Audre Lorde, Sorella Outsider

 

di Ivana Margarese

 

Considero leggere Audre Lorde un privilegio. La sua voce potente e cristallina risveglia e centra questioni vitali senza giri di parole: per lei era essenziale insegnare con la vita e le parole le verità in cui credeva. Lo sentiva come un compito irrinunciabile:

“Quali sono le parole che ancora non avete? Cos’è che avete bisogno di dire? Quali sono le tirannie che ingoiate giorno dopo giorno e tentate di far vostre, fino al punto di ammalarvi e morirne, sempre in silenzio? Forse per alcune di voi qui, oggi, io sono la faccia di una delle vostre paure. Perché sono donna, perché sono Nera, perché sono lesbica, perché sono me stessa, una donna Nera guerriera poetessa che fa il suo lavoro, che è venuta a chiedervi: state facendo il vostro?
E, naturalmente, ho paura.”

Solo prendendo parte a un processo vitale creativo e continuo, che è crescita, e provando a gettare un ponte tra le differenze era possibile sopravvivere. Non è la differenza a immobilizzarci, ma il silenzio. E ci sono tanti silenzi da rompere.
La nozione di differenza, per Lorde, arricchisce la definizione dell’io, anziché minacciarla. Unità non significa unitarietà e la differenza è una forza umana dinamica, uno stare insieme dove ci sono obiettivi condivisi. La collana Culture Radicali, diretta dal gruppo Ippolita per Meltemi editore, ha di recente pubblicato col titolo di Sorella Outsider, con la traduzione di Margherita Giacobino e l’introduzione di Rahel Serekeuna raccolta di quindici saggi, scritti tra il 1976 e il 1984, che delineano la personalità letteraria e filosofica di Audre Lorde e il suo impegno politico.
Nata ad Harlem nel 1934 negli Stati Uniti, terza figlia di genitori di umili origini, immigrati dall’isola caraibica di Grenada, Lorde esprime attraverso la poesia il suo pensiero:

“Quel distillato di esperienza da cui sgorga la vera poesia dà vita al pensiero come il sogno dà vita al concetto, come il sentire dà vita all’idea, come la conoscenza dà vita alla comprensione (la precede)”.

La poesia non è lo sterile gioco di parole a cui troppo spesso è stata ridotta, ma è lo spazio con cui noi contribuiamo a dar nome a ciò che non ha nome perché represso dalla paura o dalla vergogna, così che possa essere pensato:

“In questo preciso momento, potrei citare almeno dieci idee che avrei trovato intollerabili o incomprensibili o spaventose, se non mi fossero venute dopo sogni o poesie. Questa non è vana fantasia, ma un’attenzione metodica al vero significato dell’espressione ‘sentire che è la cosa giusta’. Possiamo esercitarci a rispettare il nostro sentire e a trasporlo in linguaggio così da poterlo condividere. E dove quel linguaggio ancora non esiste, è la nostra poesia che aiuta a dargli forma. La poesia non è solo sogno e visione; essa è l’architettura portante delle nostre vite. Essa pone le fondamenta per un futuro di cambiamento, getta un ponte sulle paure che abbiamo di ciò che non è mai esistito finora.”

Il cambiamento non avviene attraverso nuove idee che ci illudiamo siano salvifiche ma dando voce a idee vecchie e dimenticate, a nuove combinazioni e consapevolezze che vengono da dentro, insieme al rinnovato coraggio di metterle alla prova. Bisogna costantemente tentare azioni eretiche, andando al di là della paura di essere impotenti:

“Possiamo starcene per sempre nel nostro angolino mentre le nostre sorelle periscono e noi stesse con loro, mentre i nostri figli vengono distorti e distrutti, mentre la nostra terra viene avvelenata, possiamo starcene nel nostro angolino sicuro mute come bottiglie, e non avremo meno paura.”

