Leonora Carrington: “Giù in fondo”

 

di Ivana Margarese

 

down that secret fantastic hole  […]
I shall die and fall down surely

Amelia Rosselli, My  Clothes to the Wind

 

 

Ciò che colpisce accostandosi alla figura di Leonora Carrington è la sua straordinaria capacità di metamorfosi, la sua identità sempre in continua trasformazione, il suo raccontare attraverso la vita e l’arte il passaggio, la scoperta e il cambiamento.
En Bas (1944) – tradotto in Italia con il titolo Giù in fondo ( Adelphi, 1979) – di Leonora Carrington è un breve e intenso racconto autobiografico. L’autrice ricorda i mesi trascorsi nel sanatorio del dottor Morales a Santander, dopo la fuga dalla casa di Saint-Martin d’Ardèche, nei pressi di Avignone in Francia.
Dopo il secondo arresto di Max Ernst, Carrington vive in uno stato di disordine, mangia poco, beve alcol, si provoca vomito per stordirsi, lavora incessantemente: “più sudavo più ero contenta, perché così mi purificavo”. Vive un crollo, una caduta nel vuoto.

Catherine, amica inglese di Leonora, preoccupata per il suo stato di salute, insiste per portarla con sé in Spagna e lei acconsente sia perché la Spagna rappresenta nella sua mente un luogo di evoluzione e di scoperte, sia perché vorrebbe far visitare Madrid al passaporto di Ernst. Quasi fosse ancora bambina e credesse all’anima delle cose, Leonora vive un legame magico con questo oggetto capace di farla sentire ancora unita a Max Ernst.
Ribelle sin da piccola, incapace di conformarsi agli obblighi dell’alta società alla quale apparteneva, la Carrington racconta ampiamente nei suoi testi letterari il difficile rapporto col padre, censorio e anaffettivo, le mattine trascorse in solitudine durante l’infanzia nella grande casa inglese di famiglia. La storia d’amore con Max Ernst è una storia intensa, totalizzante. Lei è ancora molto giovane e attraverso di lui conosce il gruppo dei surrealisti, ne entra a far parte, condivide con loro visioni ed entusiasmi. Ernst di circa vent’anni più grande di lei lascia la moglie per andare a vivere con Leonora nella grande casa francese, che diviene un luogo per entrambi di sperimentazione artistica, oltre che di vita insieme.

Leonora dunque si lascia convincere ad abbandonare la casa, che vende a poco prezzo quasi subito, nel tentativo di cancellare in fretta il passato, ma attraversato il confine spagnolo l’artista, per volere dei suoi genitori, viene con l’inganno rinchiusa in manicomio.
Pochi anni dopo quella esperienza la Carrington, sollecitata dall’amico Breton, scrive  questo testo anche come esercizio di metabolizzazione del passato.

Mi sono messa, da una settimana, a raccogliere le fila che avrebbero potuto farmi traversare la prima frontiera della conoscenza. Bisogna che riviva quell’esperienza, perché credo che facendolo ti sarò utile, e credo che anche tu mi aiuterai a viaggiare aldilà di questa frontiera conservandomi lucida e permettendomi di mettere e togliere a piacere la maschera che mi proteggerà contro l’ostilità del conformismo.

En Bas, dichiara Breton, è il racconto di «uno di quei viaggi da cui si hanno poche probabilità di tornare», documentato con «precisione sconvolgente».
Questa esperienza si rivela centrale nell’opera e nel pensiero dell’artista, che non soltanto non dimenticherà mai il vissuto doloroso e straniante di quei giorni, ma ne farà linfa e nutrimento per il suo lavoro e le sue riflessioni personali. È innanzitutto il contatto col tempo che passa, con i limiti del corpo e con la sua vulnerabilità, che Leonora sperimenta in questo periodo oscuro:

Prima di addentrarmi nei fatti di questa esperienza, tengo a dire che la sentenza pronunciata allora contro di me dalla società fu probabilmente, anzi certamente, un bene perché ignoravo l’importanza della salute, cioè la necessità assoluta di avere un corpo sano per evitare il disastro nella liberazione dello spirito.

