Di cosa parliamo quando parliamo di consenso. Sesso e rapporti di potere

a cura di Ivana Margarese

 

La resistenza al cambiamento è difficile da abbattere. Occorre pertanto decostruire e destrutturare gli schemi cognitivi precedenti così da poterne generare di nuovi.
In questa direzione si orienta il saggio Di cosa parliamo quando parliamo di consenso. Sesso e rapporti di potere, di Manon Garcia, filosofa specializzata in questioni di genere, autrice anche del saggio On ne naît pas soumise, on le devient, tradotto in varie lingue, tra cui giapponese, cinese, coreano, spagnolo e tedesco e attualmente docente alla Harvard University.
Il titolo italiano, pubblicato da Einaudi, traduce il francese La Conversation des sexes: Philosophie du consentement (Flammarion, 2021) e fa sparire una delle parole chiave del saggio: il termine “conversazione”, a cui intendo dedicare questo mio intervento di lettura.


Di cosa parliamo quando parliamo di consenso. Sesso e rapporti di potere intende rimettere in discussione l’apparente semplicità del “consenso”: descriverlo come semplice accordo se il contesto di cui parliamo è l’ambito sessuale è insufficiente per definirlo con precisione.
Questa rimessa in questione appare preziosa non soltanto nell’indagine dei rapporti tra sesso e potere e nel considerare e meglio affrontare la questione dello stupro, ma anche nella possibilità che offre di guardare con più attenzione vicende che quasi tutte le donne e gli uomini si sono trovati a vivere affiancando al concetto di violenza quello più sottile di violazione.
Uno dei miti principali della nostra concezione delle violenze sessuali è infatti che i rapporti sessuali siano nel complesso consenzienti, se entrambi sono d’accordo, e che lo stupro sia un’esperienza eccezionale e straordinaria. Seppure colui che compie uno stupro viene rappresentato come una persona malata, che agisce in maniera incontrollabile, in realtà gli studi sul profilo degli stupratori mostrano piuttosto che si tratta di uomini normalissimi, appartenenti a tutte le classi sociali, che in genere tendono ad avere una vita sessuale più attiva della media. E non sono affatto mostri fuori del comune.
Questo metodo, affine per certi versi alla celebre riflessione che Hannah Arendt compie nel suo La banalità del male, sprona a ripensare ciò che troppo spesso si semplifica o si dà per scontato non conferendo il giusto peso al contesto e ai significati che quel contesto può attribuire alle nostre scelte e azioni.
Il cambiamento è innanzitutto la rottura di uno schema mentale. Garcia pertanto propone una lunga casistica di eventi, che porta a immaginare varie situazioni che magari lo stesso lettore o la stessa lettrice si è trovato a vivere e su cui può interrogarsi:

Un uomo e una donna si incontrano a una festa. Non si conoscono, si scoprono a vicenda, si divertono molto. Ballano, si baciano, passano una bellissima serata. Alla fine l’uomo propone alla donna di accompagnarla a casa. Per quella sera lei la chiuderebbe lí, ma ha già detto all’uomo dove abita e questi insiste che per lui non è una grossa deviazione. La donna pensa che è tardi e che probabilmente si sentirà più sicura se lui la accompagna a casa. Accetta. Arrivati sotto casa, l’uomo insiste per salire, promette che non si tratterrà a lungo; lei vorrebbe proprio andarsene a dormire, però lui ha allungato la strada, fa freddo. Accetta. Salgono, lui la bacia, lei lo lascia fare ma non ha voglia di spingersi oltre. Lui le infila una mano sotto la T-shirt, insiste. Lei lo respinge un po’, ma pensa che se dice «no» rischia di passare per una civetta, pensa che lui sembra averne molta voglia. Forse non sarà così male. E poi, be’, probabilmente se la sbrigheranno in fretta. Comunque ne ha sempre meno voglia. Ma se lui prendesse male un rifiuto drastico? Se si arrabbiasse? Lo lascia fare e vanno a letto insieme. In questo scenario appare evidente come le norme sociali (lei non vuole essere considerata una civetta, il desiderio maschile è concepito come irreprimibile, lei si sente in debito e ha l’impressione di dover restituire sotto forma sessuale il favore che lui le ha fatto) giochino un ruolo e inducano la donna ad avere un rapporto che non desiderava. Eppure può darsi che l’uomo torni a casa senza pensare che quel rapporto non sia stato consenziente. Di certo, non si sente affatto in torto, anche se magari sa, piú o meno consapevolmente, che lei non sembrava molto disponibile. Mentre a priori ci pareva evidente che accettare di andare a letto con qualcuno «per fargli piacere» non è riconducibile al non-consenso e che qualunque sesso non consenziente è uno stupro, questi tre scenari ci mostrano che la realtà del consenso è infinitamente più complessa.

