Ogni scuola è paese

 

Ogni scuola è paese

 

di Vanessa Ambrosecchio


Ogni scuola è un paese, dunque ha un paesaggio.
Mi affaccio ogni mattina e guardo. Fuori corrono strade, si ingrugnano palazzi, o si levano alberi e monti. Fuori c’è tutto o non c’è niente. Al liceo la mia classe era ospitata in un palazzo e la finestra dava su un pozzo di luce: c’era più luce dentro. Fuori gridano i clacson, o l’ortolano col suo carretto, gli aerei in decollo o i gabbiani. Al liceo in quel palazzo c’era la sede di una società di auto mediche: ogni mezzora l’urlo di un’ambulanza annientava, con nostra soddisfazione, la voce del professore. Il paesaggio della scuola si riflette sugli alunni. Così io e i miei compagni di liceo, in quello stanzone illuminato a neon, col pozzo di luce e la musica delle ambulanze, eravamo grigi. Grigio era il nostro professore di lettere antiche, grigie le nostre facce e le nostre mattine. Quei ricordi sono velati da un pallore: ai colori non era dato entrare lì dentro. E anche i prof dovevano trovarci grigi. Grigia la nostra preparazione, le nostre prestazioni, grigie le nostre prove scritte. Di trentuno che eravamo il primo giorno, ne uscimmo in diciotto. Selezione naturale? Forse: sopravvissero gli esemplari che meno abbisognavano di fotosintesi.
La luce entrava solo una volta la settimana, nell’ora di Religione. Non c’era un prete dietro la cattedra, come ancora usava, ma una poco più giovane di noi (o così a noi parve), con una nuvola di capelli e una voce gentile. Quell’ora era una bolla d’ossigeno, un buco nell’ozono della nostra routine: passava un raggio di sole a scottarci la pelle. E
anche se fuori imperversava l’inverno, che rendeva plumbeo il livore delle nostre giornate, dentro tutto si illuminava.

Da docente, ho conosciuto tante scuole. Scuole in campagna, scuole in palazzi di civile abitazione, scuole in riva al mare o in riva al traffico. La scuola dove oggi insegno è in un palazzo storico, con le grate alle finestre. Siamo in prigione, dicono i ragazzi. Ma in una scuola moderna e colorata un’alunna mi disse: Sembra un ospedale. Si fa scuola ovunque: sotto una tenda nel deserto o in una palafitta in riva al fiume, ai margini di una favela o sotto la lamiera fra gli sfollati. Ogni scuola è un paese. Così, dovunque sia, mi affaccio e capisco, prima di incontrarli, di che colore saranno le facce dei miei alunni, e quali storie taceranno le loro labbra strette, i loro occhi socchiusi. Da lì capisco se salteranno in piedi sulle sedie o si spalmeranno sul banco per dormire. Devo guardare attentamente quel paesaggio, memorizzarlo in ogni particolare. Poiché mi toccherà cambiarlo. Come nell’ora di Religione, l’unica bucata dal sole. Questo devo fare, e niente altro: cambiare il paesaggio. Conoscere le differenze per dimenticare la differenza. Ogni scuola è un paese – ma così, in ogni luogo del mondo, ogni scuola è paese.

 

BiografiaApri foto

Vanessa Ambrosecchio vive e insegna a Palermo. Ha pubblicato Cico c’è (Einaudi, 2004), racconti in antologie Einaudi, Mondadori, minimum fax, Fernandel, il Palindromo, Torri del vento, Morellini. Nel 2006 il suo radiodramma Il cappello è stato diretto e interpretato da Emma Dante per RAI Radio 3. Ha collaborato alla realizzazione di antologie per la scuola secondaria di secondo grado (Atlas, 2002; Palumbo, 2010). Nel 2018 è uscito il suo secondo romanzo, Cosa vedi, per l’editore palermitano il Palindromo. Nel 2021 è uscito Tutto un rimbalzare di neuroni, Einaudi.

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