Leonora Carrington. Un viaggio nel Novecento. Dialogo con Giulia Ingarao

a cura di Ivana Margarese

 

La casa editrice Mimesis ha appena pubblicato la seconda edizione del tuo saggio del 2014 “Leonora Carrington. Un viaggio nel Novecento. Dal sogno surrealista alla magia del Messico” con in copertina una splendida immagine fotografica dell’artistaVorrei mi parlassi della genesi di questa tua opera e del tuo periodo di ricerca in Messico.

La mia lunga permanenza in Messico è stata un vero e proprio viaggio iniziaticopieno di segni che mi hanno portato verso Leonora Carrington: ho avuto il privilegio di conoscerla, ascoltare i suoi racconti, condividere gli spazi della sua casa. La ricerca ha guidato questo percorso di conoscenza che, iniziato vent’anni fa, resta ancora vivo, con nuove prospettive di approfondimento.
L’immagine che ho scelto per la copertina di questa seconda edizione è una fotografia scattata nel 1942 a New York da Hermann Landshoff che ritrae Leonora Carrington,nel suo appartamento di Greenwich Village, in una posa che ne restituisce la sua più intima natura: appare sfrontata ma al tempo stesso timorosa, che fuma una sigaretta e completamente a suo agio nel caos della quotidianità. In quello stesso anno Landshoff realizza il ritratto di gruppo degli esiliati a New York – che resterà storico – dove Carrington appare di tre quarti, seduta a gambe incrociate nella prima fila tra Stanley William Hayter, Friedrich Kiesler e Kurt Seligmann. Nelle file posteriori, tra gli altri, si riconoscono Max e Jimmy Ernst, Peggy Guggenheim, André Breton, Amédée Ozenfant, Fernand Léger, Marcel Duchamp e Piet Mondrian.

La permanenza a New York per Leonora Carrington è solo un momento di passaggio prima del trasferimento in Messico dove vivrà per più di Sessant’anni (fino alla morte, nel 2011). New York nel suo percorso biografico rappresenta un momento cruciale di cambiamento: sceglie di prendere le distanze dal gruppo surrealista e, insieme a Renato Leduc – diplomatico, poeta e giornalista messicano che aveva sposato a Lisbona nel 1941 , si trasferisce a Città del Messico dove matura la sua identità di artista.
Sono molto contenta di questa nuova edizione del libro Leonora Carrington un viaggio nel Novecento, nella quale ho potuto integrare tutti i nuovi aspetti che in questi anni ho continuato a studiare – scoprendo incredibilmente sempre nuove prospettive di lettura e ampliando la bibliografia che nel frattempo si è moltiplicata poiché l’interesse per Leonora Carrington è progressivamente aumentato come testimoniano le recenti acquisizioni delle sue opere da parte di collezioni pubbliche (MOMA, SFMOMA, National Galeries of Scotland, Harvard Art Museum). Questo libro è il risultato di un lavoro di ricerca molto lungo e complesso, che ho scelto di sviluppare intrecciando prospettive di studio diverse: le cornici storico-artistiche in cui si dipana la storia di Leonora Carrington e gli eventi storici del Novecento; i fatti biografici che scandiscono lo sviluppo narrativo; l’analisi delle opere letterarie e artistiche che sono strumento imprescindibile per la conoscenza dell’Artista e del suo percorso di ricerca. La mia aspirazione era quella di rendere accessibili temi complessi, impossibili da decifrare totalmente, attraverso una scrittura al tempo stesso narrativa e analitica. Una lettura che consente diversi livelli di incontro con l’Artista e il suo universo creativo: un percorso immersivo proprio per il registro narrativo che ne determina lo sviluppo e che si nutre delle opere come proiezione figurata delle diverse tappe che scandiscono il percorso conoscitivo che ha alimentato la vita e la produzione di Leonora Carrington.


Tu stessa hai incontrato Leonora Carrington
e hai trascorso del tempo con lei. Qual è il tuo personale ritratto-ricordo di questa straordinaria donna?

