“Intimo paradiso”. Dialogo con Angelo Di Garbo e Domenico Conoscenti

a cura di Ivana Margarese

 

C’è un legame sottile fra le parole e le immagini, in “Intimo Paradiso” le fotografie di Angelo Di Garbo dialogano con i versi dello scrittore Domenico Conoscenti, dando vita a un connubio suggestivo che porta il lettore in una dimensione quasi mistica.
Ad aiutare il viaggio di scoperta è il bilinguismo del testo, tradotto in francese da Francesca Gambino.
Originale è il fatto che le immagini traggano spunto dall’osservazione delle “punzonature” che si trovano negli sfondi dorati delle tavole medievali: quadri di luci e ombre in cui ognuno vede ciò che lo ispira, appunto il suo “intimo paradiso”.

Intimo paradiso è un libro foto-poetico, come nasce questa vostra collaborazione?

 

[Angelo Di Garbo] Intimo Paradiso nasce dall’attenta osservazione di alcuni segni decorativi presenti nelle tavole medievali. Le textures incise sugli sfondi dorati (punzonature) determinano degli effetti chiaroscurali calamitanti che avvicinano lo sguardo del fedele al mondo del sacro. Gli stessi disegni decontestualizzati si ritrovano negli indumenti intimi femminili, utili ad animare percezioni estatiche diverse: mi sono chiesto pertanto quale fosse il limite tra i segni del sacro e quelli del profano. Da qui, prendendo in prestito la loro valenza grafica, ho eseguito degli scatti fotografici in controluce che hanno messo in relazione la sacralità del corpo e quella dello spirito. Le ambiguità delle immagini caricate d’energia luminosa si aprono a visioni altre, facendo riaffiorare alla memoria di volta in volta frammenti decorativi legati alla pittura vascolare greca, ai primitivi tracciati della Palermo punico-fenicia, all’improbabile rosone romanico, ai frattalici paesaggi che strizzano l’occhio alla luna e al ritratto metafisico femminile. L’Arte colta diventa così Arte di massa, patrimonio estetico comune, grazie alle trame chiaroscurate che lasciano percepire leggere superfici puntinate e segni incrociati in continuo movimento, pronti a organizzare l’ingannevole “fluttuare di veli visivi”. Anche per questo progetto fotografico ho cercato la relazione con un poeta. La scelta di un italiano, dopo i precedenti spagnoli e tedeschi, era dovuta, e l’attenzione è caduta sulle suggestioni poetico narrative di Domenico Conoscenti. Compagno di strada di vecchia data, ho voluto riprendere il nostro cammino proponendogli questa avventura.

Le immagini fotografiche nella loro alternanza di vuoti e pieni, nei trafori sottili, nelle trasparenze evocano un sentimento del segreto e del sacro. Mi viene in mente il nome [titolo?] di un libro di Jacques Derrida “Il gusto del segreto” e vi chiedo quanto sia stato importante in questo vostro lavoro.

[Domenico Conoscenti] Il nero dello sfondo mi è apparso da subito il corrispettivo di un caos metamorfico da cui emergono figure che nascondono la propria materialità e intellegibilità per diventare quello che lo sguardo dell’osservatore riesce a scorgervi nella discontinuità del tempo, nella compresenza di sfida e cautela che “il gusto del segreto” implica. Tentando di trasformare in parole il loro effetto su di me, ho lasciato che si succedessero associazioni di echi emotivi e testuali, riflessione, ironia, struggimento e amarezza, a volte senza connessioni visibili, e comunque diverse dalle letture-scritture antecedenti (l’arco di composizione e revisione dei testi, per quanto frammentato, si estende per cinque anni). Ho accettato che tutto ciò confluisse inevitabilmente in un prodotto finale (che ad un certo punto è dovuto diventare tale), senza per questo riuscire definitivo o comprensibile per intero a me stesso, includendo qualche ombra o grumo di non-detto. Se un’unica volta ho suggerito che lo sguardo di chi scrive “io” in quel testo potesse essere quello di un uomo omosessuale, è stato per aggiungere un surplus di ambivalenza o ambiguità al fondale invisibile di tutti i testi, non solo di quelli che si portano un’aura di virtuale erotismo.

