In dialogo con Anna Maria Crispino

a cura di Ivana Margarese e Dafne Leda Franceschetti

 

 

Anna Maria Crispino è giornalista e saggista, ha fondato e tuttora dirige la rivista Leggendaria. Libri Letture Linguaggi (www.leggendaria.it), che noi di Morel voci dall’isola non possiamo che apprezzare e considerare di ispirazione per il nostro lavoro. E’ stata tra le fondatrici della Società Italiana delle Letterate (SIL) ed è autrice di saggi sulle scritture e il pensiero delle donne, ha scritto e/o curato diversi volumi, tra i quali: Lady Frankenstein e l’orrenda progenie (a cura di, con Silvia Neonato, Roma: Iacobelli editore 2018); Dell’ambivalenza. Dinamiche della narrazione in Elena Ferrante, Julie Otzuka e Goliarda Sapienza (a cura di, con Marina Vitale, Roma; Iacobelli editore 2016); Oltrecanone. Generi, genealogie, tradizioni (a cura di, Roma: Iacobelli editore 2015). Ha tradotto e/o curato alcuni volumi della filosofa Rosi Braidotti, tra i quali: Trasposizioni. Sull’etica nomade (Roma: Luca Sossella editore 2008) e Madri Mostri e Macchine (Roma: manifestolibri 2005).

I.M: Inizio con il ringraziarla della sua disponibilità e chiedere della rivista “Leggendaria. Libri Letture Linguaggi”, nata nel dicembre del 1987, di cui è fondatrice e direttrice. Da quali esigenze e spinte è nata? Qual è stata e qual è l’esperienza di rete di relazioni che ci può raccontare? Quali i cambiamenti in questi anni?

AMC – La rivista nacque dall’esigenza di offrire uno sguardo radicato nel femminile – ma non parziale – sulla produzione culturale italiana e straniera. Sembra difficile ripensarci ora che assistiamo a un fiorire di figure femminili autorevoli nel campo della letteratura, dell’arte, del cinema, della critica – basti guardare le classifiche dei libri più venduti, i premi assegnati nei maggiori Festival cinematografici, le mostre e gli spettacoli teatrali allestiti, lo sviluppo dei cosiddetti Women’s Studies, accademici e no, anche in Italia. Dopo la grande ondata del femminismo “politico” degli anni Settanta, ancora negli anni Ottanta/Novanta le donne sembravano restare in un cono d’ombra dal quale, quando una singola emergeva, veniva considerata una “eccezione”. Eccezione rispetto a cosa? Certamente rispetto al cosiddetto “canone”, interamente modellato sul maschile (sedicente neutro universale), ma anche eccezione al proprio sesso. Da questo punto di vista, molto è cambiato negli ultimi decenni: il “canone” è stato messo radicalmente in questione in tutti i campi, lavorato ai fianchi, spesso aggirato in virtù di un “oltrecanone” aperto, inclusivo e in divenire (vedi “Oltre il canone”, Leggendaria n. 152/2022) cui molto ha contribuito il lavoro della critica Noi donne femminista e di genere, con la costruzione di “genealogie” femminili e il rimescolamento dei generi, ad esempio in letteratura.
Leggendaria – dopo una prima versione uscita come “supplemento” culturale del mensile (1987-1996) – inizio le sue pubbicazionicome testata autonoma nel 1997 con 32 pagine in b/n, oggi pubblica sei fascicoli l’anno, di 64/80 pagine a colori. Ha una piccola redazione ma un crescente numero di collaboratrici in tutti i campi del sapere, punta decisamente su una dimensione intergenerazionale e interculturale che tenga insieme politica, attualità e saperi.

Vorrei poter sapere di più sulla rubrica “Cara Prof” che si trova all’interno della vostra rivista.

AMC – Abbiamo sempre avuto, specie tra le abbonate, un nucleo consistente di insegnanti, dalle elementari alle scuole superiori, e docenti universitarie. Qualche anno fa, da una idea di Silvia Neonato, è nata “Cara prof”, uno spazio dedicato ai temi della scuola e della trasmissione, che specie negli anni della pandemia sono venuti in primo piano: ci siamo occupati della Dad, dell’integrazione, degli stereotipi di genere, della narrativa ambientata nelle classi, del rapporto tra insegnanti e studenti. Ora stiamo lavorando a un progetto in collaborazione con la Sil (Società Italiana delle Letterate) per mettere maggiormente a fuoco queste tematiche e far dialogare docenti di diverse discipline. L’obiettivo è quello di creare una rete virtuosa di relazioni che consenta – oltre allo scambio di esperienze – di valorizzare il ruolo della scuola – primo avamposto del cambiamento sociale – e contrastare attivamente i tentativi di chiusura corporativa di insegnanti e docenti che l’attuale clima politico sembra favorire.