Ricordo Leonora Carrington soprattutto in cucina, dove amava stare, di fronte ad una tazza di tè e immersa nel fumo delle sigarette, in mezzo ai gatti e agli odori delle spezie che comprava nel mercato di Sonora (Città del Messico). I nostri incontri erano scanditi da piccoli rituali sempre identici, io portavo dei dolcetti che compravo alla Colonia Roma in una pasticceria che faceva dolci secondo lo “stile europeo” e alle 17 in punto, in compagnia della nostra amica comune, l’artista argentina Mabel Larrechart, bussavamo alla sua porta di Calle Chihuahua. Impossibile porle domande dirette, ma appena l’atmosfera si scioglieva servivano sempre alcuni minuti iniziava a raccontare, tra una cosa e l’altra, della sua amicizia con Luis Buñuel, Pablo Picasso, Leonor Fini, María Felix, Alejandro Jodorowsky, Remedios Varo, Kati Horna. Piccoli frammenti di storia che nel tempo ho ricucito insieme, avendo cura dei molti dettagli che sono sfuggiti alla copiosa letteratura critica sull’artista. Conservo queste preziose testimonianze che spesso mi tornano alla mente aprendomi finestre su nuove prospettive di ricerca; è davvero incredibile come ancora le sue parole risuonino rauche e decise nella mia mente. Oggi, vent’anni dopo questi nostri incontri, ho molti più strumenti per comprendere quello che voleva dire, raccontare, decifrare le sue battute a volte acide altre volte confuse e concilianti. Mi sono sempre pentita di non averle fatto domande più dirette, personali, ma oggi invece comprendo e assaporo la natura intima di quegli incontri dove lei si esprimeva liberamente senza l’ansia di dovere rispondere alle aspettative o alle curiosità di studiosi e conoscitori. Ho un ricordo intenso di quelle domeniche pomeriggio passate insieme a Città del Messico, in un periodo della mia vita che ha segnato tutto il successivo percorso di crescita e ricerca.


L’attuale biennale di Venezia (2022) porta il titolo di un’opera di Leonora, “Il latte dei sogni”, una raccolta di favole per bambini da lei scritte e illustrate. So che ci sei stata di recente. Vorrei conoscere le tue impressioni al riguardo.

Il titolo della cinquantanovesima Biennale di Venezia Il latte dei sogni, prende il nome della raccolta di favole per bambini scritte e illustrate da Leonora Carrington. Quasi tutti i racconti che formano parte di questa selezione furono pubblicati per la prima volta nel 1962, nella sezione Children’s Corner della rivista “S.Nob”, esperienza di condivisione creativa che viene documentata nella terza parte del mio libro.
Ho trovato molto stimolante la scelta della curatrice Cecilia Alemani e coerente il suo articolarsi nelle grandi mostre che si sviluppano tra il complesso dell’Arsenale e il Padiglione Centrale ai Giardini. L’inserimento di vere e proprie capsule del tempo(mostre tematiche con opere storiche, oggetti trovati, manufatti, documenti che creano connessioni con le opere contemporanee in mostra) all’interno del percorso espositivo, consente di riflettere sulla trasversalità dei temi, sui modelli archetipici e sull’atemporalità della ricerca artistica. Le tematiche dominanti che traggono spunto dal Latte dei sogni sono la metamorfosi, la coesistenza di dimensioni e generi diversi, la sperimentazione combinatoria e la realtà dei sogni. Sono molti gli artisti che mi hanno colpito come per esempio Tecla Tofano che espone nella prima capsula dell’Arsenale una statuetta in terracotta On the way of liberation; Myrlande Costantcon i suoi preziosi arazzi di pailletes, perline di vetro, nappe di seta su tela; Felipe Baeza e Andra Ursuta che mettono in scena (su tela e in seducenti sculture di cristallo) la magica trasformazione dei corpi; Ovartaci e le sue figure miste allungate; Delcy Morelos e il suo labirinto di odori fatto di terra, cacao, caffè: una immersione dolce nell’archetipo del mistero.

