Sguardi sul Novecento. Un percorso tutto al femminile. Dialogo con la filosofa Esther Basile

a cura di Ivana Margarese

 

Immagine in copertina di Eugenio Viti

Sguardi sul Novecento, a cura di Esther Basile, edito da Homo Scrivens per la collana Arti, è un saggio che intreccia sapientemente filosofia e letteratura, prezioso nella ispirazione e nel metodo. Elsa Morante, Dacia Maraini, Simone Weil, Anna Maria Ortese, Simone de Beauvoir, Agota Kristoff, si ritrovano insieme nel testo sotto il segno dell’utopia e dell’intuizione creatrice tracciando un ricco e attento percorso di idee e di cura.

Di seguito l’intervista alla curatrice, la filosofa Esther Basile.


Comincio con il chiederle della dedica di Sguardi sul Novecento. Il saggio, oltre a contenere dediche più intime, è dedicato a David Sassoli. Quali sono le ragioni?

Dedico il libro ad un amico carissimo  David Sassoli che aveva in sè la certezza del dialogo e della comunione fra le persone sin da giovane. Adoperava un linguaggio che è anche gioco di parola in una dialettica sempre aperta. Ci sono uomini e donne  che arricchiscono il nostro percorso con il loro esempio. E’ come se adoperassero un linguaggio proprio non diversamente da una monade leibniziana. L’aspetto della vita e della morte(oggi attualissimo ancora una volta storicamente con l’ucraina) ci fa vedere la realtà attraverso la sofferenza, ma sbaglieremmo se non vedessimo anche la gioia infondo al tunnel e l’amore. Fare esperienza di qualcosa – si tratti di una cosa, di una idea rivoluzionaria, di un dio significa che quel qualcosa per noi accade, ci incontra, ci sconvolge, ci trasforma. Con David eravamo insieme con molti altri alla caduta del muro di Berlino. Bisogna credere alle trasformazioni ecco perchè dedico il libro ad un uomo che sapeva che la parola è polivalente, che rappresenta il mistero del nostro incontrarci. Troppo spesso siamo avvolti dal silenzio. Il mondo sorge come ciò che è e come ciò che non è dal detto poetico per sperimentare il mistero della libertà assoluta nella volontà umana.


Nel libro c’è una lettera a Piera Degli Esposti e un ricordo della vostra amicizia. Sto lavorando a un testo sul valore della amicizia femminile e sul suo potenziale generativo in termini di idee, in contrasto con una visione che vuole le donne per lo più rivali tra loro, la teoria disgiunta dalleros o dalle pratiche quotidiane. Quanta forza può dare una relazione di amicizia e il confronto che da essa scaturisce alla creatività intellettuale?

Lei mi sottolinea il valore con cui caratterizzo il rapporto amicale. Per me fondante nelle relazioni autentiche. Studiando a lungo Simone Weil in tutte le sue sfaccettature ho compreso a maggior ragione l’elemento fondante dell’amicizia. Abbiamo lavorato da molti anni nel femminismo e postfemminismo sulla Relazione  fra donne ma dobbiamo oggi ritornare sulla vera coscienza del dialogo. Oggi più che mai non possiamo adoperare un linguaggio profetico dobbiamo scardinare tutte le nostre certezze e fondare la conoscenza sui valori, sulla essenza, sulla circolarità delle idee, sulla  arbitrarietà del linguaggio. La relazione fra di noi deve tornare ad essere ethos. La nostra parola oltre a vivere il dramma del nostro momento storico deve farci incontrare per far valere un testamento metodico, ritroviamo la funzione aporetica nella nuova formulazione filosofica.

Sguardi sul Novecento” è una occasione di pensare insieme. È una espressione che mi colpisce moltissimo, anche perché è un processo che tentiamo costantemente di realizzare nella nostra rivista, dando valore alla pluralità e allintreccio delle voci e dei percorsi. Potresti spiegarmi meglio lorigine e le intenzioni di questo testo?

Il testo è strutturato con una mia parte iniziale ricca di spunti da analizzare ed una coralità di testimonianze. Da sempre lavoro coinvolgendo progessioniste e professionisti del linguaggio ognuno con la sua specificità. Credo che così si stabilisca un passaggio necessario dal piano dell’affermazione individuale al confronto dialettico, inserendo nel nostro porci un dubbio una sorta di Resurrezione Ci guida la ricerca dei nostri saperi, l’amicizia e quindi la relazione fra donne che trova nel femminismo una radice ed un confronto con i nostri amici studiosi. E’ un fare ontologico penso a Platone e a Proust e allla produzione di oggetti estetici e pensieri.

Un altro elemento messo a fuoco nel saggio è il dialogo come metamorfosi. A questo proposito riprendi anche il mito di Dafne.