 

La complessità del consenso, quale emerge da numerosi esempi, mette in luce la sua natura di problema filosofico. La filosofa pertanto ripercorre, nel tentativo di mettere a fuoco il concetto e la sua pratica, il pensiero di Kant e Stuart Mill, passando dal regno dei fini kantiani alla prassi del concetto di autonomia nel pensiero liberale. Il ricorso alle filosofie precedenti è costellato di interrogativi e esempi al fine di mettere in crisi le nostre semplicistiche certezze.
Il libro intende proporre, riguardo al consenso, quella che la filosofa americana Sally Haslanger chiama un’analisi concettuale migliorativa, in quanto ha un intento non solo descrittivo (stabilire a quale realtà corrisponda il concetto, quali siano gli oggetti che raggruppa), ma anche normativo, di miglioramento del mondo sociale (stabilire a quale tipo di intento normativo ed emancipatore esso possa servire).
Il saggio registra inoltre come sia già in atto un cambiamento e un’evoluzione: mentre come sottolinea Georges Vigarello nella sua “Storia della violenza sessuale”, a motivare la repressione dello stupro è stato a lungo l’intento degli uomini di assicurarsi che il corpo della «loro» donna non fosse usato da altri e in particolare di controllare la purezza della stirpe (ovvero che i loro figli fossero effettivamente loro), oggi ci si interessa del desiderio delle donne, della loro volontà, della violenza esercitata su di loro. Ed è una preoccupazione ancora più recente interrogarsi sulle modalità di una sessualità e di un’intimità che siano fonte di gioia, di piacere e di felicità. Se il consenso sta al centro delle discussioni odierne sulla sessualità è perché mediante il consenso si spera non soltanto di lottare contro ciò che vi è di violento e di immorale in certi rapporti sessuali, ma anche di emancipare la sessualità dalle forme di dominio e di oppressione che la attraversano. La riflessione contemporanea è inoltre assai attenta alla vulnerabilità e alla obliquità dell’essere umano, non più inteso cartesianamente come soggetto sempre cosciente e consapevole a ogni istante della propria volontà e di ciò che la fonda.
È inoltre importante evidenziare, anche attraverso il pensiero della filosofa Ann Cahill, come il rischio di stupro fa sì che le donne siano per default in una situazione di «pre-vittime» che influisce su ciò che possono fare, su ciò che possono desiderare. Cahill descrive questo fenomeno sottolineando che le donne vengono educate a sapersi in costante pericolo di essere aggredite sessualmente e a dover adattare di continuo il proprio comportamento a tale rischio, che si tratti di non uscire da sole la sera, non salire su un vagone vuoto di un treno o della metropolitana, non incrociare lo sguardo di un uomo nel quale si imbattono in una via deserta. La minaccia dello stupro contribuisce a modellare le abitudini corporali delle donne, i loro spostamenti. L’esperienza vissuta dalle donne è quella di sapersi violabili.

Garcia, studiosa di Simone de Beauvoir, fa riferimento all’esperienza erotica descritta ne Il secondo sesso:

L’esperienza erotica è nel novero di quelle che piú scoprono agli uomini, e in modo diretto, l’ambiguità della loro condizione; in essa fanno prova di sé in quanto carne e in quanto spirito, come alterità e come soggetto. Il conflitto ha per la donna un carattere drammaticissimo perché ella si coglie anzitutto come oggetto, e non trova subito nel piacere una sicura autonomia; le occorre di riacquistare la propria dignità di soggetto trascendente e libero pur accettando di essere carne: è un’impresa difficile e gravida di rischi, cui la donna spesso non regge. Ma la difficoltà stessa della situazione la difende contro le mistificazioni tra cui il maschio si lascia invece impigliare; egli è spesso schiavo dei fallaci privilegi connessi alla parte aggressiva che sostiene e alla solitudine soddisfatta dell’orgasmo; esita a riconoscersi in pieno come carne. La donna ha di sé un’esperienza piú autentica.

 

Il valore dell’analisi di Beauvoir è nel capovolgimento della prospettiva abituale: mostra che la vita sessuale realizzata non sta dalla parte degli uomini. Viceversa, il dominio maschile priva gli uomini di una sessualità appagante proponendo loro una concezione autocentrica, inautentica, della propria esistenza, perché concepiscono le donne in un modo che li priva di un’autentica relazione con loro. Questo riconoscimento intersoggettivo è difficile da acquisire.
Ecco che parlare di conversazione implica riconoscere la necessità dell’attenzione per l’altro, per i suoi desideri, per i suoi impulsi, per la sua situazione, nonché il carattere profondamente relazionale della pratica sessuale:

Se vi si impegna come individui, una delle grandi gioie del sesso è probabilmente che vi si intreccia una relazione, anche se non è duratura, anche se non è una relazione amorosa nel senso romantico del termine. Intendere il sesso come una relazione erotica fra partner che deve funzionare come una vera e propria conversazione corrisponde probabilmente a ciò che è il sesso quando avviene in modo rispettoso fra pari ma anche, forse, a ciò che il sesso dovrebbe essere se vogliamo praticare, nel sesso, l’eguaglianza che auspichiamo.

Ripensare il consenso con il suo potenziale emancipatore, imperfetto ma reale, è un invito a una nuova conversazione erotica fra pari. Dal momento che,  come sottolineato da Beauvoir ai suoi tempi, non sarà possibile nessuna liberazione individuale senza una trasformazione collettiva e nessun pensiero senza l’intreccio di visioni e pratiche, che non ci rendano isolati in ossessive torri d’avorio ma ci ancorino piuttosto alla concretezza dei corpi e dei legami con gli altri.

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