bell hooks. Insegnare comunità: una pedagogia della speranza

 

a cura di Ivana Margarese

immagine di copertina di Silvia Rossini

 

 

La competizione in classe spezza ogni legame emotivo, e rende impossibile la vicinanza tra insegnante e studenti. Proprio come l’insistenza sull’obiettività nega la comunità, l’enfasi sulla competizione rafforza l’idea che gli studenti si trovino in una relazione conflittuale con sé stessi e con i propri insegnanti. Il comportamento predatorio, concetto centrale della cultura dominante, si manifesta quando gli studenti sentono di dover, simbolicamente, distruggersi a vicenda per dimostrare di essere i più intelligenti.[…]Piuttosto che considerarsi compagne e compagni, agli studenti viene insegnato a considerarsi avversari in lotta per l’ottenimento del premio, ovvero a essere abbastanza intelligenti da dominare gli altri.La cultura dominante promuove un oggettivismo calcolato che è disumanizzante. Al contrario, il modello della collaborazione reciproca invita a un impegno del sé che umanizza, e rende possibile l’amore.

 

Questa riflessione è tratta da Insegnare comunità: una pedagogia della speranza di bell hooks, secondo volume della trilogia dell’autrice dedicata all’insegnamento. Pubblicato quest’anno in Italia da Meltemi, questo saggio segue Insegnare a trasgredire: l’educazione come pratica della libertà, libro che ha avuto grande successo e ha raggiunto un pubblico variegato dando vita a un dialogo con insegnanti e studenti delle scuole.
Scrittrice, insegnante, attivista americana, poeta, non c’è dubbio che bell hooks immagina un mondo dove gli individui non sono “uguali”, ma dove l’idea di reciprocità è ciò che modella l’interazione. Un mondo dove ognuno di noi può essere quello che è.
bell hooks scrive questo testo a partire dalla sua esperienza nelle università americane in cui ha insegnato. Il focus non sta in un parlare astratto, ma nella scelta di mettere in luce una “esperienza situata”: da dove, come e perché si decide di parlare. Si racconta la propria storia agli altri o si ascolta una storia per restituirla rinnovata: “voglio sapere la tua storia, poi te la racconterò in una nuova versione”.
Lo stile è schietto, diretto e coraggioso. Si rivolge all’azione e al cambiamento nell’intento di passare da un modello pedagogico di dominio a un modello comunitario.
Nel libro Propaganda and the Public Mind, Noam Chomsky definisce intellettuali pubblici “quelli che propongono idee, e difendono valori che sono considerati accettabili all’interno di uno spettro tradizionale”, ovvero valori che di solito riflettono lo status quo. Al contempo definisce  “intellettuali dissidenti” le persone critiche nei confronti dello status quo, che hanno il coraggio di far sentire la propria voce in nome della giustizia.
Riscoprendo la vocazione utopica della pedagogia bell hooks incarna una figura dissidente e, con schietta precisione, mette in chiaro come ci sia il ragionevole rischio che questa vocazione venga messa a tacere dal prevalere di una pedagogia della competizione, voce dell’egemonia dominante, attraverso le lezioni impartite dai mass media patriarcali, capitalisti, imperialisti e suprematisti instillando la paura e la violenza.
Il sistema in cui viviamo è un sistema rigido che invece di tendere come la vita stessa alla trasformazione, vorrebbe muoversi nella riproduzione di se stesso.

Da sempre bell hooks indica il centro come un luogo di osservazione cieca e autoriferita e ribadisce con forza il valore trasformativo del margine, il suo custodire possibilità di cambiamento e resistenza: uno spazio, quello della posizione marginale, che a suo parere non va abbandonato per il centro, dal momento che, nell’abitarlo, permette un luogo di  trasformazione, creatività, incontro, aprendoci alle possibilità che si manifestano dall’allontanarsi da una posizione fissa: quando siamo costretti dalle circostanze a occupare un punto di vista molto diverso da quello per noi normale e la nostra prospettiva cambia, improvvisamente, per rivelare un paesaggio per noi strano o minaccioso, ci si spinge oltre l’illusione, in modo che possiamo vedere la realtà a tutto tondo, poiché ciò che siamo in grado di vedere dipende interamente da dove ci troviamo.
Il pensiero binario, che è al centro del dualismo metafisico occidentale, insegna alle persone che devono scegliere o questo o quello, per dirla con una espressione di  Kierkegaard ci consegna una formula che ci costringe a un “aut aut”.
La natura inclusiva e molteplice del pensiero ci consente invece di non esasperare le separazioni e i conflitti, mettendo una cosa contro un’altra. Creare fiducia, secondo bell hooks, significa non soltanto scoprire cosa abbiamo in comune con le altre persone, ma allo stesso modo cosa ci separa e ci rende diversi. Spesso si ha paura della differenza, perché si crede che nominarla onestamente porterà al conflitto. La verità tuttavia è che la negazione della realtà della differenza genera un conflitto senza fine.