Tutto ciò che scriviamo rappresenta una Metamorfosi del linguaggio, è integrazione fra atto creativo e composizione. E’ come una partitura musicale.Siamo immersi in una naturalità dei segni in cui si esprime l’anima del mondo, anatomia in cui si rispecchia io straordinario gioco dei rapporti con le cose.

Nel saggio c’è uno spazio dedicato a una scrittrice che amo e di cui apprezzo molto anche le riflessioni filosofiche: Anna Maria Ortese. Qual è stato il suo incontro con lei?

Ortese è una scrittrice dal respiro europeo. Ho Scritto un libro per la Collana di Clara Sereni Anna Maria Ortese ed Ali&no Perugia e presentato alla Camera dei Deputati a Roma. Ho studiato tutti gli Archivi con il Fondo Ortesiano che sono riuscita ad arricchire con lettere date all’Archivio di Stato di Napoli dalla Emerita Profssa Margherita Pieracci Harwell che ho l’onore di conoscere da 15 anni esperta di Simone Weil e della Ortese. Il mio rapporto con la Ortese a cui ho dedicato un premio al Castello di Prata Sannita da 9 anni,  sostenuta in questa idea da Lucia Daga, è un rapporto non solo empatico ma di conoscenza approfondita delle sue  pagine e della sua individualità. Sono riuscita a far mettere a Rapallo una Targa a sua memoria e a Napoli alla Riviera di Chiaia sotto le rispettive Egide dei Comuni. La toponomastioca femminile è un altro traguardo importante per conservare la memoria. Ortese lascia a noi una azione testamentaria con il suo Corpo celeste dove c’è tutta la essenza dell’atto filosofico.

Maria Zambrano, filosofa spagnola di grande sensibilità, nota per le sue pagine su Antigone e per avere avvicinato il pensiero filosofico alla poesia viene indicata come donna – filosofa scomoda. E il libro stesso è un omaggio alle donne e al loro contributo filosofico in una trama composita che riesce a darci una visione prismatica e per questo assai stimolante. Le donne in filosofia, penso anche alle più note Weil e Arendt, sono state considerate scomode?

Nulla nell’intensa vita di Zambrano appare casuale, e tanto meno lo è la scelta di vivere proprio nella capitale italiana: Roma. È giusto specificare, a questo proposito, come la pensatrice non abbia mai separato la vicenda personale dall’impegno intellettuale: nel 1950, infatti, Zambrano sta lavorando ad un progetto derivante da studi sulla storia della religione cominciati durante l’insegnamento a L’Avana – altra tappa importante del suo lungo esilio – e che sfocerà nella sua celebre opera El hombre y lo divino,6 la cui prima pubblicazione è del 1955.
Ma perché la filosofa sceglie la città di Roma quale sede per vivere e dove produrre la sua opera più importante? Costretta a lasciare L’Avana dopo i primi sintomi della rivolta che stava per nascere, la scelta doveva evidentemente prevedere una città vicina alla Spagna, pare, per il desiderio di rimanere nei dintorni del proprio paese dove, fino a quando il dittatore Franco fosse stato al potere, non sarebbe tornata. Ma è senz’altro anche il bisogno di recuperare la propria dimensione “europea” a spingerla, dopo la parentesi messicana e cubana, per riannodare il filo con la sua storia, tragica e sofferta, ma sulla quale ha elaborato la sua intera filosofia: una storia europea, sacrificale, scenario di una sconfitta che forse può tramutarsi in rinascita. Va anche detto, però, che Roma ha sempre affascinato María Zambrano, la quale ricerca il luogo appropriato, un terreno spirituale ideale in cui le sue riflessioni – concentrate in questo periodo sul rapporto tra l’assenza e la presenza del divino in relazione alla storia umana – possano prendere corpo in vista dell’opera che sta elaborando. Zambrano non si sbaglierà, Roma diverrà per lei la città più amata al di fuori della Spagna, dove sempre vorrà tornare seppur impossibilitata a farlo. Con la vittoria di Francisco Franco, al termine della guerra civile, nel 1939, Zambrano si rifugia, come molti suoi compatrioti, in Messico, dove ha la possibilità di continuare l’attività universitaria e dove sarà nominata Professore di filosofia presso l’Università di Morelia. Nel 1940 si trasferisce a L’Avana, ma nel 1946 torna a Parigi in seguito alla notizia della morte della madre e lì si stabilisce per due anni, vivendo con la sorella Araceli di cui, da quel momento, si farà carico per tutta la vita. Dopo un primo breve soggiorno a Roma nel 1949, le sorelle tornano a L’Avana nel 1949 e, nel 1953, decidono di ripartire per Roma, dove vivranno fino al 1964. Fondamentale il vivere un tempo in Italia a contatto con intellettuali forti.
Se dovessi definire un termine specifico per il mio interesse di studiosa è proprio “l’Esilio”ed il lavoro di questa intellettuale a cui dedico molto tempo.

No Comments

Post A Comment