Bradamante. Una storia senz’incanto. Una storia che s’arriccia. Una storia che non si dirama, ma ripiega tra un prosieguo e la sua fine

 

Bradamante. Una storia senz’incanto. Una storia che s’arriccia. Una storia che non si dirama, ma ripiega tra un prosieguo e la sua fine

 

Racconto inedito di Agnese Azzarelli

In copertina Leslie Avon Miller, Oculirium by Paul Cava

 

 

Vive la voce; e come chiara emerga,
udir potrai de la marmorea tomba,
che le passate e le future cose
a chi gli domandò sempre rispose
Ludovico Ariosto

 

Cosa accadrebbe se Maga Melissa e Mago Merlino mancassero di fiato? Ruggiero vivrebbe in eterno
nel labirinto architettato da Atlante? Un solo rimpianto: il non aver mai vissuto. Amori a pezzi si
infrangono negli specchi del Castello. S’odono voci. Non se ne esce. Si inanellano speranze e
condizionali. Si gioca all’amore. Fughe, prede e predatori si allineano al sogno come soldatini di latta.
Bradamante, vomitata dalla storia, senza fama, senz’infamia, senz’armatura, senza lode, da paladina
ch’era, verrebbe presa da ogni sorta di sconforto e turbamento. Non le resterebbe che soppesare
ogni sua decisione, nonostante che ad Alcina non siano occorsi molti convenevoli per far proprio
quel ruffiano di Ruggiero. Ruffiano e per di più mellifluo.
E se, ad un certo punto – non dico uno strappo -, ma si facesse un buco? Un buco capace di porre
fine alla farsa, al castello di carte che Orlando s’è eretto tutt’intorno, più congegnato – io credo – di
quello d’Atlante?
Ma qualcuno glielo ha detto a Orlando che lo barattasse quel suo sogno? Ci vorranno Astolfo, una
fantomatica luna e una fine deludente quanto il senno, vero deus ex machina del poema ariostesco?
Il senno, ultimo baluardo di questa riscrittura dell’Orlando?

Il sipario s’apre
I personaggi della vicenda, arruolati e schierati, ad armi dispari, a volerla dire tutta, ché la fine fu decisa dal
committente di tutto questo plico di fogli ed esubero d’inchiostro.
A voi codesta fiera di negletti.
La pietà vincerà la rabbia che s’apprende e s’accartoccia?
Io, Bradamante. Paladina? Moglie? Madre di una prolifica discendenza?
Quale rovello d’un pazzo mi dipinse tale?