I.M: Quali autrici consiglierebbe alle giovani generazioni? Le chiedo qualche suggerimento.

AMC – Io credo che non vadano trascurati i cosiddetti “classici”: ad esempio, i “sei romanzi perfetti” di Jane Austen – è appena uscito il primo dei due Meridiani Mondadori a cura di Liliana Rampello dedicati alla scrittrice – che la critica femminista ha decisamente riscattato dal “ghetto” della letteratura sentimentale “per signorine”; penso sia utile incontrare i romanzi e i saggi di Virginia Woolf, la cui crescente fortuna critica trova riscontro nell’attività della Virginia Woolf Italian Society. Ma è anche in corso una riscoperta – e ripubblicazione – di importanti scrittrici italiane elNovecento: da Anna Banti a Natalia Ginzburg, da Elsa Morante a Laudomia Bonanni e Leila Baiardo, da Paola Masino ad Annie Vivanti, da Alba de Céspedes a Fausta Cialente – per citarne solo alcune. Il dato assai interessante è che questa riscoperta, che implica ovviamente una rilettura – è fortemente sostenuta anche da scrittrici giovani, e di successo, come Giulia Caminito, Lisa Ginzburg, Nadia Terranova e altre. Suggerirei anche di seguire con attenzione le scrittrici 30-40enni, come le già citate Caminito, Ginzburg e Terranova, ma anche “esordienti” (o quasi)come Laura Marzi o Silvia dai Prà. E non posso non consigliare la lettura delle opere di Elena Ferrante, partendo magari proprio dalla quadrilogia dell’Amica geniale.


I.M: Nel fondare la rivista “Morel voci dall’isola” avevo, tra le altre influenze, in mente il pensiero di bell hooks e il suo elogio del margine. Da sempre bell hooks ribadisce con forza il valore trasformativo del margine, il suo custodire possibilità di cambiamento e resistenza. Chi, a suo parere, in Italia oggi ha raccolto il pensiero di bell hooks facendosene testimone?

AMC – Direi che il pensiero/pratica di bell hooks sia ampiamente apprezzato anche in Italia, in particolare da quella parte del femminismo che è aperto e interessato alle dinamiche del “divenire”. In questo molto ha contribuito il pensiero della filosofa Rosi Braidotti, teorica del “soggetto nomade” e dunque anche del continuo spostarsi dei confini tra il centro e periferie (i margini, appunto).

I.M: Infine, vorrei farle una domanda un po’ provocatoria sul movimento femminista. A suo parere potrebbe esserci stato o esserci il rischio che il femminismo sia appannaggio dei salotti e che si sia dimenticato delle piazze, della gente comune e dei suoi bisogni?

AMC – Il rischio c’è sempre, ma questa domanda assomiglia alle critiche che si fanno alla sinistra italiana e al suo radicamento nella cosiddetta “zona ZTL” a scapito dei ceti popolari. Io credo che né il femminismo né la sinistra possano essere considerati come un blocco compatto, con un profilo unico e definito: siamo in una società sempre più complessa, dove soggettività diverse hanno la tendenza ad attestarsi in campi identitari dai confini rigidi, a volte rivendicativi e vittimistici. Dentro il femminismo, ad esempio, che è ormai ben più di un “movimento”, ci sono esperienze e culture diverse che non sempre riescono a parlarsi. Ma dalle più giovani – e dal contesto internazionale, in particolare quello anglofono – ci arriva una proposta che io trovo percorribile: quella della cosiddetta “intersezionalità”, vale a dire affermare che ogni individualità, ogni soggettività è il frutto dell’incrocio di più variabili (almeno tre: sesso, classe, razza ma anche età, stato di salute etc.) e che dunque le pratiche politiche, sociale, culturali devono riconoscerne la poliedricità. Questo, ovviamente, rende più complicato il tema della rappresentanza, come si è visto in alcuni recenti episodi di cronaca. Quanto alle piazze, mi pare che solo nell’ultimo mese ci siano state grandi manifestazioni di donne sia per la difesa della Legge 194 sia a sostegno delle donne iraniane. E mi aspetto che continueranno.


