Capitano Ulisse di Alberto Savinio

Dialogo con Andrea Martella a cura di Ivana Margarese

Immagini tratte dalle opere di Alberto Savinio

 

 

 

«Capitano Ulisse» è un dramma scritto da Alberto Savinio, nel 1925 per l’effimero Teatro d’Arte di Pirandello e rappresentato per la prima volta solo nel 1938. Da allora fino a oggi questo testo, beffardo e ricco di provocazioni avanguardiste, ha avuto una storia difficile ed è stato a lungo quasi dimenticato. Eppure Savinio rivendicava la necessità di sottoporre Ulisse a «quell’apparecchio di apparenza frivola e di pessima riputazione» che è il teatro.
Alberto Savinio  scrive a tale proposito in un articolo su «La Nazione» del 24 agosto 1933:

Quando arrivammo, Ulisse e io, il teatro da un pezzo aveva dimesso ogni attività, e come ci disse il pompiere di servizio, stava per essere trasformato in museo. Infatti, la democrazia ha trascinato il teatro nella sua propria rovina. Questa fine c’era da aspettarsela. Prima di tutto, la democrazia ha voluto che il teatro somigliasse a lei, mostrasse una cera da itterico e una faccia sparuta. La ragione intima del teatro, l’utilità di questo apparecchio di apparenza frivola e di pessima riputazione, la necessità di questo strumento brillante, la funzione di questo prisma essa non era mai riuscita a capirla […].

Qui il teatro «democratico» è messo in relazione con il «teatro borghese», ovvero con quel tipo di teatro che, illudendosi di rappresentare la realtà così com’è, viene meno all’idea saviniana di arte drammatica, per cui sulla scena si dovrebbe rappresentare, in senso catartico, l’evocazione della vita come come dovrebbe essere.
La scrittura originale e spesso incompresa di Savinio, il suo stile singolare e la personalità in incessante movimento trovano espressione in queste parole contenute in Romantica, articolo per «La Nazione» del 23 ottobre 1934:

Questo parlare scherzoso; questo trattare con ironia talvolta anche le cose, gli uomini più augusti, è forse la più sincera forma di amore, la più preziosa, la più velata pudicizia […] Amando una cosa la facciamo nostra, la pensiamo come nostra […] Le cose che amiamo cerchiamo di renderle figlie nostre e le trattiamo come tali. Ma non tutti capiscono questi segreti sentimenti, e vedono irriverenza, offesa, là dove non è che amore. E si arrabbiano, e si fanno paladini dell’offesa grandezza. Che inutile furore!

Andrea Martella raccoglie la sfida di Savinio e mette in scena, al Teatro Trastevere di Roma, Ulisse e il suo mondo mitico, ripensandolo in una nuova chiave interpretativa. D’altronde la natura del mito è di essere generativa e affidarsi a molteplici riletture e riscritture.



Capitano
Ulisse ( 1925) di Alberto Savinio è lo spettacolo che porterai in scena dal 6 al 10 aprile 2022 al Teatro Trastevere. Cosa ti ha condotto a questa scelta?

Innanzitutto è il terzo spettacolo di un progetto chiamato “Trilogia dell’avanguardia” col quale la compagnia Hangar Duchamp ha iniziato la sua attività, quindi la scelta va inquadrata in quest’ambito. Abbiamo iniziato con un testo dadaista, “Il cuore a gas” di Tristan Tzara, proseguito con il dramma surrealista “Le mammelle di Tiresia” di Apollinaire ed ora è il momento della metafisica con questo lavoro di Alberto Savinio. Mi piace il fattoche sia un’opera considerata minore nella produzione di questo autore, un intellettuale trasversale del novecento, artista visivo e fratello di Giorgio De Chirico, oltre che scrittore, insomma un personaggio pieno di stratificazioni e livelli. Mi piace anche la casualità che sia un’opera poco rappresentata e poco conosciuta, il legame con l’arte e, non da ultimo, il fatto che da subito ho intravisto la possibilità di far vivere quelle parole nel modo che all’Hangar amiamo fare, quindi partendo dall’azione prima che dalla psicologia.

La lettura di Savinio si discosta dalla tradizionale visione di Ulisse come eroe della conoscenza, come incarnazione di intelligenza e acume, e ce ne mostra il lato umano e le difficoltà relazionali e sentimentali. Ulisse è un uomo sfinito, svuotato, un anti-eroe che non è in grado di prendere in mano la sua vita, diviso com’è nel rapporto con tre donne che sembrano a lui la stessa persona. Ulisse diviene in un certo qual modo un narcisista anaffettivo incapace di un reale incontro con l’Altro.
Questa interpretazione restituisce complessità al personaggio. Quali sono state le tue scelte di regia confrontandoti con questo testo?


Questo Ulisse ha una gran confusione in testa, il ricordo delle sue relazioni è sfumato, non c’è coscienza della natura stessa dei sentimenti provati. Sembra che le tre donne che hanno fatto parte della sua vita siano imprigionate nella sua testa sotto forma di ricordi distorti e malati. Per questo ho deciso di ambientare l’azione dentro il cervello di quest’uomo malato, rappresentato come un carcere di massima sicurezza. Quelli che vediamo non sono i personaggi reali della vicenda, ma ricordi, idee, nostalgie, incubi. Questa è stata la scelta di regia che ha poi guidato tutto il lavoro successivo.

Mi piacerebbe mi parlassi delle figure femminili in scena. Ci sono somiglianze tra loro?

Savinio nell’introduzione al suo testo le descrive come totalmente distanti e lo sono, in effetti. Questo rende, chiaramente, ancora più evidente la sconnessione con la realtà di questo Ulisse non Ulisse che invece le confonde come fossero la stessa persona. In questa interpretazione, chiaramente, trattandosi di prigioniere, di persone trattenute in stato di detenzione, sembra esserci una sorta di comunione e di solidarietà tra loro. Circe, Calipso e Penelope sono qui, in fondo, tre facce della stessa determinazione. Sono tre donne provate che combattono per la loro libertà. Il fatto che, appunto, nella nostra versione siano idee non toglie nulla alla loro forza. Anche la dea Minerva è in questo caso un’idea distorta, anche se sembra una carceriera in realtà e lei stessa prigioniera in questo caos violento e squilibrato.


Qual è a tuo parere l’attualità di questo testo?

Credo che, molto banalmente, sia sempre e solo una questione di amore. Savinio ha preso un personaggio notissimo e gli ha tolto la consapevolezza dell’amore per Penelope. Questo semplice taglio nella sua storia, ci fa vedere un eroe che non è più un eroe, un capitano che non comanda più nemmeno se stesso. Non penso ci sia un’epoca per ricordarci che quando smettiamo di avere empatia verso il resto del mondo ci mettiamo su una strada che porta alla rovina. L’amore è l’azione più rivoluzionaria e contemporanea che esista.

Biografia

Andrea Martella fonda la compagnia Hangar Duchamp nel 2018 con l’idea di costruire spettacoli attraverso un approccio alla recitazione più fisico che psicologico.
E’ attualmente direttore artistico dei laboratori del Teatro 7 Off.
Scrive sul blog dell’HuffPost Italia, dove si occupa con uno sguardo trasversale e spesso scanzonato, di arte contemporanea.

 

 

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