Dramatis personae
Bradamante: Una donna della sua levatura ad arrabattarsi chiedendo, sino all’oste, di condurla da quel
quaquaraquà di Ruggiero. Rigettata dalla storia prese a scriverla di suo pugno, con l’eleganza che le era
propria, con quel piglio da paladina di chissà quale guerra. Senza una sola lancia da spezzare, se non quella
imbevuta d’inchiostro e di rabbia, avversa ad una storia senz’incanto, ad una storia che s’arriccia, dipanandosi
tra un prosieguo e la sua fine.
Ruggiero: Ruggiero, in quella che ci è stata tramandata, è il saraceno che si convertì ai valori cristiani. Un
voltagabbana, in amore come in guerra. Uno di quelli della peggior specie: rientrava a pieno titolo nel novero
dei quaquaraquà. Marinaio se avesse viaggiato. Amante se solo avesse amato. Lascivo e mellifluo, cadde nel
tranello di Alcina, in balia degli incantamenti di Atlante.
Astolfo: Un mirto. E mirto sarebbe senz’altro rimasto se, a liberarlo dall’incantesimo di Alcina, non fosse
giunto quel pazzo d’Orlando.
Medoro: Occhi rivolti al Golfo Persico, all’Oceano Indiano, al Mar Rosso.
Angelica: Vergine sino all’incontro con Medoro.
La sorte d’Angelica si dovrebbe imputare alla fedeltà ad un ideale, all’integerrima sua condotta morale? La
sua storia si disperde nelle acque torbide di due fontane lavorate d’alabastro. Dapprima spasimante di
Rinaldo, “crudele e ingrato” – così l’Ariosto – bevendo alla fonte mutò il suo amore in odio e quegli divenne,
per aver bevuto da altra fonte, suo eterno spasimante.
Orlando: Se l’era architettata alla meglio: pur d’aver la donna dei suoi sogni indossò paramenti dell’esercito
avverso. E se la sarebbe architettata anche bene, se solo la donzella avesse corrisposto questo suo amore.
Quegli non capì dal principio. La fine è presto detta. Sradicare alberi. E questa sarebbe senz’altro stata la fine
se non avesse divelto quel mirto di Astolfo. Una storia senz’incanto. Una storia che or dunque più non si
dirama. Una storia che non più s’arriccia tra un prosieguo e la sua fine. Una fine deludente quanto il senno.
La storia del figliol prodigo si concluse in parabola, volta a dilettare i bigotti della peggior specie.
Alcina: per incanto tutti gli uomini ce li aveva quell’Alcina, vetusta e obsoleta come il dettato di Bradamante.
Solo che se a Bradamante faceva difetto la penna, ad Alcina facevan difetto le sembianze. Se solo i paladini
se ne fossero accorti, ma, presi da incantamento, non seppero vedere in codesta fattucchiera nient’altro che
la loro meretrice. Solo che la spesa consistette, non solo nell’obnubilamento delle coscienze, ma nella mera
traduzione d’ognuno di quei valorosi cavalieri in corpo senza vita. Alberi, ché quelli vennero – appunto –
tramutati chi in mirto, chi in ulivo, chi in abete. Ruggiero? Un cespuglio di bacche, ché, acido com’era, questa
è la fine che gli toccò in sorte.
Astolfo: Che Astolfo avesse o meno fatto il giro del mondo a cavallo di un ippogrifo indomabile molti ebbero
a dubitare; la qual cosa diede adito a congetture e ciarle. Un mondo si spalancava dinnanzi ai rispettabilissimi
lettori de la vicenda che Bradamante aveva elegantemente orchestrato. I più assennati ebbero a dire che
altro non si trattasse se non di una celia. Celia bella e buona quanto l’amore. I più si aggrapparono ad
un’equivalenza. Una mezza dozzina di teste chiamarono in causa il piano cartesiano. E se Astolfo, in fin dei
conti, altro non fosse stato che un pazzo, pronto a dispensar del senno l’amico Orlando? Altro che luna.
Bradamante: Una donna della sua levatura ad arrabattarsi chiedendo, sino all’oste, di condurla da quel
quaquaraquà di Ruggiero. Rigettata dalla storia prese a scriverla di suo pugno, con l’eleganza che le era
propria, con quel piglio da paladina di chissà quale guerra. Senza una sola lancia da spezzare, se non quella
imbevuta d’inchiostro e di rabbia, avversa ad una storia senz’incanto, ad una storia che s’arriccia, dipanandosi
tra un prosieguo e la sua fine.
Quale rabbia, s’apprende e s’accartoccia. Io. Sola. In un anfratto di luoghi comuni, pur tra una
moltitudine di valori e cavalieri. Valorosi cavalieri s’affastellano. Visi di carattere e concetto
s’inanellano in codesta vicenda.
Vicenda grigia, vicenda in sé noiosa e malandata. Ma quale concetto. Le avessero inanellate due
parole. Se solo avesse saputo narrarla lui codesta vicenda. Vicenda grigia. Vicenda in sé noiosa
e malandata quanto il senno. Copioso solo il mio dettato, pur incerto, nebuloso e dal costrutto
congegnato.
Tutto ebbe inizio con uno scudo, uno scudo splendente, a guisa di piropo, stratagemma d’un
mago. Si dice che la vista dello scudo portasse alla perdita dei sensi. Ed è così che Ruggiero, il
cavaliere pagano, si ritrovò prigioniero di Atlante. Tutto ebbe fine in quella nobile e venerabile
chiesa, sospesa su colonne alabastrine. Quel giorno Mago Merlino venne a mancare di fiato.
Maga Melissa aveva invece la voce roca. Si fosse capito più di un benché minimo nulla. Passato
e futuro si confondevano e diramavano tra erre e rauchi colpi di tosse. Le consonanti
arrancavano.
Un antro dipinto a lutto.
Orlando, per l’intanto, allineava, l’uno dopo l’altro, i suoi soldatini, il suo esercito di latta. I
soldatini disegnavano i contorni di un angelico volto di donna. Armature accecanti. L’esercito
aveva gli occhi scuri e al suo centro il paladino vi si sarebbe barricato ancora a lungo. Sino al
XXXIX canto.
Ma quale deus ex machina? Astolfo se ne sarebbe rimasto lì. Avrebbe continuato a far radici nei
territori d’Alcina. Un mirto. E mirto sarebbe senz’altro rimasto senza l’intervento di Maga
Melissa, com’era questa appresso al decrepito Mago. Entrambi colpiti dalla malasorte, da
un’influenza aberrante.
Non si pensi che codesta sia una storia triste.
Io, affrancata dal mio ruolo di madre della Casata d’Este, avrei preso, in fretta e furia e con
qualche convenevole, a dire il vero, congedo dalla famiglia e, di mio pugno, avrei scritto una
storia senz’incanto. Una storia che s’arriccia. Una storia che non si dirama, ma ripiega tra un
prosieguo e la sua fine.
Ma quali donne, quali cavalieri, quali armi e quali amori? Una fuga, una tregua, un bivio, un
cavalier senz’elmo e un destriero fuggito di mano. Ferraù e Rinaldo, l’uno saraceno, l’altro
paladino di Francia. Idiomi diversi, rivali in amore come in guerra. Si uniscono i due, sino al bivio
dal quale diparte l’avventura.
Un tradimento e una donzella stordita, caduta da un ramo troppo esile per reggerne il peso.
Cartoccio d’una storia accartocciata, dispiegata, mal congegnata.
Caddi.
Da un ramo.
Il resto è vicenda che Ariosto s’inventò, ma proprio di sana pianta, che passai alla storia come la
madre della Casata degli Estensi. Quale casata!? Quale storia!? Storia d’un burattinaio sapiente,
l’Ariosto.

Epilogo:
ovvero come avvenne che quel ruffiano di Ruggiero fu bandito dal Castello di Atlante

Ad indicargli l’uscita fu Bradamante, l’architetto di tutta questa vicenda. Come avvenne che Bradamante
ridusse Maga Melissa ad un cumulo di rauche consonanti mal pronunciate? Fu, forse, il peso dell’armatura?
Fu l’onere d’una prolifica discendenza? S’erse, forse, a paladina della propria vicenda? Un cavalier senz’elmo
e un destriero fuggito di mano. Un tradimento e una donzella stordita. Un ramo troppo esile per reggerne il
peso. Una fortezza inespugnabile ed ogni sorta di incantesimi e malefici. Il paladino della vicenda dal tronco
monco. Tronco d’un mirto. Un laccio teso e un Ippogrifo indomabile.
Bradamante l’amava quel ruffiano di Ruggiero? Quegli fu l’unico personaggio che, alfine, la paladina sciolse
dalle catene della propria vicenda, consegnandolo ad una morte prematura.

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