La lenta e violenta privazione della libertà fisica si riflette nella mente fino a condurla a uno stato di abbandono quasi totale, di perdita di ogni volontà. La Carrington che agli inizi della detenzione era fortemente ribelle, perde lentamente ogni resistenza. Un incontro diretto con l’orrore, con lo sguardo di Medusa, che spegne in lei ogni slancio vitale. In una attenta riflessione sul concetto di violenza, contenuta nel saggio L’Illiade o il poema della forza, Simone Weil osserva:

(La forza) muta l’uomo in pietra. Dal potere di trasformare un uomo in cosa, facendolo morire, deriva un altro potere, altrimenti prodigioso: quello di trasformare in cosa un uomo che pur è vivo. Egli è vivo, ha un’anima, tuttavia è una cosa. Un essere ben strano: una cosa che ha un’anima; che strana condizione per l’anima. Chi potrà dire quanto ci metterà ad adattarvisi in ogni istante, a torcersi e ripiegarsi su sé stessa? Essa non è fatta per abitare una cosa; quando vi è obbligata non v’è più nulla in essa che non patisca violenza.

Legata al letto con cinghie di cuoio, Leonora è immobile: “non so per quanti giorni rimasi legata e nuda. Molti giorni e molte notti, sdraiata nelle mie stesse lordure, urina e sudore; ero tormentata dalle zanzare che con le loro punture rendevano orrendo il mio corpo”. Sottoposta a iniezioni di Cardiazol che le provocano crisi epilettiche, la donna subisce una progressiva demolizione. Nella lettera all’editore, che introduce il testo, Leonora Carrington dichiara, con la sua solita ironia e schiettezza, di essere molto cambiata rispetto a quel tempo, di non essere più l’incantevole ragazza innamorata passata da Parigi: “Non sarò mai pietrificata in una giovinezza che non esiste più – Accetto l’Onorevole Decrepita attuale – quello che ho da dire ora è senza veli quanto è possibile – Vedere attraverso Il mostro – Lei lo capisce questo? No? Pazienza. In ogni modo faccia quello che vuole con questo fantasma – a condizione che pubblicherà questa lettera come prefazione”.

Come nel caso delle figure dei suoi racconti, anche in questo scritto autobiografico prendono forma alcuni personaggi, con caratteri al contempo riconoscibili e misteriosi. L’impassibile infermiera tedesca Frau Asegurada, il custode José, don Luis Morales e suo padre Mariano. Leonora Carrington vuole raccontare questa storia fino in fondo per liberarsi dall’angoscia e nel farlo intreccia, con buona pace della filosofia di Pascal, la ragione con le ragioni del cuore restituendoci una narrazione onirica e al contempo lucida di quegli avvenimenti. I Morales, padre e figlio, vengono trasfigurati e divengono simili a potenti maghi, dominatori che seminano orrore e spavento, contro cui bisognava opporre resistenza:

Mi sembrava che lo spirito di Don Louis mi possedesse, che il suo dominio si gonfiasse dentro di me come un gigantesco pneumatico e sentivo il suo vasto immenso desiderio di SCHIACCIARE l’universo. Questa sensazione penetrava in me come un corpo estraneo producendo una tortura indicibile.

E ancora descrivendo gli effetti del Cardiazol, lo stato di totale prostrazione che le induceva, scrive:

Ammisi che un essere abbastanza potente da provocare una tortura simile era più forte di me. Riconobbi la mia sconfitta e quella del mondo insieme con me, senza nessuna speranza di liberazione. Ero dominata, pronta a diventare la schiava del primo venuto, pronta a morire, che mi portava? Quando Don Louis venne a trovarmi, più tardi, gli dissi che ero l’essere più debole del mondo intero, che mi piegavo ai suoi desideri quali che fossero.