Recentemente ho letto gli studi di Maria Garraffa sul cervello bilingue, dove la ricercatrice evidenzia come nella pratica del cervello bilingue ci sia consapevolezza che possano esistere più termini per esprimere uno stesso concetto. Ad esempio davanti ad una nuvola, un bimbo bilingue avrà almeno due parole o anche più per descriverla. Questo non lo rende migliore di un monolingue, ma  lo spinge a relativizzare il mondo sapendo che esiste un confronto possibile tra punti di vista. In particolare sembra che le persone bilingui abbiano una maggiore capacità di capire la prospettiva del proprio interlocutore: dovendo chiedersi quale sarà la lingua che colui con cui sta  parlando padroneggia, il bilingue si allena ad ascoltare il punto di vista altrui.
Questa capacità di dislocazione è grandemente preziosa in una visione inclusiva e dialogica. L’educazione in classe fa della conversazione il luogo centrale della pedagogia. L’apprendimento servirebbe quindi a educare chi studia alla pratica della libertà, piuttosto che al mantenimento delle strutture di dominio esistenti.

Riferendosi al pensiero del pedagogista  Paulo Freire e del monaco buddista vietnamita Thich Nhat Hanh, bell hooks offre nei suoi saggi pedagogici consigli pratici su ciò che possiamo fare per rendere la classe un luogo di reciprocità liberatoria in cui insegnante e studente si impegnano a collaborare. Non a caso il primo dei sedici capitoli di questo saggio si intitola “La volontà di imparare. Il mondo è una classe”. Scrive bell hooks:

 

Ho stretto legami con individui che, come me, consideravano l’apprendimento come un fine in sé, e non come un mezzo per raggiungere un altro fine la mobilità di classe, il potere, lo status. Siamo quelle persone che sapevano che, ambiente accademico o meno, avrebbero continuato a studiare, imparare, educare.

 

bell hooks nei sedici capitoli del saggio dà spazio a diversi argomenti. Il secondo capitolo dal titolo “Pause. Aule senza confini” si sofferma sul valore delle pause nell’ insegnamento. Chi insegna deve essere completamente presente nel qui e ora, prestando la massima attenzione e concentrazione. Quando il docente non è pienamente presente, quando la sua mente è altrove, l’insegnamento ne risulta sminuito.
La fatica dell’insegnare è per lo più racchiusa in questa necessità di costante attenzione. Ecco che, a chi insegna, è anche necessario prendere del tempo lontano dall’insegnamento, del tempo libero per non perdere il contatto con la propria capacità di immaginare e trasmettere in maniera libera, aperta, creativa. Scrive bell hooks facendo riferimento alla propria esperienza:

Chi insegna nelle scuole pubbliche subisce l’oppressione dovuta a classi numerose – e piani di studio in cui ha poca voce in capitolo sul contenuto del materiale che deve insegnare. E se i test standardizzati obbligatori verranno nuovamente istituzionalizzati, per gli insegnanti delle scuole pubbliche sarà ancora più difficile stimolare idee creative nel lavoro di insegnamento: dovranno semplicemente trasmettere informazioni, come se il lavoro che svolgono fosse simile a quello di chi lavora alla catena di montaggio.

Un elemento prezioso nell’intero percorso di pensiero dell’autrice è il desiderio inteso come elemento che ci accomuna gli uni agli altri. Pensare a strategie politiche in relazione allo spazio del desiderio può allontanare da un sistema che alimenta la supremazia di una parte sull’ altra.
bell hooks scrive di “pedagogia appassionata” e di energia erotica, aspetto che a suo dire non può essere controllato o messo fuori legge. Secondo la scrittrice bisogna  riconoscere che il desiderio, nell’ambito delle relazioni in cui gerarchia e potere ineguale separano gli individui, è sempre potenzialmente dirompente, ma allo stesso tempo potenzialmente trasformativo, poiché può costituire “una forza di equalizzazione democratica, un feroce promemoria dei limiti della gerarchia e dello status, così come un contesto di abuso e sfruttamento”. Con la sua parola concreta, bell hooks si interroga su temi che solitamente vengono occultati o censurati:

Perché si parla così poco degli uomini che invecchiano in accademia, uomini preoccupati per la potenziale perdita di fascino e potenza sessuale, che ogni anno si trovano di fronte una nuova schiera di giovani studenti che rimarranno tali per tutto il tempo del corso, molte delle quali cercheranno l’affermazione della loro desiderabilità sessuale? Solo nel contesto di una cultura bigotta la risposta alla questione del desiderio tra docenti e studenti è di cercare di controllare quel desiderio, piuttosto che capirlo e autorizzarci ad affrontarlo in modo più costruttivo. Naturalmente, ciò significherebbe comprendere la differenza tra rapporti consensuali tra docenti e studenti – che possono essere o meno problematici – e situazioni di molestie e coercizione sessuale.

Divieti, regole e regolamenti non impediscono a tali relazioni di aver luogo. Ecco che a suo parere ciò che più conta non è vietare tali relazioni, ma disporre di un sistema che prevenga efficacemente molestie e abusi:

Le giovani donne e i giovani uomini che si iscrivono all’università rivendicano e affermano il proprio status di adulti. La sessualità è uno dei luoghi in cui si registra tale evoluzione e maturazione, tanto quanto l’aula scolastica. Le relazioni tra docenti e studenti, meramente amichevoli o erotiche, sono interazioni che consentono agli studenti di essere più pienamente adulti.

L’ambiente universitario deve rafforzare la capacità dello studente di prendere le proprie decisioni e compiere scelte mature e responsabili. L’argomento è di non facile trattazione proprio perché si muove su un terreno complesso come quello del desiderio e del potere, tuttavia bell hooks sceglie di prendere posizione, raccontare le proprie esperienze senza cadere in facili omissioni o menzogne che non disinnescano quanto ci sia di pericoloso nello squilibrio di potere e quanto sia necessario gestire queste relazioni con estrema cura:

Nel momento in cui è possibile parlare apertamente delle differenze di potere nell’ambito delle quali affiora il desiderio erotico, si realizza uno spazio in cui è possibile operare scelte consapevoli e analizzare in modo efficace la questione della responsabilità.

Un ultimo elemento indispensabile per comprendere il pensiero di bell hooks è l’attenzione che lei rivolge alla spiritualità: “I due maestri spirituali più significativi per me, il cui pensiero intesse il mio lavoro come fili – Trungpa Rinpoche e Thich Nhat Hanh, il maestro Zen vietnamita –, sono molto diversi tra loro”. Gli insegnamenti di questi due maestri le hanno permesso di affinare la pratica della consapevolezza così come l’attenzione al momento presente:

Diciamo: “Quando finirò la scuola e conseguirò il dottorato, allora sarò davvero vivo […]”. Non siamo capaci di essere vivi nel momento presente, tendiamo a rimandare l’essere vivi al futuro, un futuro lontano, non sappiamo neanche noi quando. Se il momento di essere vivi non è ora, possiamo non essere mai vivi per tutta la durata della nostra vita. In questo senso, la tecnica consiste nell’esistere nel momento presente, essere consapevoli che siamo nel qui e ora, e l’unico momento per essere vivi è questo […] è l’unico momento reale.

Questa attenzione rivolta al presente può contribuire alla qualità della vita in classe, un promemoria su quello che stiamo condividendo al di là dei programmi e dei voti:

In ogni classe ci sono momenti in cui insegnante e studenti sono “persi”, sono da qualche altra parte, come se fossimo collettivamente in trance. In quei giorni, domando spesso ai miei studenti cosa stia succedendo. Perché siamo intrappolati in una “noia” tanto evidente? Come possiamo usare quel momento come un luogo che abitiamo, imparando dal qui e ora? In un mondo utopico sarebbe possibile sospendere le lezioni in quei giorni, perché educare qualcuno che non è presente è impossibile. Dal momento che non possiamo andarcene, cerchiamo di lavorare con ciò che abbiamo, e realizzare le giuste condizioni per l’apprendimento. Lavoriamo sulla nostra assenza, per essere presenti.

bell hook invita a sperimentare la vastità dell’apprendimento che realizziamo insieme, come comunità, e che è capace autenticamente di trasformarci.

 

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