[A.D.G.] Per rispondere a questa domanda è necessario partire dal titolo del progetto fotografico. Intimo Paradiso è un titolo volutamente ambiguo, aperto a molteplici significati. L’aggettivo Intimo mi ha permesso da subito di riflettere sul mio mondo interiore. Il sostantivo Paradiso mi rimanda al processo della creazione di una immagine  che  di volta in volta mi carica di un piacere segreto. Non è un caso che  i miei progetti foto poetici hanno un formato quadrato, una sorta di Hortus conclusus nel quale le fotografie si presentano allo sguardo esterno. In particolare il taglio compositivo di Intimo Paradiso riprende il formato della vecchia pellicola analogica. All’interno di questo campo buio affiorano con un tempo lento segni diversificati costituiti da punti, rette, leggere circonvoluzioni. È un invito ad andare dentro, per seguire un percorso visivo che può portare dappertutto o forse da nessuna parte. Ciò che si percepisce con lo sguardo non è il tutto, molto viene celato e custodito tra le “pieghe schermo” della lingerie. Ogni scatto che ho fatto ha un’anima che cattura lo sguardo altrui senza svelare la propria.

“Possa tutto mutare e non mutarci” recita la Preghiera al caso di Wilcock. Il paradiso è un’aspirazione all’eterno?

 

[D.C.] Ad estendere la personale accezione data da Angelo Di Garbo al sostantivo del titolo, aggiungerei che il Paradiso come tema del libro lo è in maniera obliqua e discontinua, sia nel rapporto dialettico fra immagine e parola, sia, per quanto mi riguarda, all’interno dei testi. Mi accorgo di non avere mai adoperato il termine (se non come diretta allusione – puramente letteraria – in una sola poesia), avendogli preferito, ove necessario, Eden e Hortus conclusus. Il senso, la necessità quasi di un paradiso tuttavia riemerge senza un nome qui e là in quanto condizione perduta, presente ormai solo come asciutto residuo, rimpianto, puntiforme nostalgia. Venendo alla domanda, rispondo che sì, lo è. A patto di una precisazione. L’incipit di Preghiera al caso di Wilcock chiude in Intimo Paradiso [p. 36] una sequenza di tre versi che sono varianti di affermazioni-luoghi comuni, slittamenti successivi, mutazioni quindi, a loro volta centrate sul verbo mutare. L’aspirazione al prolungamento infinito dello stato di felicità – a questo si riferisce la preghiera di Wilcock – può coincidere bene, quindi, con l’aspirazione al Paradiso, o all’Eden (termine che, in un testo precedente [p. 26] appariva in antitesi al mutamento: vortice infinito di orrori della storia).

I testi rispondono alle sollecitazioni delle immagini e alla loro indagine sulla relazione tra la sacralità del corpo e quella dello spirito. Qual è stato il vostro metodo di lavoro?

 [D.C.] Ero stato messo al corrente da Angelo Di Garbo del suo progetto prima che mi mostrasse le foto (in origine molte di più di quelle selezionate) e non posso negare che questo abbia… indirizzato all’inizio la mia percezione. Ho capito in seguito che Angelo svolgeva anche un’esplorazione estetica dei giochi di forme, luci e ombre che quegli oggetti mimeticamente interpretavano sotto il suo sguardo e mi sono sentito libero di partecipare al progetto a modo mio. È curioso esserci autonomamente ritrovati a convergere su alcuni aspetti (lo sguardo, l’apparire, l’illusione…) senza averne parlato. Il gusto del segreto è stato condiviso sia nelle foto che nei testi, potenziando nel loro accostamento i rimandi reciproci, antitetici o latenti di immagini e parole. A questo bisogna aggiungere un ulteriore livello di confronto-scontro col “diverso” dato dalla traduzione di Francesca Gambino, che non può essere considerata una pura riproposizione in francese del testo esistente, sia a livello di forma sonora e ritmica che di scelte lessicali e sfumature di significato.

[A.D.G.] Sentivo, come nelle precedenti pubblicazioni bilingue, l’esigenza di completare questa riflessione visiva sulla sacralità del corpo e quella dello spirito arricchendola con l’ausilio di una narrazione poetica. L’originalità del progetto ha incuriosito Domenico ed ha preso maggiore corpo grazie alla libertà dei suoi versi che di volta in volta venivano letti e confrontati con l’immagine scelta. L’interazione tra i due linguaggi in tal modo ha dilatato e arricchito di sensi plurimi l’immaginario fotografico e poetico, con in più il fascino delle diverse sonorità dell’italiano e del francese. L’arco dei cinque anni in cui ci siamo confrontati, prima che il libro andasse definitivamente in stampa, ha visto nella parte finale la collaborazione decisiva di Antonio Guarneri, il graphic desiner che ha curato l’impianto grafico-progettuale del libro.

 

 

 

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