In dialogo con Annachiara Biancardino direttrice editoriale di Les Flâneurs Edizioni

 

a cura di Ivana Margarese

 

 

 

Cominciamo parlando di te. Come sei arrivata al mondo dell’editoria?

Dopo la laurea in Lettere, ho cominciato a guardarmi intorno, non avevo le idee molto chiare su quale carriera intraprendere. Così ho frequentato anche dei corsi di formazione editoriale. Ricordo che dopo il primo pensai “l’editoria non fa per me”. E invece… per chi ama il mondo della scrittura è quasi impossibile tenersi alla larga dall’editoria, ti attrae come una calamita. Nel mio caso è andata a finire che mi ci sono appassionata fin troppo.

Nella vostra casa editrice c’è aria di rinnovamento. Quali sono i progetti che avete messo a punto e quelli che state per realizzare?

Il mondo (anche editoriale) di oggi è molto diverso da quello di qualche anno fa. Quindi è vero, sentiamo il bisogno di aggiornarci nelle scelte, nei metodi di lavoro e di selezione. C’è anche voglia di guardare con fiducia al futuro ed entusiasmo per i nuovi progetti. Ne cito uno in cui credo molto: la nascita della collana di poesia “Icone”, di forte identità mediterranea, diretta dal poeta Alessandro Cannavale.

 


La nostra rivista pone grande attenzione alla pluralità, al fare rete e allo stare in relazione. Questo comporta talvolta degli sforzi ma permette di alimentare con fiducia il lavoro che si sta facendo insieme. Qual è la tua esperienza da questo punto di vista in una casa editrice come la vostra attenta al rapporto con gli autori?

Qualche mese fa mi sono imbattuta, in un testo a cui stavo lavorando, in questa frase: “tanto più che deve raccontarmi la sua storia, ha detto, ed è un regalo troppo grosso per uno che racconta la vita delle persone per il semplice fatto che le ama, tutte quante, senza distinzione”. Si tratta di una considerazione espressa dal protagonista del romanzo, che è uno scrittore e sta parlando di sé stesso, ma mi è rimasta impressa perché credo descriva bene, magari enfatizzando un po’, una postura diffusa non solo fra gli autori, ma fra tutti quelli che lavorano con e ai libri. L’amore per la letteratura non basta per lavorare in ambito editoriale, serve una buona capacità di apertura verso gli altri, curiosità per le loro storie.

Nello specifico, per quanto riguarda il rapporto fra autore e team della casa editrice, la mia esperienza sul campo conferma che maggiore è la sintonia che si crea fra le parti, migliori saranno i risultati ottenuti.

 

C’è un criterio o alcuni criteri che ti stanno particolarmente a cuore quando scegli un progetto?

Credo di essere sensibile al “fattore passione”. Mi piacciono le voci intense, i sogni che si alimentano di ogni briciolo di energia. Quando un autore mi espone un progetto e riesce a entusiasmarmi, penso sempre che, quando arriverà il momento in cui dovrò raccontarlo a mia volta, riuscirò anche io a far sentire coinvolto chi mi sta ascoltando, che si tratti di un lettore o un libraio o un giornalista. Credo che lapassione sia un qualcosa che si trasmette per osmosi. Quando invece un progetto si nutre di energie negative, delle frustrazioni o della scarsa convinzione di chi dovrebbe portarlo avanti, per esperienza sono portata a credere che sarebbe difficile ottenere buoni risultati.

 

Difficoltà e risorse di questo lavoro.

In ambito editoriale, spesso difficoltà e risorse sono inversamente proporzionali: le piccole case editrici, che hanno a disposizione risorse economiche limitate, devono affrontare le sfide più grandi, in primis superare le difficoltà nel riuscire a farsi conoscere. Tuttavia, se si lavora con passione, con un pizzico di incoscienza e una buona dose di tenacia, qualche risultato pian piano spesso molto lentamente: in questo campo si gettano semi per raccogliere i frutti a distanza anche di anni – arriva. Io considero una risorsa inestimabile il confronto con i lettori e con i librai: è un antidoto al rischio di chiudersi nella bolla degli addetti ai lavori perdendo il contatto con la realtà esterna.

L’ultima domanda, come in un metaforico vaso di Pandora, la lascio alla speranza. Cosa ti auguri per l’avvenire del mondo editoriale italiano?

Una maggiore propensione alla sfida. A volte ho l’occasione, preziosissima, di confrontarmi con autori stranieri, e spesso scopro che altrove il sistema editoriale (e più in generale quello culturale) per alcuni versi funziona diversamente. Con delle concrete ricadute anche sui gusti del pubblico, ad esempio generi letterari qui considerati “di nicchia” trovano migliore accoglienza. Il che significa che quando parliamo di editoria non parliamo di un blocco monolitico, uguale ovunque e sempre. Nei periodi storici di crisi si tende a essere più oculati nelle spese, a cercare di azzerare i rischi. Mi auguro che l’editoria italiana possa tornare a scommettere, anche per tenere il passo con le tendenze internazionali.

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