D. L. F: Sì, che le rivendicazioni e le lotte continuino è una cosa che ci auspichiamo anche internamente alla redazione di Morel, perché i corpi e le scelte delle donne sono sempre più un campo di battaglia, e questo, ahimé, a livello internazionale, basti pensare agli USA, all’Iran ed alle nubi nere incombenti nel nostro paese. Le sue ultime parole in merito alle lotte in difesa della Legge 194 poi mi hanno portato alla mente un testo che ormai è diventato un classico nel femminismo, mi riferisco a Il Racconto dell’ancella di Margaret Atwood che, complice anche il successo della la serie tv, ha influenzato moltissimo l’iconografia delle lotte transfemministe degli ultimi anni: ed ecco che le piazze si sono riempite di ragazze e donne vestite da “ancelle”, con la tunica rossa e la cuffietta bianca, e di striscioni tratti dal libro, con il monito latino «Nolite te bastardes carborundorum» in bella vista. Assai interessante quest’influenza letteraria sulla vita vera, mi piacerebbe dunque sapere cosa ne pensa, soprattutto alla luce del fatto che molti dei numeri di Leggendaria portano in copertina l’ancella frutto della penna di Atwood, mi riferisco in particolare allo splendido numero 143 “Mixtopia” o al numero 124 “Pensare il futuro”. Inoltre questo testo è solo uno delle tante distopie che oggi sono finalmente frutto di studio e riscoperta. All’interno dei movimenti transfemministi, ecologisti e non solo sembra che oggi “Il genere” per eccellenza da rileggere sia appunto, per usare un termine mutuato da Haraway, la «speculative fiction» o tutti quei mondi letterari fantastici ascrivibili al genere del fantasy o dell’horror, penso ad autrici come Butler o Le Guin, come anche ad Angela Carter e Leonora Carrington.

Lei che tra i suoi molti interessi ha studiato a lungo e promosso il pensiero di Haraway, appunto, la fisolofia di Braidotti, che ha scritto del mostruoso femminile, di cyborg e post-umanesimo, come commenta l’attuale rifioritura di questi generi? Qual è il ruolo politico della fantascienza e del fantastico eco-femminista?

AMC – È vero che a volte la letteratura, e più in generale lenarrative, riescono ad avere un impatto forte sulla cosiddetta “vita vera” ma è altrettanto vero, io credo, che è la vita vera ad alimentare l’immaginario, letterario e visivo. È la stessa Atwood a dichiarare che le sue storie, anche se ascritte al genere fantascientifico, partono da “almeno” un fenomeno già in atto o avvenuto in passato. D’altronde, se torniamo alle origini, lo stesso Frankenstein di Mary Shelley prefigurava uno degli esiti possibili – e temuti già oltre due secoli fa – del rapporto perverso tra umanie scienza. Sia le Ancelle sia Frankenstein sono diventate delle icòne pop proprio perché hanno avuto la capacità di cogliere un segnale, magari minoritario, di malessere diffuso nel corpo sociale, una “risonanza” che segnala ciò che Braidotti definisce “dissonanza”. Quanto alla odierna fioritura della letteratura fantascientifica, direi che assistiamo ad un fenomeno dirompente: le scritture di fantascienza a firma femminile sono state nel passato poche e sottovalutate, rileggerle oggi è indispensabile per valutare quanto la maggior parte delle narrative maschili – condite di astronavi e armi super-tecnologiche, guerre inter-planetarie, paura degli “alieni” (i “diversi”), razzismo specista, smaccata misoginia – assecondassero la temperie del tempo (tra la seconda metà dell’Ottocento fino agli anni Sessanta del Novecento) e la mitologia del progresso. Mitologia, peraltro, sia nella versione del suprematismo bianco occidentale sia in quello delle “magnifiche sorti” del campo progressista. La “speculative fiction” cui possiamo far rientrare buona parte delle scrittrici di S/F, nasce – e cresce, anche in Italia! – a mio avviso dall’esigenza di porsi delle domande sul futuro, sull’a-venire: decostruito un passato di marginalità e oppressione, a disagio in un presente ambiguo e assai incerto, che futuro ci aspetta? Di qui, credo, anche la mescolanza tra utopia e distopia (la mixtopia, appunto, di cui parla Giuliana Misserville) che consente alle scrittrici di immaginare/prefigurare mondi post-catastrofe in cui però si mantiene viva una feconda “ambivalenza”. Come a dire: sì, siamo avviate/i all’autodistruzione, al peggiore dei mondi possibili (a patto di sopravvivere), ma c’è sempre la speranza di una via d’uscita… E così ci imbattiamo nel pensiero post-umano ed eco-femminista, è qui che letterature e filosofie femministe si incontrano in quella “speculation” necessaria a mettere in campo pratiche politiche e di pensiero non semplificatorie o meramente rivendicative: affermative, direi.

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