La leggenda degli spiriti di Bellavista 

racconto di Emmanuel Di Tommaso

C’era una volta la Piana di Bellavista, il paesaggio naturale più bello che Dio avesse mai creato: sembrava un olio su tela di Giorgio Morandi, con quella luce fosca che pare riempire l’aria di spettri e di turbamento, e le colline dipinte di verde, di giallo, di rosso, finanche di viola, e attorno solo roccia impervia di catene montuose che sorgono dal nulla, e nel cielo le grida delle aquile a tracciare il confine di una parte di mondo incontaminata. Quel paesaggio compariva davanti al Paese di Bellavista, un terso agglomerato di casupole dai mattoni rossi o bianchi e dai tetti spioventi. Gli abitanti di Bellavista adoravano profondamente quel paesaggio, che attirava un numero di turisti sufficiente a garantire un minimo di attività imprenditoriali, senza che ciò deturpasse la vita placida del Paese. Ma si sa che ciò Dio crea, l’uomo distrugge, e così entrò in scena la Eden spa, una società per azioni con sede legale ad Amsterdam, sede operativa a Milano, e di proprietà di un fondo di investimento cinese, così che quando bisognava riferirsi a quelli della Eden, non si sapeva mai se chiamarli olandesi, italiani o cinesi. La Eden lavorava nel settore della produzione di energia, e riuscì a farsi approvare dal governo un progetto per costruire una centrale termo-nucleare di nuova tecnologia 2.0 proprio nella Piana di Bellavista, dove le condizioni climatiche e l’enorme spazio a disposizione erano ideali per un simile progetto. Secondo il piano imprenditoriale della Eden, esposto nel corso di una conferenza stampa internazionale tenuta da Adam Kassel, l’amministratore delegato responsabile del progetto, la centrale termo-nucleare di Bellavista avrebbe aumentato le opportunità lavorative di quella comunità montana così emarginata, contribuendo inoltre in maniera essenziale al fabbisogno energetico nazionale. Gli abitanti del luogo non la presero bene: non si sentivano tranquilli ad avere lì una centrale nucleare che di fatto avrebbe distrutto la bellezza del paesaggio e con essa ogni possibile forma di turismo.

La Sindaca di Bellavista, una giovane avvocatessa che aveva rinunciato alla carriera per rimanere fedele alle sue radici, le provò tutte per risolvere quella faccenda, che aveva a che fare in ultima istanza con la scelta impossibile fra benessere e natura da un lato, e lavoro dall’altro. Non sapendo più cos’altro fare per salvare la sua terra, si rivolse a Donna Teresa, l’abitante più anziana di Bellavista, nonché fattucchiera che si diceva avesse il potere di comunicare con gli spiriti e di agire nell’occulto. La Sindaca fece visita alla modesta casa in legno di Donna Teresa e, dopo averle spiegato la situazione, invocò il suo aiuto. Donna Teresa chiese allora alla Sindaca di sedersi al focolare e di rimanere in silenzio; poi bruciò in un tegame alcuni rami e piante provenienti dal bosco di Bellavista, pronunciando alcune frasi in dialetto stretto. Il rito durò un paio di minuti. La fattucchiera soffiò infine sui rami e sulle piante per spegnere le fiamme e disse alla Sindaca che gli spiriti protettori della Piana di Bellavista erano stati risvegliati e che d’ora in avanti non c’era più nulla di cui preoccuparsi: sarebbero intervenuti loro per risolvere il problema. In quel preciso istante, nella dimensione ultraterrena, Dio avvertì l’odore dei rami e delle piante bruciate e ascoltò l’invocazione di Donna Teresa. A quel punto chiamò San Pietro e gli chiese di convocare gli spiriti della Piana di Bellavista. San Pietro tornò nel giro di mezz’ora accompagnato da due spiriti: si trattava di Franco Olivo, il primo contadino che aveva coltivato nella Piana, e di Assunta Greco, la prima donna che aveva vissuto a Bellavista e dal cui ventre erano nati gli avi degli attuali abitanti del Paese. San Pietro spiegò poi a Dio che mancava un terzo spirito che si trovava all’Inferno, condannato all’eterno dolore. Avere un’estradizione temporanea di quello spirito avrebbe richiesto molto tempo e burocrazia, spiegò San Pietro, aggiungendo che Satana ormai si crogiolava nei cavilli e nelle inefficienze burocratiche del suo Regno delle Tenebre. Dio allora fermò uno spirito giovane che stava passando proprio in quel momento di lì: si trattava di Lalo Cura, un detective messicano freddato durante una sparatoria nello stato del Sonora. Ma davvero ti chiami Lalo Cura o è forse uno scherzo?, chiese Dio allo spirito, e quest’ultimo rispose che sì, nessuno scherzo, il suo nome era proprio Lalo Cura. Dio allora spiegò a Lalo la situazione e gli chiese di accompagnare i due spiriti in quell’importante missione. Il detective, o meglio lo spirito del detective, accettò di buon grado precisando che comunque quel giorno non aveva un granché da fare. Allora i tre spiriti si congedarono da Dio; San Pietro, prima di salutarli, spiegò loro i dettagli della missione, gli scrisse su un foglio l’indirizzo di casa di Adam Kassel, e diede loro un carnet di biglietti dell’autobus.