Lorde fa spesso riferimento, in antitesi al sistema occidentale basato sulla ragione e sul profitto, alla potenza della madre Nera. Nella lettera aperta a Mary Daly, teologa statunitense, lesbica femminista, autrice di testi che hanno avuto ampia risonanza analizzando le pratiche di oppressione delle donne che hanno costituito i miti cristiani e la base del patriarcato come religione, Audre Lorde si sofferma chiaramente sulla distorsione e banalizzazione della esperienza archetipica delle donne Nere. Questo fraintendimento finisce per negare le reali connessioni che esistono tra tutte le donne e cancellare le antiche tradizioni di potere, forza e nutrimento che si trovano nei legami tra donne africane. Ne La poesia non è un lusso scrive: “I padri bianchi ci hanno detto: penso, quindi sono. La madre Nera dentro ognuna di noi – la poetessa – sussurra nei nostri sogni: sento, quindi posso essere libera”.
Questo richiamo al sentire non intende ribadire una dicotomia col pensiero. Al contrario, vuole accostare a un pensiero accademico e analitico un “sentire/pensare” come conoscenza che combina modi tradizionalmente considerati separati.
La madre Nera è il nome di un’umanità di cui gli uomini non sono sprovvisti, attraverso cui onorare “mai nominati desideri di qualcosa di diverso, che va oltre quel che ora chiamiamo possibile, e verso cui la nostra comprensione può solo costruire delle vie – ma ci hanno insegnato a negare quelle zone così fruttuose di noi stessi”. Non dobbiamo, dice la scrittrice, mai chiudere gli occhi al terrore, al caos che è Nero, che è creativo, che è femmina, che è oscuro, rifiutato, disordinato, erotico, sconvolgente.
L’orrore principale di ogni sistema che definisce il bene in termini di profitto invece che in termini di bisogno umano, o che considera il bisogno umano escludendone le componenti psichiche ed emotive, è che spoglia il lavoro della sua valenza erotica, della sua desiderabilità e pienezza esistenziale, riducendolo per lo più a un dovere con cui ci guadagniamo da vivere. Un’altra amputazione dell’erotico avviene con la sua separazione  dallo spirituale, che riduce lo spirituale a un mondo di affetti appiattiti.

Lorde evidenzia la forza della radice greca eros, che indica capacità creativa e condivisione:

“Quando viviamo al di fuori di noi stesse, e con ciò intendo che siamo dirette esclusivamente dall’esterno e non dalla nostra conoscenza e dai nostri bisogni interiori, quando viviamo lontane dall’erotico dentro di noi che ci guida, allora le nostre vite sono limitate da forme esterne e aliene, e noi ci conformiamo alle esigenze di una struttura che non si basa sui bisogni umani e tanto meno su quelli dell’individuo.”

Ascoltare il nostro sentire più profondo ci porta a a smettere, inevitabilmente, di accettare la rassegnazione, la sofferenza e la negazione di sé. La forza dell’erotico ci spinge a condividere e a oltrepassare la cultura del sospetto e della paura immaginando un tempo “in cui donne con donne, donne con uomini, uomini con uomini possano lavorare tutti quanti insieme in un mondo che non richieda obbedienza o rinuncia a sé in cambio di pane, o di bellezza, o di amore”:

“Per tutte noi

questo istante e questo trionfo

non era previsto che noi sopravvivessimo.

E quando il sole sorge abbiamo paura

che forse non resterà

quando il sole tramonta abbiamo paura

che forse non sorgerà domattina

quando abbiamo la pancia piena abbiamo paura dell’indigestione

quando abbiamo la pancia vuota abbiamo paura di non poter mai più mangiare

quando siamo amate abbiamo paura

che l’amore svanirà

quando siamo sole abbiamo paura

che l’amore non tornerà

e quando parliamo abbiamo paura

che le nostre parole non verranno udite o ben accolte

ma quando stiamo zitte anche allora abbiamo paura.

Perciò è meglio parlare

ricordando

che non era previsto che sopravvivessimo.”

( A. Lorde, A Litany for Survival, in The Black Unicorn, nella traduzione di Margherita Giacobino )

 

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