Ho trovato la Biennale ricca, narrativa e colta, piena di parentesi, di possibilità di riflessione e di nuove connessioni, coerente con il macro-tema scelto ma aperta a diversi livelli di lettura.

Nel corso della lettura del tuo saggio mi ha molto colpito il riferimento a Paolo Uccello, l’accostamento tra la sua produzione artistica e quella della Carrington. Potresti dirmi qualcosa in merito?

Sono molto contenta che tu mi ponga questa domanda. Attualmente mi sto proprio occupando di sviluppare ulteriormente questo tema di ricerca. In occasione del convegno di studi internazionale che io e le mie colleghe, Alessandra Buccheri ed Emilia Valenza, abbiamo recentemente organizzatoDalla visione al visionario: traiettorie surrealiste nell’arte, nel quale ho presentato l’intervento Leonora Carrington a Firenze: la rivelazione del “gusto dei primitivi, ho avuto modo di analizzare l’interesse di Leonora Carrington per i pittori toscani del Trecento e del Quattrocento.
La permanenza in Italia tra il 1931 e il 1932 segna profondamente l’immaginario di Carrington e ne influenza la tecnica che recupererà in Messico trovando la sua cifra stilistica che parte dal disegno. Carrington coniuga la precisione del tratto con la lucentezza dei colori di matrice fiorentina e senese -, accosta dimensioni disparate creando uno spazio molteplice dove tutto è in divenire. Nelle sue opere non c’è solo il riferimento a Paolo Uccello già riconosciuto come modello di riferimento per i surrealisti nell’Art magique di Breton ma anche a Stefano di Giovanni (Sassetta), Giovanni di Paolo, Piero della Francesca, Pietro e Ambrogio Lorenzetti, Beato Angelico, Sandro Botticelli.
Per approfondire questo aspetto è stato fondamentale il ricordo conservato in un’intervista che feci a Leonora Carrington nel 2006 per conto dell’UNAM – Universidad Nacional Autónoma de México, occasione nella quale aveva risposto ad una mia domanda sull’esercizio del disegno dichiarando l’importanza degli insegnamenti di Filippo Marfori Savini a Firenze, direttore dell’Accademia Internazionale di pittura e incisione che aveva frequentato durante la permanenza in Italia e che Leonora Carrington ricordava come il primo significativo insegnamento dell’importanza dell’uso del disegno nella pittura.


Sempre nel testo citi un libro molto caro a Leonora, “La dea bianca” di Robert Graves. Che influsso ha avuto la lettura di questo testo nell’arte di Leonora?

Gli anni Quaranta in Messico sono determinanti nell’affermazione di una ricerca individuale nell’arte di Carrington. Vive la maternità come un’esperienza illuminante, si allontana da Freud per abbracciare l’approccio archetipico proposto da Jung e in questo momento di fertilità creativa e d’analisi, risulta determinante l’incontro con il libro di Robert Graves La Dea Bianca, testo che analizza miti, riti e simbologie appartenenti all’immaginario celtico. Fu proprio la lettura del libro di Graves a riattivarle antiche e familiari conoscenze, facendole tornare in mente i racconti della nonna materna Mary Moorhead, che le narrava della loro magica discendenza da un popolo di fate irlandesi chiamato Tuatha Danann, il popolo della dea Danu.
Un punto di vista decisamente femminile che coltiva la fascinazione per un potere primitivo, dominato dalla magia e dall’urgenza evocativa dei simboli, aspetti che si ritrovano in quasi tutte le sue opere, resi palesi o come elementi da decodificare all’interno di scenari pieni dei più disparati riferimenti culturali. Una scoperta che si traduce in ossessiva ricerca iconografica per dare forma alla dea Epona, che diventa una presenza costante nella sua pittura. La signora dell’universo celtico, la dea cavalla, compare nei suoi racconti e nei dipinti all’interno di scenari alchemici complessi o inserita in contesti insoliti ricchi di elementi che appartengono al suo nuovo humus: l’altrettanto ibrido e macabro immaginario visivo messicano.