La missione degli spiriti cominciò una notte di pioggia, in condizioni che non sono assolutamente ideali per gli spiriti, che, essendo costituiti prevalentemente da sostanze gassose, mal sopportano le precipitazioni e il vento. Nonostante ciò, gli spiriti non si abbatterono, e così salirono sul primo dei due autobus notturni che dovevano prendere per raggiungere l’abitazione di Kassel. Durante quel primo tragitto persero però uno dei membri della spedizione: Lalo Cura, che fino a quel momento non aveva fatto altro che vantarsi di essere un coraggioso detective che aveva lavorato nei luoghi più violenti e malfamati del Messico, e che pertanto quella missione per lui equivaleva a mangiare un gelato, si invaghì dello spirito di una giovane passeggera dell’autobus che leggeva un libro di Houellebecq e con la quale Lalo diede vita a un fitto gioco di sguardi. Al momento di scendere dall’autobus, Lalo Cura salutò i suoi due amici spiriti e andò a sedersi a fianco dell’avvenente passeggera per attaccare bottone. Rimasti soli, Franco Olivo e Assunta Greco proseguirono il loro viaggio, e raggiunsero l’abitazione di Kassel poco prima della mezzanotte. San Pietro era stato molto chiaro con loro: dovevano comparire a Kassel esattamente alla mezzanotte, non si era mai sentito di spiriti che comparissero a mezzanotte meno cinque. Così attesero qualche minuto e poi suonarono il campanello. Uno dei domestici aprì la porta di casa indignato per l’orario di quella visita, ma non vide nessuno. Prima che richiudesse la porta, i due spiriti riuscirono ad entrare in casa e si misero sulle tracce di Kassel.

Trovarono l’anziano amministratore delegato nella sua camera da letto, già in tenuta da notte ma ancora intento a lavorare alla scrivania. Aveva una stazza pachidermica e la faccia paffuta, capelli bianchissimi e voluminosi che portava a spazzola, gli occhi melliflui che scrutavano il mondo impassibili da dietro le lenti tonde e spesse degli occhiali. Gli spiriti si presentarono, e Kassel pensò di trovarsi in un qualche strano sogno dovuto al pesce che aveva mangiato a cena e che evidentemente non doveva essere stato fresco come gli avevano assicurato. Gli spiriti gli dissero dunque che doveva porre fine al progetto della centrale nucleare che avrebbe distrutto il paesaggio di Bellavista di cui loro erano protettori, e che se non lo avesse fatto l’avrebbe pagata amaramente. Kassel rispose che non credeva a tutte quelle storie di spiriti e di maledizioni, lui credeva solo nell’etica del profitto; ma ad ogni modo apprezzava molto i lavoratori instancabili come loro, e pertanto volle dargli una possibilità: li sfidò a giocare a scarabeo, con la promessa che se avessero vinto loro avrebbe cancellato il progetto della centrale nucleare. Gli spiriti non conoscevano quel gioco ma accettarono comunque la proposta pensando di non avere alternative. Kassel era invece un campione assoluto in quel gioco, sfidava ogni giorno i migliori giocatori del mondo, e non perdeva una partita da almeno dieci anni. Inoltre, osservando i vestiti e le proprietà di linguaggio degli spiriti, aveva capito che dovevano essere stati contadini, gente dalle umili origini, e si sa invece che lo scarabeo è il gioco borghese per eccellenza. La partita infatti si concluse nel giro di mezz’ora, Kassel vinse dominando in lungo e in largo; poi offrì dei liquori agli spiriti prima di salutarli e di farli riaccompagnare all’uscita dallo stesso domestico di prima, che comunque continuava a non poter vedere gli spiriti, e pensò dunque che quella notte tutti dovevano aver perso i lumi della ragione.

Passarono diversi anni dalla notte della missione degli spiriti. La relazione sentimentale fra Lalo Cura e Genny, lo spirito della ragazza conosciuta sull’autobus, andava a gonfie vele, nonostante Lalo fosse costretto a vivere da clandestino in Terra, sfuggendo di continuo agli angeli di Dio che gli davano la caccia per riportarlo nel Regno dei Cieli. Lalo Cura era comunque deciso a chiedere a Genny di sposarlo, e pensò così di portarla a vedere il paesaggio della Piana di Bellavista, da dove le avrebbe fatto la proposta di matrimonio. Fecero una lunga passeggiata e, quando arrivarono in cima al Paese, nel punto esatto in cui il paesaggio si distendeva in tutta la sua luminosa bellezza, rimasero entrambi commossi ed emozionati da quella visione:
«Oh, Lalo, è meraviglioso qui. Questa è la più bella centrale termo-nucleare che abbia mai visto in vita mia!».

Biografia
Emmanuel Di Tommaso (1987) si è laureato e lavora nell’ambito della cooperazione internazionale allo sviluppo per l’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna. Ha scritto tre libri di poesia: Il luogo dei teschi (La Parola Abitata, 2014); Sulla soglia boschiva (Oèdipus Edizioni, 2016); Mentre si è rapiti dall’uragano (Bertoni Editore, 2020). Scrive di musica, e di jazz in particolare, per All About Jazz. Suoi racconti sono stati pubblicati sulle riviste Salmace, Bomarscé, Grande Kalma. Un suo contributo dedicato a Enrique Vila-Matas è stato pubblicato su Kalm Down, supplemento della rivista Grande Kalma.

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