Anche don Mariano, piccolo e vecchio, viene descritto come un padrone, un uomo che conosce solamente le leggi del potere e del dominio, incapace di avere accesso ad altri linguaggi: “facevano di me quello che volevano e ubbidivo come una bestia da soma”. Gli animali sono tuttavia anche messaggeri di un ordine naturale e vitale: il  rumore dei cavalli al passo riconduce Leonora a un sentimento di nostalgia per ciò che è stata, alla voglia di fuggire. Leonora Carrington annota anche un sogno in cui lei stessa assume la forma di un cavallino bianco, un puledro che finisce per rotolare fino in fondo agonizzante. Scrive la poetessa Amelia Rosselli nella Libellula:

E il delirio mi prese di nuovo, mi trasformò

Stancata e ebete in un largo pozzo di paura,

mi chiamò coi suoi stendardi bianchi e violenti,

mi spinse alla porta della follia […]

Mi stese dispettosa a terra: incapace di muovere,

stanca all’alba, incapace la sera: e l’agonia

sempre più viva.

Le immagini del testo di Rosselli e le descrizioni di Leonora Carrington sono di una notevole vicinanza tanto che ad accostarle si rinforzano a vicenda.
En Bas
 affida la sua conclusione alla figura gentile di un ometto dal viso grigio, Etchevvaria, a cui Leonora confida il suo legame con gli animali e con cui chiacchiera sostituendo man mano a un regime di paura una ricerca del desiderio:

“Il potere sugli animali è una cosa naturale in una persona sensibile come lei”… Venni così a sapere che il Cardiazol era una semplice iniezione e non un effetto dell’ipnotismo, che Don Louis non era un mago ma un bandito, che Covadonga, l’Egitto, Amachu, la Cina erano reparti dove sicura vano i pazzi e che dovevo andarmene al più presto. Disoccultò  il mistero che mi avvolgeva e che gli altri se ti sembravano infittire di proposito attorno a me […] Dopo lunghe conversazioni sul desiderio, mi consigliò di fare l’amore con José. Cessai allora di interessarmi a Don Louis e mi misi a desiderare José […] José mi voleva molto bene. Mi colmava di sigarette e… Pianse quando me ne andai.

In risposta all’inchiesta sull’arte magica condotta da Breton nel 1957, Leonora scrive:

“Bisogna avere il coraggio di rompere il cubo ordinato delle idee, di precipitarsi verso la confusione primordiale dove il leone d’oro guarda con i suoi occhi tondi, nella profondità del loto, l’unicorno dalla groppa di latte, bagnato dalle lacrime ristoratrici della luna, il neonato che fuma solo mummie regali sotto forma di lunghe sigarette profumate”.

L’artista vuole sollevare “le gonne di Venere e Medusa” e continuare a trasformarsi, a sfidare ciò che è granitico e chiuso in un tempo bloccato, per rimettere in gioco, creare una possibilità di riscatto, riaffermare un progetto di vita.
Scrive ancora Amelia Rosselli – legando insieme eventi non collegabili fra loro, né cronologicamente, né logicamente – in versi che probabilmente avrebbero avuto risonanza in Leonora Carrington:

Dopo dell’aria che

scendeva delicata attorno al suo corpo immenso, nacque

la figliola con il cuore devastato, nacque la pena degli uccelli,

nacque il desiderio e l’infinito che non si ritrova se

si perde.

Bibliografia 

Leonora Carrington, Giù in fondo, Adelphi 1979.

Giulia Ingarao, Un viaggio nel Novecento. Dal sogno surrealista alla magia del Messico, Milano, Mimesis, 2014.

Amelia Rosselli, Variazioni belliche, in Le poesie, a cura di E. Tandello, Garzanti, Milano 1997.

Simone Weil, L’Illiade o il poema della forza, Asterios edizioni, Trieste 2012.

No Comments

Post A Comment