Il tema del sogno e del possibile mi sembrano essere un filo conduttore nell’arte di Carrington ma anche nel tuo sguardo e nel tuo approccio di lettura, un invito ad andare oltre, in un tempo in cui come scrive Novalis “il mondo diverrà sogno e il sogno diverrà mondo”.

Il sogno consente di vedere le cose in modo diverso da come appaiono nella realtà con dimensioni e funzioni alterate rispetto a quelle della realtà che viviamo da svegli. Sogno e mito coincidono nell’immaginario pittorico di Carrington, poiché condividono la potenza visionaria di un’immagine in continuo movimento germinativo, mai statica e sempre animata da una tensione spirituale. “Per me – spiega Carrington – i sogni posseggono alcune qualità che è fondamentale conoscere”.
Talvolta uno stesso sogno contiene messaggi molto diversi che vanno a toccare punti differenti del nostro mondo interiore. Il sogno per Carrington fa parte della quotidianità, è strumento di conoscenza. Attraverso le sue opere Leonora Carrington ribalta la visione maschile dei teorici surrealisti che identificano il sogno con il desiderio sessuale, trasformando la donna in poetica proiezione del desiderio/sogno. L’universo onirico che abita l’opera letteraria e artistica di Carrington si libera di ogni etichetta per muoversi fluidamente attraverso dimensioni diverse mescolando sogno e realtà.

“Al di là dello specchio” è l’evocativo titolo della seconda parte del tuo saggio. Cosa ti ha condotto a questa scelta?

Le vicende di Alice, che negli anni hanno affascinato surrealisti e femministe, spiega Georgiana M. M. Colvile, si basano sul racconto di viaggi onirici che una bambina compie in compagnia di animali-guida: il Coniglio Bianco che la conduce sottoterra verso il Paese delle Meraviglie e il sogno metamorfico del gatto nero che la aiuta ad attraversare lo specchio nei due sensi. In questi strani posti dell’immaginazione, gli umani, gli animali domestici e le creature straordinarie interagiscono nel modo più naturale possibile (Cfr. G. M. M. Colvile, Beauty and/is the Beast: Animal Symbologyin the Work of Leonora Carrington, Remedios Varo and Leonor Fini, 1991). L’identificazione con l’Alice di Lewis Carrol riguarda più livelli, l’interesse dei surrealisti francesi per l’humor nero inglese, le avventure meravigliose di Alice, inglese come Leonora Carrington, e il fatto che entrambe incarnino uno dei due archetipi del femminile surrealista, la femme-enfant. “Al di là dello specchio” è il titolo della seconda parte del libro, ambientata nella metà degli anni Trenta, quando Leonora Carrington, dopo una giovinezza tormentata e ribelle, incontra il Surrealismo e trova un mondo finalmente – e apparentemente – a sua misura: «Al “cadere” tra loro, come una novella Alice appena sfuggita alla dittatoriale Regina di cuori, i nostri poeti conferiscono al suo mondo personale la dignità della poesia, elevano i suoi sogni e le sue memorie ad espressione artistica» (L. Andrade, Leonora Carrington: magia, niebla y surrealismo, 1994).

Kati Horna, “Oda a la necrofilia”, fetiche de S.nob /n.1, serie fotografica con Leonora Carrington, México 1962©️ 2005 ANA MARÍA NORAH HORNA Y FERNÁNDEZ. ARCHIVO PRIVADO DE FOTO Y GRÁFICA KATI Y JOSÉ HORNA, A.C

In conclusione, ti faccio una domanda sull’amicizia e sugli incontri tra donne, portatrici a mio avviso anche di un nuovo stile di pensiero capace di generare attraverso le relazioni. Quanto significato hanno avuto gli scambi con altre artiste – penso ad esempio a Remedios Varo e Leonor Fini – nel lavoro di Leonora Carrington?

