Un’altra dimensione

Un’altra dimensione

 

racconto inedito di Antonio Panico

 

Appena andò via la luce si alzò di scatto dalla sedia. Dopo aver fatto due passi nella stanza buia, inciampò nel filo elettrico della lampada teso a trenta centimetri dal pavimento. In quanti le avevano detto che non avrebbe dovuto tenerlo così? In quanti le avevano detto che prima o poi sarebbe inciampata?

Cadendo, scivolò goffamente nell’armadio che, come al solito, teneva aperto e una volta lì, tra i maglioni puliti e profumati che attutirono la caduta, precipitò in un’altra dimensione, un posto difficile da definire e che poteva appartenere a tante delle città che aveva conosciuto nella vita. Camminò meravigliata e intontita, si ritrovò in un antico borgo di operai e artigiani con un edificio enorme che, all’improvvisò, si stagliò davanti ai suoi occhi. Il piano terra le ricordò I Nottambuli, il famoso dipinto di Hopper, i piani superiori, invece, certi alberghi che aveva frequentato da piccola.

Al primo piano dell’edificio si arrivava attraverso una scala stretta e laterale. Percorrendola entrò in un appartamento in stile neoclassico dal tetto alto, il pavimento in legno e le pareti verniciate con il verde acqua. Il soggiorno di forma rettangolare era appena illuminato e nell’angolo c’era un ragazzo seduto su di una poltrona. Appena lo vide, la prima cosa che le passò per la testa fu di andarsi a mettere sulle sue gambe. Quando si avvicinò a lui, però, non ebbe neanche il tempo di aprire la bocca che il ragazzo le confessò di essere inquieto, di trovarsi spesso in quel luogo senza sapere bene dove fosse. Temette allora che il ragazzo si trovasse in una dimensione diversa dalla sua, una dimensione onirica, e continuò a peregrinare meravigliata di cosa potesse capitare dopo un semplice incidente domestico; una caduta in un armadio che aveva l’abitudine di lasciare sempre aperto.

Si spostò allora dall’altra parte del soggiorno, dove c’erano degli uomini che rassettavano e facevano le pulizie. Quando si avvicinò a loro, uno di questi le disse che le tovaglie si trovavano nell’ultimo cassetto e a quel punto ebbe la certezza di essere cascata nei sogni di altre persone. Cosciente di ciò, venne presa dall’impulso di approfittare di loro. Tornò allora dall’altra parte del soggiorno con il proposito di soddisfare i suoi desideri con il ragazzo incontrato poco prima. Tornando sui suoi passi, però, realizzò che la via del ritorno era più lunga di quella dell’andata e questa sensazione le fece pensare di essere anche lei parte del sogno che stavano vivendo tutti gli altri. Tenace, raggiunse finalmente l’altra parte della sala. Il ragazzo era in piedi e la accolse con un sorriso dolce e rassicurante, così rassicurante che smise di domandarsi in quale dimensione si trovasse; le importava solo che fosse la stessa del ragazzo.

Fu lui a proporle di uscire da quel posto. All’esterno provarono a confrontarsi su dove si trovassero ma dopo aver nominato diverse città capirono che un posto simile non c’era o non c’era più, con gli operai e gli artigiani che ora facevano merenda seduti sui muretti di mattoni color vinaccia che circondavano tutto il borgo. Lui le propose di andarsi a sedere nel bar del dipinto di Hopper e dopo che lei ebbe accettato la sfiorò con la mano sul fianco, come a volerla spingere in quella direzione. Lei trasalì, sentì violente palpitazioni nel cuore, e urtò con la nuca contro la parte dell’armadio non coperta dai maglioni. Prima di andar via, però, riuscì a raccontare al ragazzo il percorso che l’aveva portata lì e dopo che ascoltò la storia lui sgranò gli occhi, poi congiunse le mani come se avesse voluto pregare e le raccontò di aver fatto una strada non proprio diversa dalla sua. Quel giorno, infatti, aveva promesso alla fidanzata che avrebbe aggiustato la lavatrice e gli bastò piegarsi sulle ginocchia, aprire l’oblò e Buuum, un vorticoso giro di cestello lo trascinò in quell’altra dimensione.

Si toccava la nuca con la mano e quando realizzò di aver lasciato quell’altra dimensione saltò fuori dall’armadio. In casa la corrente era tornata e ogni cosa sembrò mettersi al suo posto. Tolse il filo elettrico su cui era inciampata e fece in modo che il cavo non stesse così teso, come le avevano raccomandato tante volte. Con cautela si avvicinò all’armadio che finalmente chiuse, non prima di affacciarsi all’interno e sfiorare i maglioni con il naso per constatare che non le sarebbe potuto accadere più nulla. Poi andò in bagno e si inginocchiò davanti alla lavatrice. La aprì e fece girare il cestello a vuoto, pensò che fosse troppo piccola, così piccola che non riuscì nemmeno a ficcarci la testa dentro.


 

Biografia

Antonio Panico nasce in provincia di Napoli nel 1986. Negli ultimi due anni, sui racconti brevi sono stati pubblicati su diverse riviste letterarie. Cura Settepazzi, blog di approfondimento sulla letteratura latino-americana. Ha fondato e dirige Grande Kalma – laboratorio di micronarrazioni e rivista letteraria.

 

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