Agar, e in seguito Ismaele , e per rispetto non si può calpestare. Il poeta Rumi ha scritto:

«O gente partita in pellegrinaggio! Dove mai siete, dove mai siete?
L’Amato è qui, tornate, tornate!
L’amato è un tuo vicino, vivete muro a muro,
che idea v’è venuta di vagare nel deserto d’Arabia?
A ben vedere la forma senza forma dell’Amato ,
il Padrone e la Casa e la Ka’ba siete voi!
Provate una volta da questa casa a salire sul tetto!»

Nella lettura di Giulia Lo Porto, autrice del libro Agar. «Ho visto il vivente che mi vede»  diventa protagonista mostrando un coraggio e una determinazione fuori dal comune anteponendo l’esperienza vissuta sul proprio corpo alle gerarchie sociali e ai vincoli del diritto così da ridefinire se stessa e modificare lo sguardo sulla propria condizione. È colei che si mette in ascolto di quanto le accade e in questo ascolto e in questa ricerca sta, esempio per tutti noi, il suo dialogo con il sacro.

Vorrei cominciare chiedendoti di raccontarmi il tuo percorso teologico.

Ho iniziato il percorso universitario iscrivendomi alla facoltà di Lettere classiche, poi interrotto a favore di varie esperienze. Una volta deciso di iniziare nuovamente a studiare, ho scelto teologia, soprattutto per l’esegesi biblica. Ho conseguito a Palermo il baccalaureato (ciclo di 5 anni) e la Licenza in Teologia biblica (ovvero la specializzazione, 2 anni). Infine, il dottorato in Teologia biblica a Roma (3 anni, circa). Adesso, per redimermi da tanta teologia, studio per la Laurea Magistrale in Scienze Pedagogiche.

Agar l’egiziana, «Agar, donna la cui storia di maternità viene narrata nel ciclo dei patriarchi, è quasi sempre definita a partire dalle sue relazioni: è la schiava di Sara, la madre di Ismaele». Come sei arrivata a dedicarti a questa figura femminile pressoché dimenticata o comunque che ha avuto minore risonanza  rispetto a altre donne della Bibbia?

Sono stata contattata dal CTI (Coordinamento teologhe italiane), con una richiesta specifica. La collana di cui Agar fa parte, “Madri della fede”, è curata dal Coordinamento e, avendo  mostrato negli ultimi anni particolare interesse per le questioni del mondo arabo, per il volume su Agar hanno pensato a me. Ho accettato volentieri.

 

Agar ha un coraggio e una determinazione che la rendono assai vicina a una sensibilità contemporanea, soprattutto nel suo volere percorrere, al di là di ogni imposizione esterna, la strada che sente giusta  per se stessa. Come l’hai immaginata mentre ne scrivevi?

L’ho immaginata con in corpo una forza che neppure lei stessa riusciva bene a governare. Sola, ma determinata. La strada che il corpo le indicava era la sola possibile per realizzare il proprio riscatto. Seguirla, anche a  costo della morte è stata la sua scelta.

Il rapporto tra Agar e Sara è un rapporto singolare e particolarmente autentico nel suo oscillare tra fiducia e conflittualità e nello svelare attraverso il contributo reciproco qualcosa di prezioso l’una all’altra. Potresti parlarmene?

La Scrittura lo accenna. Sono solo poche pennellate grazie alle quali, nel tempo, sono stati immaginati vari possibili scenari. Io ne ho dedotto il mio: un rapporto viscerale, in senso letterale, uno scontro di potere, una visione plurima sui mille modi possibili di vivere l’esperienza della maternità. Ho cercato di leggere quella relazione anche attraverso la lente della vecchiaia e della giovinezza, sentendo come grande assente nel mondo contemporaneo il dialogo tra generazioni, per le donne. Sarei curiosa, molto, di sapere come verrà letta questa dialettica tra Sara e Agar, fra cento anni. O anche meno.

Altro elemento fondamentale in questo tuo libro è il corpo e l’ascolto del corpo che può guidarci genuinamente. Come è possibile conciliare questo aspetto con quello che tradizionalmente viene collegato alla dottrina cattolica ovvero con la mortificazione del corpo per lasciare spazio allo spirito?

Il rapporto tra cattolicesimo e corpo è un tema spinoso e doloroso, che si declina molto spesso in mille tragedie personali. La Chiesa ha immense responsabilità a riguardo e sarebbe il tempo di affrontarle, se non vuole affondare nel mare degli scandali che la stanno travolgendo. Ci sono delle ragioni storiche, ovviamente, con radici molto antiche, alcune di queste hanno a che fare con l’ellenizzazione del cristianesimo e alla filosofia platonica che separa corpo e anima. Per fare un esempio molto grossolano. Per i semiti le cose stanno diversamente, per esempio. Anche se la cultura patriarcale, poi, ha fatto danno ovunque. Per quanto mi riguarda, lì dove il corpo viene negato o mortificato s’insinuano dolore e menzogna. Poi, è chiaro che si tratta dell’equilibrio della persona che è fatta di diverse dimensioni e della propria storia. Quello che volevo dire io, anzi che secondo de me racconta la storia di Agar è che, molto difficilmente quel che viene dal corpo è fallace. È esperienza comune, d’altronde, che lì dove i messaggi del corpo vengono negati, ci si ammala.

Diverse sono state le figure femminili che nella nostra cultura religiosa hanno avuto un ruolo di rinnovamento o di sprone per il pensiero. Penso a Santa Chiara o a Santa Teresa, a Ildegarda von Bingen o a Eloisa. Quali sono state per te di ispirazione o dovrebbero essere a tuo parere più adeguatamente conosciute?

Santa Chiara d’Assisi, figura a me molto cara, è una delle donne più mal conosciute della storia. Ed, invece, la sua vicenda è piena di carisma e di forza. Anche di follia, credo. Ma questo è molto legato al fatto di essere una donna estrema, in un tempo storico estremo. Per me Chiara è stata grande nel riuscire a fare quel che voleva fare, facendo credere a tutti, papa compreso, di stare facendo come volevano loro.

Il tuo libro parla di maternità e proprio la maternità è al centro anche oggi di notevoli dibattiti nel campo dei diritti sia nell’esperienza dell’essere madre, spesso sottovalutata nell’impegno e nella trasformazione che comporta in vista di modelli edulcorati e poco reali, sia nell’esperienza dell’interruzione di gravidanza di cui spesso non si considera il portato doloroso e faticoso. Vorrei un tuo parere su questo.

A me la maternità ha sconvolto la vita. In ogni senso possibile. Nel buio come nella luce. Non credo sia solo un problema la narrazione che fino ad ora se n’è fatta, ma, soprattutto, quella che non si è fatta. E le cause sono molteplici. Per me una delle cause più significative è costituita dalla perdita di comunità al femminile, al fatto che le donne non stanno più insieme tra loro. Credo che questo abbia determinato una mancanza di conoscenze e una solitudine delle madri, ma delle donne tutte, enorme. Così l’eccessiva medicalizzazione del parto, così un modello familiare e sociale sempre più disumanizzante sul piano del lavoro e delle relazioni. La cultura cattolica, poi, ha la sua dose di responsabilità, con una distorsione operata da uno sguardo tutto maschile della figura della madre di Gesù, tanto per dirne una. L’aborto è un tema difficile, ma se ne può discutere, a mio avviso, solo a fronte del diritto di esercitarlo, come fatto dato. Purtroppo stiamo tornando alla fase precedente ovvero la conquista prima del diritto di abortire.

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