L’incontro prima con Leonor Fini a Parigi e poi in Messico con Remedios Varo e Kati Horna ha senza dubbio stimolato e alimentato, attraverso uno scambio intimo e creativo, il percorso di crescita personale di Leonora Carrington.
Leonor Fini, di dieci anni più grande, rappresenta per lei un modello di donna libera, disinibita e sarà per Carrington un conforto scriverle durante l’internamento di Max Ernst nella primavera del 1940. Remedios Varo e Kati Horna formano parte della colonia surrealista che si costituisce in Messico all’indomani della Seconda guerra mondiale. Carrington stabilisce con entrambe un’amicizia profonda di condivisone creativa che verrà documentata da Octavio Paz («Vi sono in Messico due streghe stregate» scriverà a proposito dell’amicizia tra Remedios Varo e a Leonora Carrington) e testimoniata dall’amico di famiglia Miguel Escobedo e da Norah Hornafiglia di Kati e dello scultore spagnolo José Horna -, ho avuto modo di conoscere e intervistare entrambi durante la mia permanenza in Messico.

L’universo al femminile è il luogo più intimo delle quotidianità di Carrington e si rispecchia nelle sue opere dove un gruppo di tre o quattro donne costituisce una presenza costante: appaiono spesso riunite in ambienti familiari o raccolti (all’interno di pareti domestiche o di giardini chiusi da siepi o pareti), per portare a compimento magiche trasformazioni che consentono di attraversare dimensioni e di attuare un processo metamorfico spesso assimilabile alle diverse fasi della grande opera alchemica – altro interesse dominante nel percorso conoscitivo dell’Artista.

Giulia Ingarao accanto alla porta del bagno decorata da  Leonora Carrington, Saint-Martin d’Ardèche, 1939.

 


Biografia 

Giulia Ingarao insegna Storia dell’arte contemporanea all’Accademia di Belle Arti di Palermo. È specializzata in Storia dell’arte all’Universidad Nacional Autónoma de México. Il Surrealismo e gli studi di genere costituiscono i suoi principali interessi di ricerca. Dal 2015 è direttore artistico di Ruber.contemporanea e ha curato mostre di artisti emergenti e storicizzati. Ha pubblicato numerosi saggi e articoli, molti dei quali sulla diaspora surrealista in Messico, tra questi: La madre e il suo doppio: iconografia del femminile nell’immaginario surrealista (Mimesis, 2017); Leonora Carrington. From Europe to Mexico (IMMA, 2013); El taller creativo en México de los cuerenta: Leonora Carrington y la colonia surrealista (Meidenbauer, 2011). È autrice nel 2014 della prima monografia italiana su Leonora Carrington (Leonora Carrington un viaggio nel Novecento, Mimesis), pubblicata in seconda edizione nel 2022 in italiano e in inglese (Leonora Carrington. The Image of Dreams, Mimesis International).

Giulia Ingarao lectures in History of Modern and Contemporary Art at the Accademia di Belle Arti di Palermo. She completed her postgraduate studies in Art History at UNAM, Mexico. Her principal areas of research are Surrealism and Gender Studies. Since 2015 she has been Artistic Director of Palermo’s ruber.contemporanea and she has curated numerous exhibitions. She has published many essays and articles concerning the Surrealist diaspora in Mexico, including: ‘La madre e il suo doppio: Iconografia del femminile nell’immaginario surrealista’ (Mimesis, 2017); ‘Leonora Carrington.From Europe to Mexico’ (IMMA, 2013); ‘El taller creativo en México de los cuerenta: Leonora Carrington y la colonia surrealista’ (Meidenbauer, 2011). She is the author of the definitive Italian monograph on Leonora Carrington (Leonora Carrington un viaggio nel Novecento, Mimesis, 2014), of which the second edition was recently published in Italian and English (Leonora Carrington: The Image of Dreams, Mimesis International, 2022).

 

No Comments

Post A Comment